18. La Stanza del Bisogno.

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Sembra che stia per scomparire tutto da un momento all'altro, qui dentro.

Quando torno a voltarmi verso la luce più forte, ci manca poco che mi metto a gridare. Forse vorrei pure farlo, ma dalla bocca non mi esce nemmeno una parola... Di fronte a me, a poco più di due metri di distanza, ci sono delle sagome. Sei sagome di persone in carne e ossa. Sono tutte rivolte di spalle e stanno camminando nella direzione opposta alla mia, verso la luce più soffusa e lontana. I loro corpi non producono ombre, il che mi fa pensare che non siano per davvero reali, ma le loro conformazioni fisiche mi permettono di riconoscere chiaramente chi sono.

«Non è possibile...» Inizio a correre ansimando verso di loro, mentre una strana sensazione di angoscia inizia a stringermi la gola. La stanza, che negli incubi passati era nera, adesso è completamente avvolta da un chiarore svanente. «Ehi, voi! Voi! Fermatevi!» grido alle sagome, portandomi le mani attorno alla bocca.

L'eco delle mie parole ristagna in tutta la stanza in un fragore assordante e le persone di fronte a me si immobilizzano come d'incanto, bloccandosi dalla loro marcia verso nessuna destinazione. Lentamente si iniziano a voltare, mostrando le loro facce di persone che, già da lontano, avevo riconosciuto.

Davanti a me, a meno di un metro, si stanziano i corpi di David Clint, Gabriel, Nolan, Janise, Jared e una ragazza mai vista prima d'ora, dai contorni confusi e sfocati, come un'immagine messa male a fuoco. Si fermano di fronte a me con espressioni vacue e sorrisi spenti e non posso fare a meno di notare che alcune estremità del loro corpo stanno iniziando a svanire nel nulla, assumendo la stessa colorazione della stanza.

Sono talmente sconvolta dalla situazione del tutto surreale che rimango a fissarli con la bocca semiaperta: sono proprio come me li ricordavo l'ultima volta che li ho visti nella Caserma... Tutti, tranne la ragazza al fianco di Jared, una sagoma di donna dal volto nebuloso. Anche lei mi fissa, poi prende mano nella mano Jared.

Mi porto una mano sul petto, colta da un improvviso bruciore, e avverto un dolore pungente sul polso, proprio lì dove c'era il marchio del Vinculum Aeternum.

Faccio dei passi avanti lenti e tentennanti, spaventata dal fatto che la visione che mi si è presentata di fronte agli occhi possa svanire da un momento all'altro proprio nello stesso modo in cui è comparsa. Ma quando avanzo, le sagome di David, Nolan e Janise mi voltano di nuovo le spalle e tornano a camminare verso la luce, senza degnarmi nemmeno di una parola. Provo a fermarli, gridando loro di aspettare un momento, di fermarsi, ma loro non mi ascoltano più ormai, e dopo qualche metro svaniscono, trasformandosi in luce trasparente e striata. Adesso rimangono solo Gabriel, Jared e la ragazza dalla sagoma sgranata.

Decido allora di rimanere ferma nella mia posizione e alzo gli occhi su Jared: è vestito con gli stessi abiti di quando ci siamo lasciati e anche i suoi capelli sono completamente bagnati, probabilmente dallo stesso temporale di quel giorno, fuori dalla Caserma. Tiene per mano la ragazza accanto a sé ma non sembra nemmeno accorgersene, preso com'è a specchiarsi nei miei occhi pieni di confusione.

«Jared, aspetta! Ti prego, sai dirmi dove mi trovo? Perché... perché siete qui voi?» lo imploro, con la voce tremante. In questo momento vorrei correre verso di lui, infrangere le distanze e gettargli le braccia al collo, chiedendogli scusa per tutto e perdonandogli ogni errore, ma so che ogni mio passo falso potrebbe farlo scomparire nel nulla.

Jared sorride in modo aspro e la sua espressione rimane tirata. Sembra che mi stia prendendo in giro e la sensazione mi fa stringere il petto in una morsa d'acciaio. «Dovresti dirlo tu a noi, in realtà.»

«Non capisco... Io non so cosa devo fare. Non so nemmeno come uscire di qui! Dammi un aiuto.»

«Aiutarti? Aiutare te? Dopo quello che mi hai fatto, Abby?» Replica lui, indurendo lo sguardo.

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