#1, Che brutta bestia l'amore

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Le parole le scivolavano dalla mente come acqua, l'unica cosa impressa era l'inchiostro raffermo sulla carta, che sembrava ormai vecchio di secoli.
"ok" si disse, mentre si legava i capelli che le cadevano davanti agli occhi in una crocchia fatta alla meglio "ce la puoi fare, ne hai passate tante" e ritornò a leggere le stesse parole che leggeva ormai da mezz'ora ma che non volevano restarle in mente e continuavano a scivolare, via come l'acqua sulla finestra nelle giornate uggiose.
Ma quella, al contrario, era una calda e straziante mattina di inizio giugno, erano appena le 10 e il sole era alto nel cielo a illuminare le strade di una affollata Bologna, che poltriva silenziosamente, disturbata solo dai motori delle auto e dei motorini che passavano, diretti a mille mete diverse. Si ritrovò a pensare alla strana immagine della Bologna che dormiva pigramente sotto un cielo splendente e disseminato di nuvole benigne, e sorrise pensando che non ci fossero altre parole per descrivere tutto quello.

Fissava un punto indefinito della pagina e si rigirava la sua matita tra le mani quando la suoneria del telefono la fece sobbalzare, sorpresa. Guardò il nome della persona che stava disturbando il suo vano tentativo di studio e sorrise di nuovo, quando vide che non era altro che la persona a cui voleva piú bene in assoluto.
Premette il punsante verde per rispondere alla chiamata e poggió il telefono al suo orecchio.
"Hei Tone" disse, e la voce resa metallica dell'amico le arrivò immediatamente in risposta
"Hei Chiaretta, scendi? Sono qui giú"
Lei sbuffò sonoramente, in modo che anche l'amico sentisse il suo disappunto
"non puoi salire tu? Ti apro il portone"
"no, metti da parte la pigrizia. Sono già in ritardo e Dario mi sta bombardando di chiamate. Dai non ti ruberò tanto tempo"
Chiara fece per mostrare nuovamente il suo disappunto ma la chiamata le venne chiusa in faccia prima che potesse fiatare. Probabilmente lui sapeva che lo avrebbe fatto, e si era risparmiato un minimo di quel teatrino che avveniva spesso, in quel periodo stressante come la sessione estiva.

Chiara studiava duramente per diventare un chilurgo, proprio come suo padre. Aveva sin da piccola seguito le sue orme, lo aveva da sempre visto come un modello da seguire e le sue convinzioni di renderlo per sempre indelebile erano diventate piú nitide dopo il brutto incidente che lo aveva portato via insieme a sia madre, la strada non li aveva risparmiati, e nemmeno il cielo.
E forse era anche per questo che Chiara aveva smesso di credere a qualsiasi cosa non fosse umano, a qualsiasi cosa che non si potesse testare, in qualsiasi cosa che non fosse scienza. Non credeva nella presenza di un Dio superiore da quelli che credeva fossero ormai anni, e non le importava.

Ruotò la sedia e si diede una spinta verso il muro di fronte, dove stava un grosso specchio da quattro soldi. Le rotelle si fermarono proprio a qualche centimetro dal vetro pieno zeppo di ditate e guardò la sua immagine rifletta, segnando nella sua mente il verdetto finale: era impresentabile.
I capelli legati lasciavano scoperta la larga fronte, era struccata e si era vestita completamente alla ceca, in modo tale da avere indosso un paio di brutti e logori pantaloncini e una maglietta sbiadita. Gli occhiali sembravano migliorare il tutto, ma sembrava solo una grandissima disperata.

La notifica di un nuovo messaggio illuminò la schermata del suo telefono, dove lei è la sua migliore amica Eleonora sorridevano raggianti. Avevano entrambi uno sbuffo di cioccolato sopra le labbra.

Tone: dove diavolo sei finita?

Alzò gli occhi al cielo, testando per l'ennesima volta come la pazienza non fosse il suo forte e prese il telefono dalla scrivania, lo schermo ritornò nero.
Lo sboccò con la solita impronta del suo indice e digitò un semplice sto scendendo, tranquillo prima di darsi un ultima occhiata allo specchio e isultarlo mentalmente, per la sola, solenne e semplice colpa di riflettere in sé stesso un'immagine talmente brutta.
Infilò ai piedi scalzi il primo paio di infradito che trovava e si diresse con passo strascicato verso la porta, incuriosita da quello strano incontro senza preavviso.

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