CAPITOLO 8

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Il giorno seguente, Elena e Antonio, con aria molto preoccupata, decidono di bussare alla porta di Rossella, dopo che quest'ultima non si è fatta vedere per un'intera mattinata. Passano un paio di minuti e la porta finalmente si apre.

"Che succede?" Rossella fa la sua piacevole comparsa, con aria trasandata, il pigiama ancora addosso e un paio di occhiali che si reggono a malapena sulla punta del naso.

"Stai per caso male?" Chiede dunque, Antonio, guardando con sdegno la sua intera figura. "Non ti sei fatta proprio vedere."

"No, stavo leggendo un libro, non posso?"

I due coinquilini si lanciano un breve sguardo d'intesa.

"In realtà eravamo un po' preoccupati..." Cerca di spiegare, la ragazza. "Ieri ci hai detto quella cosa... e, beh, lo so che avevamo detto venerdì, ma..."

"Vogliamo sapere, Rossè!" Arriva subito a conclusione, l'altro. "Non ho dormito stanotte per questa cazzo di storia e se non ci spieghi come è proseguita, non credo nemmeno di poter riuscire a studiare!"

Rossella sembra aver perso qualche passaggio perché non crede di aver capito. "Ma che diavolo state dicendo?" E Antonio perde del tutto la pazienza. "Lo hai più rivisto? Sì o no?" La donna si sofferma a guardare il volto dei due giovani, su cui poteva vedere incisa la loro incredibile curiosità e fermezza. Per questo, dopo aver tirato in su gli occhiali fino al ponte del naso, esala un profondo respiro. "Ok, entrate." Si fa da parte per farli passare. "Ora vi racconto tutto."

La verità è questa: ero stata una grande codarda. Ero scappata da Palazzo Chigi da codarda; non gli avevo scritto nei giorni seguenti perché ero una codarda; evitavo di incrociare, anche solo per sbaglio, un suo video o una sua foto perché non avevo voglia di ricadere di nuovo in quel turbine di dolore e disperazione, ma, soprattutto, perché ero e rimanevo una codarda.

Lui non mi scrisse. Ovviamente. E cosa poteva dirmi? Quali parole poteva dedicarmi che non fossero insulti? Passavo le giornate a guardare la sua chat, a premere sul quadro di scrittura e poi chiudere tutto. Una codarda.

Pur di evitare di affrontare la situazione da donna adulta, mi ero persino rassegnata, decidendo di andare avanti con la mia vita come se niente fosse successo. Ma sì, mi autoconvincevo, avrò una storia divertente da raccontare ai miei nipoti (e con nipoti, parlo dei figli dei miei fratelli), un giorno. "Sapete che la zia ha avuto un tête-à-tête con il Presidente del Consiglio, anni fa, e poi è scappata? Haha, è proprio stupida vostra zia."

Ma chi volevo prendere in giro? Ero disperata. Ci pensavo in continuazione, notte e giorno, era diventata una perseguitazione... una tortura, finché un giorno non mi resi conto che non potevo continuare a vivere con i sensi di colpa, e quindi lo feci: gli scrissi un messaggio. Presi coraggio, aprii whatsapp e cominciai a scrivere:

Ciao Giuseppe. Come stai? No, no, cancella. Ciao Giuseppe, scusami se non mi sono fatta sentire, ho avuto da f... Seh, che scusa del cazzo, madonna, sparatemi! Oh, Giusè, mannaggia a te, tu devi avvertire quando baci la gente, per la miseria, che la mandi in tilt. Stavo svalvolando completamente.

Ciao! Lo so, è un orario di merda, lo so. Scusami se non mi sono fatta sentire, davvero. Credo di star scrivendo il messaggio più difficile della mia vita perché mi stanno tremando le mani dall'emozione. Vorrei parlarti di quello che è successo, faccia a faccia, ti va di vederci? Ovviamente dimmi tu quando, per me non c'è problema con gli orari, tranne per quanto riguarda i turni col negozio, ma questo lo sai già. Spero di ricevere risposta, in caso contrario, va bene lo stesso. Buonanotte.

Non lessi nemmeno il contenuto e inviai senza pensarci. Ormai era fatta, l'unico modo che avevo di tornare indietro, era buttarmi dalla finestra. Ormai era davvero fatta.

La favorita del PresidenteHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin