Capitolo V

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Al mattino seguente, come detto dal Generale, cominciarono ad arrivare le prime truppe della IV Armata; ancora albeggiava ma per quegli uomini quel giorno era iniziato già da parecchio tempo. Ero seduto su un sacco di sabbia quando udì il tacchettìo di parecchi stivali sulla terra dura avvicinarsi progressivamente: parevano usciti dall'inferno, brandelli di vestiti coprivano corpi esausti, volti senza espressione parevano imbambolati e braccia ormai sfinite reggevano barelle da troppo tempo. Fortunato era chi è stato trasportato, i più erano stati lasciati al loro destino tra chi non poteva camminare e chi, pur zoppicando, ci provava ma veniva abbandonato esausto lungo strada, una strada che non raccoglieva soltanto soldati bensì tutti i civili sfollati dalle proprie case al loro seguito. Un berretto da ufficiale cadde da una barella coperta da un telo logoro e sporco ma quel povero soldato portante una croce rossa nella spalla era troppo stanco per raccoglierla, un commilitone del mio reggimento lo recuperò e lo ripose sopra la barella, poi si sedette vicino a me.

"Guardali" mi disse indicando il resto del plotone

Osservai le facce sconvolte di chi non era mai stato in guerra, da ragazzini appena diciottenni ai più grandi; sarei un ipocrita a non dire che anch'io non ero spaventato da quell'orrore che sfilava davanti a me, pur avendo già visto cose simili in precedenza non ci si abitua mai.

"Alcuni di loro potrebbero essere miei figli, questa guerra è sempre più disumana"

" Esiste una guerra umana" replicai

Sorrise dandomi ragione con un cenno

"Io sono Matteo comunque" disse presentandosi,

contraccambiai e rimanemmo a parlare finché non fummo chiamati per rimetterci in marcia insieme alla IV Armata. Era un ragazzo semplice che prima della guerra faceva il calzolaio nella bottega del padre e che poi aveva viaggiato in Francia durante la belle epoque per guadagnare qualcosa fino alla chiamata alle armi.     Caricato il moschetto, affilata la baionetta e posto il nastro sugli stivali ci accodammo a una fila immensa, di decine di migliaia di uomini, tanti plotoni, compagnie, battaglioni e reggimenti. Camminammo per ore ed ore riposando pochi minuti e passarono dei giorni prima che arrivassimo alle fortificazioni sul Piave. Sul fiume Tagliamento vidi centinaia di migliaia di civili affollare i ponti passando pochi alla volta cercando scampo da un nemico spietato che li aveva cacciati dal territorio Friulano; questa guerra colpiva tutti in maniera diretta, non era come nel passato dove due eserciti si affrontavano nei campi di battaglia più adatti, ora si combatteva sulle strade e nelle case, tra i campi incolti e le macerie, arruolavano i bambini e compivano atrocità sulle persone semplici, vittime innocenti soltanto nate sotto un'altra sovranità. Dopo giorni di mobilitazione arrivammo al sistema difensivo lungo il Piave, lunghe file di potenti cannoni erano disposte qualche centinaia di metri rispetto alla riva mentre nidi di mitragliatrici erano fortificati sopra le trincee scavate in un terreno umido e fangoso. La sera andai presso la sponda del fiume con Matteo e vedemmo subito che era agitato e impetuoso, sicuramente ostico da attraversare sia per noi ma soprattutto per il nemico. Al tramonto ricordo che mentre eravamo seduti sulla riva, un profumo di carne arrosto ci invitava a seguirlo fino alla fonte: passavamo tra le trincee e man mano che l'odore si faceva più forte vedevamo sempre più persone con un sorriso stampato in faccia. Nelle retrovie avevano allestito le cucine da campo dove cuocevano e distribuivano la carne. Ci godemmo quella sera dove non si sarebbero sentiti lamenti, spari ed esplosioni ma solo tanti soldati, uomini che mangiavano insieme, ridevano e cantavano; una sera così non l'avremmo vista per parecchio tempo...

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