«Non c'è evento che avvenga una volta soltanto, né cosa che esista senza esser già esistita.»
11 novembre 2011, ore 00:42
Questa la data e questa l'ora a partire dalle quali Chiara - studentessa di 21 anni nella città di Pisa - non subirà mai più al...
Dalla mia sinistra mi giunse il suono di un tonfo e mi voltai. Dennis, a petto nudo e con un foulard di seta a fiori legato attorno alle tempie, era saltato a piè pari sul grande tavolo da pranzo circolare. Mi accorsi che teneva in mano un cilindro di panna spray. Si ingobbì, si guardò attorno, fiutando l'aria e, infine, ululò all'invisibile luna. Saltò di nuovo giù, correndo dietro a Sumaya, che si nascondeva dietro ad alcune sedie imbottite, in top e pantaloncini corti. Anche loro due erano bagnati da capo a piedi.
- C'è un narghilè. Proprio qui, - dissi all'improvviso. Era proprio davanti a noi, al centro del tappeto. Con la coda dell'occhio vidi il Caino raggiungere Sumaya e acchiapparla. Subito dopo un enorme fiotto di panna montata si mescolava ai suoi capelli corvini. Lei lanciava gridolini acuti e disperati.
- Sì. Non è un regalo di Sumaya? - chiese Alex. La parola "regalo" innescò in me dei ricordi confusi sull'incredibile festa di compleanno che c'era appena stata lì, a casa di Dennis. Una festa piena di persone mai viste prima, con alcol, danze e musica a tutto volume. A un tratti, tutti gli invitati erano scomparsi e, a quel quel punto, si era materializzata la scatola dei funghetti. "Questi sono solo per noi", aveva detto il Caino con grande compiacimento.
- Di Sumaya? - chiesi ad Alex.
- Sì. Non è una cosa araba?
- Oh, - risposi. - Mi sa che hai ragione. - Sfiorai con le dita le decorazioni di quell'oggetto straordinario, alto quasi un metro e pieno di tubi, al cui acquisto non ricordavamo di aver contribuito, anche se l'avevamo fatto. - Ma come l'ha portato qui? Voglio dire... È enorme. Come è arrivato qui? - Solo che questo pensiero mi portò a un'altra domanda, ancora più oscura. - E io come sono arrivata qui?
Sumaya, nel frattempo, si era liberata dalla presa del Caino ed era fuggita via come una gazzella. Uscì dalla stanza e sparì per un corridoio. Dopo pochissimo, sentimmo sbattere una porta. Il Caino si mise le mani nei capelli, sconvolto. - No, no, - prese a dire. - Sumaya, tesoro, ti prego, ti prego, non farlo! Non chiuderti in bagno, - e le corse dietro. Anche lui sparì per il corridoio. Dal bagno ci giunse lo scatto di una serratura.
- Chiara, ti volevo chiedere una cosa - mi disse Alex.
- Chiedi, - risposi io.
Sentimmo il rovinio del Caino che si prostrava a terra, cadendo in ginocchio davanti alla porta del bagno. Invocava il nome di Sumaya, cantilenando. - Non farmi questo, Sumaya, - diceva. - Non chiuderti a chiave. Scusa, te lo giuro, non lo farò più. Non ti sparerò più la panna nei capelli! Ti prego, aprimi!
- Ti andrebbe di uscire con me? - chiese Alex.
Corrugai la fronte. - Adesso? - gli chiesi.
- Cosa? No, non adesso. Intendevo una sera. Tipo a mangiare. Di solito si fa così, no? - Non sembrava del tutto sicuro della sua affermazione. Fece una pausa. Poi mi osservò confuso. - Cosa... Cosa c'è? Perché mi stai fissando in quel modo?
- Sto guardando le tue labbra, - dissi io, seria. E dicendolo mi resi conto di quanto fossi concentrata proprio lì, sulla metà inferiore della sua faccia. Gli comparve un sorrisetto. - No, - mi allarmai. - Non muoverle. Rimani fermo. - Mi avvicinai a lui, protesi le mani. - Per favore, non ridere. - E cercai di bloccare la sua espressione con le dita. - Se ridi, peggiori la situazione.
- Come, la peggioro? - mi chiese, non riuscendo più a fare a meno di ridere. Sospirai. Non sapevo come spiegarmi.
Intanto, i lamenti del Caino continuavano a riempire il corridoio. - Ti prego, Sumaya, mia stella, mia luce! Perdonami! - All'improvviso udimmo il rumore di uno scroscio d'acqua a tutta potenza e di nuovo lo schiocco della serratura, poi lo sbattere della porta contro una parete. Il Caino iniziò a urlare: - No! Nooo! È fredda! È fredda! Muoio! Ahhh! -E nell'aria risuonò la risata malvagia di Sumaya. Il telefono della doccia sbatté sul pavimento, continuando a scrosciare acqua. Sumaya riapparve nella stanza e si fiondò, in una corsa spiritata, verso la cucina. Aprì un frigorifero e ne trasse fuori due barattoli di ketchup, di quelli a spruzzo. Cominciai a farmi un'idea della dinamica che aveva causato l'allagamento della casa.
- Forse è meglio che te lo richieda domani, - disse Alex.
- Sì. Richiedimelo domani, - convenni. - Per adesso ti dico di sì. Ma per sicurezza richiedimelo domani.
- Va bene.
- Te lo ricorderai? - gli chiesi, colta da un'improvvisa preoccupazione. Il Caino riapparve, aggrappato agli stipiti della porta, ansimante. Sumaya, accucciata in posa d'attacco nel lato opposto della stanza, si nascondeva i barattoli di ketchup dietro la schiena. Il Caino avanzò verso di lei barcollando, gli occhi imploranti.
- Che cosa? - chiese Alex.
- Ti ricorderai di aver pensato di chiedermelo, - gli spiegai, - e di richiedermelo domani? - Con uno scatto, il Caino si lanciò in picchiata verso gli stinchi di Sumaya, abbracciandoli. Maya fece fuoco: fiotti di salsa ketchup inondarono la schiena del Caino.
- Oh. Non lo so, - disse Alex, come se stesse valutato l'eventualità. - Nel caso, per favore, ricordamelo tu.
- E se io me ne dimenticassi? - Non mi sentivo convinta del suo piano.
- Che cosa? - chiese lui. Dietro di noi infuriava la battaglia.
- Se io mi dimenticassi di ricordarti di chiedermelo domani - spiegai di nuovo.
Lui mi guardò con occhi vacui. - Scusa, mi sono perso.
- Dovrei chiedere a Maya di fare da garante, - decisi, e mi parve l'unico modo di risolvere quella questione così complessa. - Lei me lo ricorderebbe di sicuro, - e girai lo sguardo verso il salone. Mi accorsi che non c'era nessuno e mi accigliai, perplessa. C'era uno strano silenzio. - Dov'è Maya?
Sentimmo un grugnito provenire dal pavimento, poco dietro di noi. Io e Alex ci guardammo e, in un tacito accordo, iniziammo a strisciare sul divano, scalandone lo schienale. Ci affacciamo da lassù, guardando verso il basso, dove si svolgeva la scena. Dennis e Sumaya stavano per terra, distesi supini, imbrattati da capo a piedi da un impasto roseo di pomodoro e panna. Dennis si copriva la faccia con le mani e mugolava. Iggy Pop, chino su di lui, gli leccava l'orecchio e scodinzolava felice. Sumaya, la testa appoggiata al petto di Dennis, si rigirava tra le mani il ciondolo che portava al collo, una pietruzza verde attaccata a una piuma di metallo.
- Stai bene, compare? - chiese Alex.
- Mi gira tutto, - disse lui.
- Sareste carini insieme, - dissi io.
Per un attimo calò il silenzio. Lo sguardo di Sumaya si corrucciò, poi si volse, lentamente, verso il viso di Dennis e disse: - C'era un hippie. Nudo. Nel tuo bagno.
La sua constatazione generò un certo disagio.
- Qualcuno dovrebbe andare a controllare, - suggerì Alex.
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Il giorno dopo Alex ricordò e mi chiese di nuovo di uscire.
Fui sollevata quando capii, dalle proposte che avanzò per telefono, che preferiva andare in un posto informale. Tra le varie proposte scelsi un American Diner, nella stessa zona industriale del centro commerciale fuori Borgonatio. Mi piaceva molto l'atmosfera di quel posto. Lui sarebbe passato a prendermi il venerdì successivo dopo l'orario di chiusura della libreria. In questo modo, era tutto deciso. Se non che, un'ora prima dell'appuntamento, mi chiamò per dirmi che aveva avuto dei problemi con la macchina e che non poteva usarla. Fui sul punto di pensare che fosse una semplice scusa per cancellare l'uscita. Poi mi chiese se potessi passare a prenderlo io. Certo che sì. Certo che potevo. Perciò attorno alle nove di venerdì 13 luglio eravamo da American Diner.