1978 - Samantha

27 3 0
                                    

Non sapevo come dirglielo: non era qualcosa a cui ero preparata o che mi avessero insegnato.

Era come navigare a fari spenti, un salto nel buio, affrontare una prova dall'esito incerto: poteva andare bene o risolversi in tragedia.

Avevo un ritardo del ciclo di quasi due mesi, ero stata dalla ginecologa che, dopo vari prelievi, test ed analisi, mi aveva dato una risposta ben precisa.

Ero incinta, merda.

Di tutto quello che mi poteva succedere, quella era decisamente la cosa peggiore.

Voglio dire: amavo Patrick, lo amavo con tutto il mio cuore, ma aveva così tanti problemi.

Non ero stupida, o cieca o annebbiata dall'amore al punto da fingere di non sapere che si drogava ancora.

Era violento e a volte mi spaventava davvero tanto.

Beveva e, quando beveva, diventava un'altra persona, qualcuno che non mi piaceva, che faticavo ad amare.

Tirai lo scarico del water, dopo aver vomitato per l'ennesima volta e mi sedetti sul bidè.

Prima di tutto, avrei dovuto dirlo ai miei genitori: loro mi avrebbero detto cosa fare.

No, prima di tutto, dovevo dirlo a Lorenzo, perché lui, di certo, avrebbe trovato una soluzione.

No.

Dovevo dirlo a Patrick, che ormai gironzolava per casa nostra, come un vagabondo, come un randagio che mangiava con la testa dentro al piatto, mentre mamma lo guardava come un rifiuto da smaltire in fretta e con vergogna e papà mi fissava quasi avessi avuto due teste. Loro non capivano perché mi fossi innamorata di quel ragazzo così diverso da me, un reietto, un dimenticato, una persona che ne aveva già passate tantissime, che era nato, morto e risorto almeno mille volte. Lo avevano accettato per pura carità cristiana, dicendo ai vicini di casa e agli amici e conoscenti che lo ospitavano per uno scambio culturale.

Sei mesi e Patrick ancora parlava un italiano stentato.

Non si sforzava, non faceva niente per cambiare la sua vita disastrata e, per quanto lo amassi moltissimo, non potevo chiudere gli occhi davanti ai suoi infiniti difetti: violento, ignorante, rozzo, senza un briciolo di cultura, prono a qualsiasi vizio o deviazione possibili, incline a violenti scatti d'ira, Patrick era un inno all'inedia.

Ma lo amavo con un'intensità e una disperazione che non avevano nome o definizione: ero legata a lui a doppio filo e, per quanto la nostra relazione fosse malata e disturbata, lui era l'amore della mia vita, l'uomo che non doveva dare spiegazioni, che riusciva a fermare il tempo solo guardandomi negli occhi e, dopo tutto quel tempo passato al suo fianco, dopo tutte le delusioni, i problemi e le testate contro il duro muro della realtà, ero ancora disperatamente innamorata di lui.

Mi amava?

Non credevo che sapesse cosa significasse quella parola: Patrick era qualcuno in grado di amare solo se stesso e nient'altro. Anche il sesso, con lui, era una lotta da ring: era uno spirito dominatore che non sapeva donarsi, ma sapeva solo contendere, piegare, spezzare.

Quello che mi dava era sbagliato, ma perché non aveva mai avuto nessun riferimento positivo, in campo amoroso: me lo aveva confessato, in una notte di pioggia, quando si era concesso un pianto isterico tra le mie braccia, dopo l'ennesimo litigio: una delle parole con cui l'avevo chiamato lo aveva ferito molto. Si era bloccato di colpo, aveva abbassato gli occhi sul pavimento e i capelli scuri gli avevano completamente nascosto il viso. Presa in contropiede, non avevo saputo come reagire alle prime lacrime che erano cadute sul pavimento a pochi passi dai suoi piedi. Patrick aveva collezionato una sfilza di traumi sentimentali e sessuali che potevano fare il paio con un film dell'orrore. Lo avevano preso in giro, ne avevano abusato, si era prostituito, aveva concesso i suoi favori alla prima che gli aveva dato una carezza, quindi per lui fare sesso era un meccanismo automatico, una routine: dentro, fuori.

Ma c'era qualcosa di peggio.

Patrick conosceva solo la prevaricazione, non sapeva cosa volesse dire fare l'amore: per lui era solo sesso, non conosceva altro.

Nato in una famiglia disastrata, cresciuto nella mera e brutale violenza, non sapeva come muoversi nell'intrigata giungla di sentimenti di una relazione di coppia.

La chiave girò nella toppa e mi cadde il cuore: ecco, ci siamo.

-Honey - miele, ecco cos'ero per lui.

-Sono qui, in camera - mi tremavano le mani: non avevo la minima idea di come sarei riuscita a dirgli la verità, tra di noi stava per scoppiare una bomba atomica e sarei stata io a lanciarla.

Patrick entrò in camera e, per l'ennesima volta, dovetti trattenermi, perché quel ragazzo aveva una fortuna incredibile: era bello come un raggio di sole. Era come guardare dritto in una luce abbacinante, era perfetto, anche dopo una giornata calda e afosa come quella.

I lunghi capelli castani gli ricadevano disordinati sulle spalle, Dio, sembrava appena uscito dal parrucchiere, le lunghe gambe atletiche infilate in un paio di jeans a zampa d'elefante che gli mettevano in risalto il sedere, la camicia a fiori, lasciata studiatamente aperta sul petto muscoloso: era un inno al piacere.

-Che succede, piccola? - chiese sedendosi sul mio letto, proprio al mio fianco. Il suo profumo mi dava alla testa.

Ero giovane, troppo giovane per affrontare tutte quelle difficoltà.

Pensavo di sapere tutto e non sapevo assolutamente nulla.

Proprio niente.

Senza tempo - TERZO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉWhere stories live. Discover now