Capitolo 3

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Il bussare alla porta innervosì Fraser. Sbuffò prepotentemente, quindi scese le scale mormorando un arrivo poco convinto. Spalancò l'uscio e fu praticamente travolto da un treno in corsa.
«Si può sapere che fine avevi fatto? Cioè, ore e ore a non avere notizie di te. Stavo per chiamare lo Sceriffo!» urlò Annie, spingendolo per entrare in casa. Lui alzò gli occhi al cielo e chiuse la porta.
«Ciao anche a te» borbottò, seguendola su per le scale.
«Non hai nulla da dire?» chiese lei, mentre i due entravano nella stanza del ragazzo. Questi scrollò le spalle.
«Ero alla festa di Kimberly» rispose, sedendosi sul letto. La ragazza allargò le braccia e lo guardò con fare accusatorio.
«Questo lo so. Ma stamattina? Si dice in giro che tu sia andato a letto con lei» spiegò Annie. Fraser spalancò gli occhi e si lasciò cadere sulla schiena.
«Gesù, perché mi fai questo. No, non sono andato a letto né con Kimberly né con nessun altro» confessò il ragazzo. Lei continuava a fissarlo di sottecchi, quindi il giovane sospirò e le indicò il letto.
«Mi sono addormentato al piano superiore, con alcuni ragazzi abbiamo bevuto il whisky nell'ufficio del padre di Kimberly. Quando mi sono svegliato, era troppo tardi per venire a scuola, così sono tornato a casa a dormire, cosa che, per inciso, facevo quando sei entrata prepotentemente nella mia testa bussando alla porta d'ingresso» disse lui, distorcendo parzialmente i fatti per non parlare di Anthony. La ragazza sembrò crederci, tant'è che si sedette e sospirò, sollevata.
«Ci sono da consegnare le autorizzazioni per la gita in campeggio. E tu oggi pomeriggio hai allenamento con la squadra. Tutti dicono che sarai titolare, ora che Nathan è partito» riassunse lei, ricordandogli l'impegno del pomeriggio.
«Pensi di andare in campeggio? Io non sono sicuro di averne voglia» annunciò il ragazzo. Lei scrollò le spalle.
«Preferisco andare lì, piuttosto che stare a scuola. Secondo te, ci saranno i lupi?» chiese, l'altro rise.
«Sì, e anche gli squali» la prese in giro il giovane, lei gli tirò uno schiaffo amichevole e si alzò dal letto. «Al massimo ci saranno serpenti e qualche topo.»
«Dovresti venire. Ora ci sarà Natale, poi tutto ricomincerà. Non permettere che la sua partenza ti condizioni le giornate» suggerì Annie, guardandolo negli occhi grigi. Il ragazzo annuì, alzandosi anch'esso dal letto.
«Verrò. Chiederò a Erik di firmarmi l'autorizzazione. Non sto male per la cosa di Nathan. La sto superando» mentì. La ragazza lo guardò di sbieco, ma lasciò cadere la conversazione. Conosceva troppo bene Fraser per lasciarsi ingannare dal suo atteggiamento apparentemente tranquillo. Non sapeva cosa lui le stesse nascondendo riguardo Nathan, ma era certa che ci fosse qualcosa che non voleva dire. Annie avrebbe aspettato che lui si sentisse pronto. Dopotutto, era quello il compito di un'amica.
«Allora io vado, ci vediamo domani a scuola?» chiese lei, avviandosi verso la porta. Il ragazzo annuì, depositandole un bacio sulla guancia, quindi scese le scale con lei sino all'ingresso.
«Una cosa. Se tu avessi conosciuto una persona simpatica ma strana e sapessi che da domani non la rivedrai più, oggi ci usciresti?» domandò Fraser, guardando la ragazza. Annie inclinò leggermente il capo, quasi a studiare il suo interlocutore, poi scrollò le spalle.
«Carpe diem» rispose semplicemente, facendo l'occhiolino a Fraser e uscendo dalla porta di casa. Lui la guardò percorrere il vialetto, quindi richiuse il battente e si fermò qualche secondo a pensare. Carpe diem. Forse Annie aveva ragione. Il modo migliore per non pensare a Nathan era fare altro, non rimanere chiuso in casa a rimuginare sul passato. Afferrò la giacca e se la mise, quindi si guardò rapidamente allo specchio. Non aveva un aspetto stupendo: i capelli erano abbastanza arruffati, aveva due occhiaie ben marcate e sembrava appena uscito da un episodio di The Walking Dead, ma decise che doveva cogliere l'attimo. Prese il borsone per andare agli allenamenti, quindi si lanciò fuori casa, ignorando il classico vuoto che, ormai, era parte di lui.

Il locale era piccolo e grazioso. Un'insegna rossa recitava "Carly's Bar" ed era posta esattamente sopra la porta d'ingresso dell'edificio, composta da due battenti interamente a vetri. L'interno era specchio della piacevole impressione che trasmetteva l'esterno: pochi tavoli, circa sei o sette, si trovavano sulla sinistra, mentre sulla destra era presente il classico bancone. Su di esso, vi erano diverse teche con tipologie differenti di dolci: dai pasticcini più prelibati ai biscotti più semplici. C'erano anche cornetti, bomboloni alla crema, donut e diverse altre leccornie.
«Quindi, sei al penultimo anno?» domandò Anthony, dando un morso al suo cornetto alla nocciola. Fraser annuì, addentando anch'egli il proprio bombolone.
«Sì. Tu, invece? Cosa studi?» gli chiese l'altro. Avevano ordinato qualcosa da mangiare e due cappucci. Quando Fraser si era presentato a casa di Anthony, il ragazzo non poteva crederci. Non avrebbe scommesso un dollaro sul fatto che sarebbe andato da lui, eppure il giovane l'aveva sorpreso. Così, avevano deciso di prendersi qualcosa da mangiare in un bar nella periferia di West Point. Nonostante la città non fosse così grande, Fraser non frequentava spesso quei posti e quella zona, per cui non conosceva il locale, ma ne rimase piacevolmente sorpreso.
«Studio economia. In particolare, International Management» spiegò Anthony, continuando a gustarsi il proprio cornetto.
«Sembra figo. Di cosa si tratta?» domandò nuovamente Fraser.
«È un mix tra economia internazionale, relazioni internazionali e contabilità comparata. Molto interessante, sono al terzo anno» chiarì l'altro. «Tu farai l'università dopo aver concluso il tuo percorso alla MLK?»
«Non penso. Non sono stupido, ma nemmeno un genio. L'università costa e non potrei mai beneficiare di borse di studio. Pensavo di continuare col football, ma da quando non sono più titolare, anche quella strada mi è stata preclusa. Magari, potrei fare il corso per assistente coach» raccontò Fraser, con un po' di magone. Lui avrebbe voluto continuare il proprio percorso, allontanarsi da West Point, ma sembrava impossibile.
«Comunque, ti consiglio di tentare. Qualsiasi cosa, ma tenta. Sei troppo sveglio per rimanere qui, in questo buco Georgia. Finirai per fare ciò che fanno tutti gli ex giocatori di football della MLK: il meccanico o l'operaio» consigliò Anthony.
«Ma come posso fare?» chiese Fraser, scuotendo il capo, rassegnato. L'altro lo guardò negli occhi.
«Iscriviti a qualche corso extrascolastico per ottenere dei crediti, alza la tua media e poi parla con la consulente per l'orientamento universitario. Se è la stessa di tre anni fa, è la signorina Glymphen. È molto disponibile e fa di tutto per aiutare i propri studenti. Non darti per vinto» lo spronò Anthony. L'altro annuì, poco convinto.
«Partirai per New York domani?» domandò Fraser, cambiando discorso. Il ragazzo terminò il proprio cappuccino, prima di rispondere.
«Sì, tornerò al campus. Ogni tanto vengo a West Point per vedere la mia famiglia. Questa volta, ho dovuto fare da baby sitter a Kim mentre i miei sono partiti per lavoro» affermò il biondo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
«Beato te» mormorò Fraser, guardando l'orologio. Doveva partire, o avrebbe perso il treno e sarebbe arrivato in ritardo agli allenamenti.
«Devi scappare?» chiese Anthony. L'altro annuì.
«Ho gli allenamenti, e non posso tardare» confessò. Il biondo lo guardò di sottecchi, poi si alzò anch'egli.
«Ti do un passaggio io. Prendiamo l'auto di mio padre» si offrì il ragazzo. L'altro annuì, sorridendo.
«Grazie» rispose, avanzando verso il bancone. Pagò lui, per sdebitarsi del passaggio che stava per ricevere, poi si incamminarono entrambi in direzione della casa di Anthony. Procedettero in assoluto silenzio per diversi minuti, finché il più grande non decise di romperlo.
«Cosa ti turba?» gli chiese, infine, il biondo. Era tutto il pomeriggio che voleva domandarglielo, ma aveva paura di essere invadente. Fraser scrollò le spalle.
«Niente di che, solite cose scolastiche» mentì, sperando di sviare il discorso. L'altro, però, non aveva intenzione di demordere.
«Sai, mi hanno sempre detto che il motivo principale per il quale le persone si confidano con i baristi è che sanno che non li rivedranno più e, nel caso lo facessero, saranno già ubriachi. Io parto domani, e non credo di tornare presto» raccontò il biondo, mentre percorrevano i viali alberati classici di West Point. Il vento si insinuava nel giubbotto di entrambi, infastidendoli.
«Un amico è partito. Un amico al quale ero molto legato. So che è stupido, ma le mie giornate non sono più le stesse senza di lui» provò ad aprirsi Fraser. L'altro annuì, continuando a procedere verso casa propria.
«Non è stupido, è normale. Se eravate molto legati, è giusto che tu ne senta la mancanza. Come mai è partito?» domandò Anthony. Fraser sospirò.
«Credo sia colpa mia. Ma preferisco non parlarne» rispose, sinceramente, il più giovane. L'altro si arrestò, mentre si trovavano davanti alla sua abitazione.
«Tutti commettiamo degli sbagli. Non farti condizionare da questa situazione. Il tempo farà passare anche la sensazione che provi ora, non ho dubbi. Devi solo cercare di voltare pagina. Esci, divertiti, non pensare al tuo amico. Non pensare a niente» consigliò, poi indicò la casa e procedette verso di essa, lasciando Fraser da solo per qualche momento. Anthony aveva ragione, ma non era così facile come tutti pensavano. Se solo sapessero. Non riusciva proprio a capire come mai Nathan non si fosse confidato con lui. Scosse il capo. Avrebbe cercato di non pensarci. Dopotutto, si stava abituando a quel vuoto. Pochi minuti dopo, Anthony uscì in auto dal garage. Fraser vi salì e partirono verso la scuola. Un silenzio assordante riempiva l'abitacolo del veicolo.
«Grazie delle parole che mi hai detto» affermò, poi, il moro. Il più grande lo guardò per un momento, poi continuò a seguire la strada.
«Grazie a te di aver reso questi due giorni a West Point molto meno noiosi del solito» rispose, sinceramente, Anthony. Dopodiché, proseguirono in silenzio sino alla scuola. La mente di Fraser era congelata, come se non avesse nulla a cui pensare. Un blocco auto-imposto gli impediva di farsi, nuovamente, quelle domande su Nathan, e la situazione in auto inibiva ogni altro tipo di ragionamento. Giunsero all'istituto una decina di minuti più tardi, ma per i due ragazzi quel tempo sembrò infinito. Non appena Anthony si fermò, Fraser lo guardò negli occhi.
«Grazie del passaggio» disse, preparandosi a scendere. Afferrò il borsone e sorrise.
«Alla prossima, Fraser Jacobs. Buon Natale» rispose l'altro. Fraser annuì e aprì la portiera.
«Buon Natale anche a te» concluse, alzandosi e allontanandosi dal veicolo. Anthony rimase a guardarlo qualche secondo, poi scosse il capo e azionò la radio del veicolo. Notò che Fraser si accese una sigaretta, mentre procedeva verso il campetto. Aveva pensato sino a quel momento se fosse o meno il caso di dirgli quello che era accaduto la notte prima, ma era già abbastanza sconvolto di suo, non serviva mettere ulteriore pressione al ragazzo instillandogli dubbi sulla sua sessualità. Prima o poi avrebbe ricordato quel che era accaduto, e allora avrebbe tratto le proprie conclusioni autonomamente. Sì, perché Anthony gli aveva mentito quella mattina. Era stato Fraser a baciarlo, quella notte. Si erano fermati lì, era stato solo quello, un innocente bacio. Ma tanto sarebbe bastato per mandare in crisi quel povero ragazzo, quindi aveva preferito non dirglielo. Sorrise, con la consapevolezza che, anche se l'aveva conosciuto poco, quel giovane gli sarebbe mancato. Se c'era una cosa che la grande metropoli di New York non poteva offrire era quello: familiarità, tranquillità.
«Addio,Fraser Jacobs» disse poi, sospirando e partendo verso casa propria.

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