cap6

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Appena suonò la quinta campanella mi diressi a casa. Mentre presi dallo zaino il foglio da compilare per le olimpiadi mi accorsi che nel retro c'era attaccato un post-it giallo.

Lo staccai e lo appoggiai sulla mia scrivania, e non appena diedi a mio padre il foglio per farglielo firmare, cominciai a leggere il post-it.

La calligrafia inconfondibile del professor Giudici mi fece mancare il respiro.

Nel profondo del suo cuore, aspettava che accadesse qualcosa. Come i marinai naufraghi, rivolgeva uno sguardo disperato alla solitudine della sua vita, nella speranza di scorgere una vela bianca tra le lontane nebbie dell'orizzonte... Ma non accadeva nulla; Dio voleva così! Il futuro era un corridoio oscuro e la porta in fondo era sbarrata.

Questo era ciò che mi aveva scritto nel piccolo foglietto di carta. Una frase di Madame Bovary, il libro che leggeva il giorno in cui mi aveva chiesto di partecipare alle olimpiadi.

Girai il post-it, e dietro trovai una piccola aggiunta di sua mano.

Dio voleva così, ma in due si può sconfiggere il destino
-Tom

Nella mia testa tutto era confuso, mi sembrava di girare all'infinito in un pozzo senza fondo. Non sapevo cosa fosse vero e cosa fosse frutto della mia immaginazione. Avrei voluto capire se veramente questo era successo oppure io stavo dormendo da settembre e mi dovevo risvegliare da un sogno molto strano.

Appena arrivata a danza raccontai tutto a Luna, che era basita quasi quanto me.

"Aspetta quindi, rispiegami un'altra volta, ti ha lasciato un post-it in cui chiaramente cercava di esprimerti ciò che prova per te?"

"Non lo so! Non so più niente!"

La lezione passò velocemente ma non riuscì a distogliermi dalla mia confusione mentale. Quel biglietto significava proprio quello che pensavo significasse?

Non riuscivo a concentrarmi neanche per fare i compiti. Chiesi a Leonardo di mandarmi la versione di latino e gli esercizi di inglese, e per fortuna accettò. Copiai alla meno peggio ciò che mi aveva mandato e poi mi buttai sul letto e mi addormentai senza neanche cenare.

Mi svegliai presto e decisi di fare colazione al bar di nuovo. Oggi era il giorno libero del professore, perciò non avrei corso alcun rischio di incontrarlo.

Ma quando lo avrei incontrato, cosa avrei dovuto dirgli di preciso?

Questa era una follia.

Decisi di scrivergli un biglietto anch'io. Era sicuramente l'idea migliore. Un'altra frase di Madame Bovary accompagnata da una mia piccola aggiunta.

Il dovere è sentire ciò che è grande, privilegiare ciò che è bello e non inchinarsi a tutte le convenzioni della società con le ignominie che ci impone.

E se non credessimo nel destino? E se fossimo noi a crearlo?
-V

Erano parole senza un apparente senso. Se qualcuno leggesse questo foglio non capirebbe ciò che volevo esprimergli. Solo noi riusciamo a capirci.

Stavo sicuramente impazzendo.

Mi alzai dal letto e vidi con la coda dell'occhio il post-it che avevo lasciato sulla scrivania.

Decisi di rileggerlo, e rileggerlo, e rileggerlo di nuovo. Per tutte le volte che lo avevo riletto ormai le parole non avevano più un senso nella mia testa.

Mi chiesi perché mi stessi facendo così tanti problemi, ma non seppi rispondermi. Non avrei dovuto scriverlo. O forse si?

Mi preparai e mi diressi al bar per fare colazione. Non appena cominciai a sorseggiare il mio caffè mi si schiarirono le idee, e mi rilassai un po' di più.

Avrei avuto tutto il giorno dopo per preoccuparmi di ciò che avrebbe pensato il professor Giudici, perciò non dovevo ancora pensarci. Potevo godermi una giornata normale, dovevo farlo, per il mio bene.

Non potevo torturarmi troppo a lungo nel pensiero di come avrebbe reagito. Sapevo che sicuramente il giorno dopo non avrei sopportato quasi più l'ansia e la preoccupazione, però in quel momento dovevo stare calma.

La giornata, dunque, passò velocemente e quasi in maniera piacevole. Il problema arrivò la sera.

I pensieri che avevo scacciato per tutto il giorno mi si avventarono contro tutti insieme, e facevano un rumore così forte nella mia testa da non farmi dormire tutta la notte.

Quando mi resi conto di aver passato la notte in bianco mi alzai dal letto esausta e mi preparai alla meno peggio, prendendo vestiti a caso dall'armadio e sperando che non fossero di sfumature di nero troppo differenti.

Salii sull'autobus addormentata e appena scesa mi incamminai con calma verso la scuola. Nella mia testa si stavano scontrando un sacco di pensieri che facevano un rumore talmente forte da non farmi distinguere un pensiero dall'altro.

Decisi di andare in aula professori per poter lasciare subito il post-it e levarmi finalmente quel pensiero dalla testa. Se l'avessi dovuto tenere per tutta la giornata nello zaino sicuramente alla fine lo avrei preso e buttato via.

Entrai e vidi che il professore stava parlando con una professoressa probabilmente di greco a me sconosciuta, perciò aspettai che finisse sulla soglia della porta.

Appena lui mi notò terminò il discorso e la professoressa uscì dalla stanza passandomi accanto.

"Professore, le ho portato il foglio compilato" gli dissi.

I nostri occhi si incrociarono per qualche secondo, ma poi lui distolse lo sguardo bruscamente.

"Grazie"

Mi voltai e uscii dall'aula prima che fosse troppo tardi.

Nel momento in cui misi piede in classe mi pentii di ciò che avevo fatto, come mi aspettavo. Ormai però era troppo tardi.

Il resto della giornata passò lentamente, così lentamente che quasi mi stupii quando finalmente suonò la quarta campanella che indicava l'inizio dell'ora di fisica.

"Buongiorno ragazzi" disse il professor Giudici entrando.

"Buongiorno" risposero tutti in coro. Io non salutavo mai nessuno, non volevo far sentire la mia voce ai professori, non volevo neanche che pensassero che io fossi in classe.

La lezione passò velocemente: Leonardo fu interrogato insieme a Letizia, sembrava che ci fosse stato uno scontro fra titani.

Chiaramente però io non ero minimamente interessata alla loro interrogazione, ma a riuscire a catturare lo sguardo del professore, per almeno qualche secondo.

Invece niente. Il vuoto. Ancora una volta aveva deciso di non incontrare i miei occhi.

Chissà questa volta quanto sarebbe durata questa situazione. Ovviamente avevo sbagliato a scrivergli una risposta, ero stata troppo impulsiva.

Questa volta però se ne sarebbe pentito.

Questa volta mi sarei fatta valere e gliel'avrei fatta pagare.

È solo una moltiplicazioneWhere stories live. Discover now