10- Non è mai troppo tardi, anche se sono passati cinque anni.

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"Sà" riconobbi quella voce senza nemmeno aver bisogno di alzare gli occhi verso di lui. Qualcuno aveva deciso che durante quel giorno non meritavo pace.

"Che ci fai tu qua?" Alzai lo sguardo verso di lui mentre lui entró nel mio ambulatorio. Io sorriso osservandolo bene, era completamente imbacuccato a causa della sua ipocondria, nonostante le temperature alte, eppure sembrava stare bene. Ma se c'era stato qualcosa in grado di far entrare Niccolò in un ospedale, doveva essere qualcosa di grave.

"Adriano mi ha chiamato in preda al panico. Ha detto che stavano cercando di venire da te ma nessuno li faceva passare" io ascoltai le sue parole per poi guardare lo schermo del computer e notare che si trattava di Tommaso.

"Sono in pronto soccorso, andiamo che li faccio salire" io uscì dall'ambulatorio aspettando che uscisse pure lui per chiudere poi la porta alle nostre spalle. Mi avviai verso l'ascensore seguita poi dal moro. L'ascensore che arrivó per prima ovviamente fu quello più stretto, che dovevo condividere con la persona che con la sua vicinanza mi faceva mancare l'aria e allo stesso tempo la stessa persona per cui mi ero ripromessa di dover star il più lontano possibile.

"Come fai a essere così calma?" Chiese lui appena si chiusero le porte dell'ascensore. Avevamo cinque piani da fare e io volevo evitare qualsiasi tipo di contatto con lui, tanto che guardai il telefono, controllando i prossimi pazienti.

"È un codice verde, Niccolò. Non c'è niente di cui preoccuparsi" risposi non alzando lo sguardo. Mi sentivo perforare l'anima dai suoi occhi nonostante erano ancora coperti dagli occhiali da sole e non lo stessi nemmeno guardando.

"Adriano non ne sembrava molto convinto" disse lui in risposta tenendo sempre lo sguardo fisso su di me e soltanto in quel momento, rassegnandomi all'idea che non mi avrebbe dato pace, alzai lo sguardo verso di lui. Inconsciamente sorrisi ricordando un Niccolò padre, ogni singola volta che vedeva o sentiva il minimo movimento da parte di Camilla nella mia pancia, andava completamente in paranoia eppure ora, sembrava non riuscire a capire il mio migliore amico.

"Adriano è il padre, andrebbe in paranoia anche se uno dei due si sbuccia un ginocchio" lui mi guardò alzando un sopracciglio per poi sorridere, anche se era completamente imbacuccato, negli anni avevo imparato a leggere ogni singola piccola rughetta del suo viso che si formava quando sorrideva, così come avevo imparato a leggere i suoi occhi anche se coperti dagli occhiali da sole.

"Me lo ricordo bene che vuol dire" lui sorrise di nuovo a quel ricordo mentre io abbassai di nuovo lo sguardo verso il telefono deglutendo a fatica, perché parlarne con lui faceva sempre così male?

"Dovremmo parlarne prima o poi, magari senza urlarci contro. Perché non ci prendiamo un caffè?" In quel momento mi sembró di non avere più respiro e la poca aria che c'era nell'ascensore inizió a mancare. Non capivo se era per il fatto che voleva parlare di ciò che era successo anni prima o per il fatto che mi avesse chiesto di prendere un caffè insieme.

"Che senso ha farlo adesso? Sono passati cinque anni, Niccolò. E poi mi sembra che tu sia stata chiaro, faccio parte del tuo passato. Siamo andati avanti ed è meglio per entrambi che continuiamo ognuno per la sua strada" notai i suoi lineamenti cambiare da rilassati a infastiditi. Stava per ribattere quando fortunatamente le porte dell'ascensore si aprirono permettendomi di nuovo di avere un respiro regolare. Notai Niccolò dirigersi verso Adriano e che si alzó seguito poi da Gaia che mi vide dietro al moro. Mi fermai davanti alla reception dell'ospedale.

"Cassio in neuropsichiatra infantile" dissi all'infermiera firmando poi il foglio mentre Adriano, Gaia e Tommaso vennero verso di me seguiti poi da Niccolò. Fortunatamente stavolta l'ascensore era quello più grande.

Te dimmi dove sei, mi faccio tutta Roma a piedi. - UltimoWhere stories live. Discover now