Capitolo due

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Mi sveglio con il rumore di piatti e padelle che proviene da sotto, accompagnato da un delizioso profumo di cannella che sono sicura sta inondando tutta la casa, oltre che alla mia stanza. Scendo dal letto e una musica leggera mi invita verso la cucina. La scena che mi ritrovo davanti è confortante: Carrie, Elizabeth e Rachel sono alle prese con i fornelli mentre Katherine e Evelyn sistemano la grande tavolata, il tutto accompagnato da un sottofondo di jazz. Che bello, tutto questo mi ricorda la mia New Orleans, la mia casa.
"Ma che bel buongiorno ragazze!" esclamo entrando in cucina.
Dopo aver sistemato tutto ci mettiamo a mangiare e a chiacchierare del più e del meno: mi sento a mio agio con le ragazze, con loro riesco a parlare di tutto, dalle cose più serie al più e meno. Le adoro, l'ho già detto?
Ho lasciato la mia famiglia con la paura di perdere tutto e di dover abbandonare questa parte della mia vita, fatta di affetto e calore, ma sono stata abbastanza fortunata da trovare un'altra grande famiglia di infermiere, amiche, sorelle.
"Io esco prima! Devo fare un salto alle poste per imbucare una lettera... Ho visto ieri che non è lontano dall'ospedale quindi farò la strada a piedi" dico alle altre quando, una volta finita la nostra colazione, ci alziamo per sparecchiare.
Questa mattina mi sono svegliata prima di tutte per scrivere una lettera a mia madre, dato che ieri dal taxi che mi portava dalla stazione alla casa ho visto un ufficio postale non molto lontano dall'ospedale: so che a mia madre fa piacere avere mie notizie, la fa stare più tranquilla e in più ha un figlio in meno di cui preoccuparsi.
"Un altro viaggio senza di noi piccola Grace? Non starai mica crescendo senza dircelo?" mi dice Kate con un sorriso, puntandomi un mestolo davanti al naso.
Adoro quando mi chiamano "piccola Grace": sono la più piccola del gruppo e avere queste attenzioni apprensive, mi fa sentire speciale in un certo modo. Mi piace essere coccolata, forse sono troppo egocentrica? Ogni tanto mi ci vuole.
"Giuro è l'ultima volta" le rispondo ridendo.
"Aspettami G, ti accompagno" mi dice Carrie, correndo a prepararsi.
Aspettavo che me lo dicesse: in tutta onestà non avevo proprio voglia di farmi la strada da sola. E quale compagnia migliore di Carrie? E' una delle ragazze con cui ho legato di più. E' la tipica ragazza della Florida: la pelle abbronzatissima fa da contorno ad una personalità frizzante e solare. Non direi che è il mio opposto, ma decisamente la sua positività e la sua parlantina veloce la distinguono molto da me. Quando siamo insieme sono me stessa: siamo Grace e Carrie, G e C, siamo sorelle.
Una volta fuori dalla grande casa ci incamminiamo verso l'ufficio postale.
"Hai scritto a tua madre?" mi chiede mentre finisce di sistemarsi i capelli.
"Sì... le ho chiesto le solite cose: come sta, come sta David, se ha avuto notizie di Nathan..."
"Devono mancarti molto"
"Certo che mi mancano tutti lo sai..." dico abbassando lo sguardo ai miei piedi.
Non mi piace parlare della mia famiglia e nemmeno di come sento la mancanza di una parte importante di me.
"So che anche se ti mancano, casa tua è l'ultimo posto in cui vorresti stare" dice mentre mi prende a braccetto, continuando a guardare dritto davanti a sè.
"Se la metti così mi fai sembrare un mostro..." dico ridendo, per smorzare il clima triste.
"Da quando mio padre se ne è andato non è più stato lo stesso. E poi Nathan si è arruolato e... è come se mancasse un pezzo importante, tipo un pezzo di tetto o qualcosa di fondamentale per una casa, mi spiego?"
"Ti capisco G, credimi... vivevo con i miei nonni, ma l'enorme vuoto dentro l'ho sentito comunque" dice fermandosi e, finalmente, guardandomi negli occhi.
Ogni tanto mi dimentico che nonostante tutte le differenze caratteriali, io e la mia amica abbiamo avuto una vita molto simile. Lei, purtroppo, ha passato cose peggiori delle mie, per cui chi sono io per crogiolarmi nel dolore, quando c'è chi è sta ancora più male? A volte mi sento così egoista.
"Beh, dobbiamo guardare avanti, no?" dico guardandola con un sorriso e dandole una carezza.
Non è il mio forte risollevare gli animi, ma è Carrie, un minimo ci devo provare.
"A proposito di guardare avanti... sai cosa vedo? Una bella spiaggia di sabbia bianca e acqua cristallina..." con il braccio fa cenno davanti ai miei occhi, ma l'unica cosa che vedo è un marciapiede vuoto e un edificio grigio davanti a noi: siamo arrivate finalmente.
"Carrie, lo sai quante sono le probabilità di farci trasferire alla base di Pearl Harbor? Contati le dita delle mani e poi sottrai dieci e mentre lo fai io vado a far spedire questa" dico prendendola in giro per i suoi sogni stravaganti, sventolandole davanti al viso la mia lettera.
Povera Carrie, sempre con la testa tra le nuvole e le sue mille fantasie. Come biasimarla? Certo anch'io mi definirei una sognatrice, ma c'è sempre un limite. Un limite che vorrei anch'io certe volte superare, ma c'è sempre qualcosa che mi blocca, che non mi permette di andare avanti: sarà il buon senso?
Quando esco dall'edificio Carrie mi guarda con le braccia incrociate.
"Quand'è che la finirai di fare la guasta feste e inizierai a sognare un po'?" mi rimprovera bonariamente.
"Ma io sogno, anche troppo, solo che ogni tanto mi ricordo di tutto ciò che mi circonda, a differenza tua mia cara..." dico mentre abbasso per puro caso lo sguardo sull'orologio.
"Carrie è tardissimo, dobbiamo correre" esclamo non appena mi rendo conto dell'orario.
Iniziamo a correre e, mannaggia a me, non potevo aspettare un altro momento per questa lettera? Odio arrivare in ritardo, tanto quanto odio correre: l'attività fisica non è decisamente il mio forte. Beh, nemmeno Carrie sembra cavarsela più di tanto con le sue gambe lunghe e, sarà brutto da dire, ma questo mi conforta. Mi viene quasi da ridere ai pensieri stupidi che mi passano per la testa, fino a che non riesco a trattenermi: scoppio a ridere mentre boccheggio alla ricerca di aria.
La mia mente malinconica mi riporta di nuovo indietro nel tempo, a quando correvo con i miei fratelli nel piccolo giardino che abbiamo dietro casa: ci rincorrevamo fino a rimanere senza fiato e le nostre risate facevano da dolce sottofondo.
Ritorno alla realtà solo quando vedo in lontananza il grande portone dell'ospedale e finalmente mi rendo conto che non ci sarà mia madre ad affacciarsi dalla veranda a chiamarci per la cena. Ultimamente mi succede spesso: mi perdo nei miei pensieri e ricordi. Dovrei smetterla di fantasticare, dovrei guardare avanti, non pensare più al passato.
"Ce l'abbiamo fatta!" mi dice Carrie, scoppiando in una grassa risata.

***

"Il prossimo!" dico senza alzare lo sguardo. Sono due ore che sono l'incaricata dei vaccini contro la febbre gialla, evviva: ormai è diventato un gesto meccanico. Prendo la cartella dall'uomo in piedi davanti a me e comincio a leggere le poche righe che mi interessano: nome, cognome, altezza, peso... per regolarmi con le dosi e non stendere il poveretto. Anche se sarebbe esilarante una scena del genere, proprio quello che mi ci vorrebbe dopo una giornata così stressante. Sto forse delirando?
"Buongiorno..." il timido saluto del soldato in piedi di fronte a me mi stupisce.
Nessuno mi aveva salutata fino ad ora. Non per scortesia, certo: tutti qui sono impegnati nei loro affari e dopo due ore o più di file, iniezioni ed esami, nemmeno io avrei più le forze di essere minimamente cortese. Ma una piccola cosa come questa fa sempre piacere.
"Buongiorno..." rispondo cercando il più possibile di nascondere il mio stupore, alzando lo sguardo dalle scartoffie.
Incontro due piccoli occhi marroni che mi scrutano attentamente e ricambio lo sguardo.
"Sono Joseph Myers" mi dice accennando un piccolo sorriso.
Ricambio il sorriso.
"Lo so" dico facendo cenno alla cartella che ho ancora in mano.
"Già..." ride piano scuotendo la testa.
"Bene tenente Myers, da prassi devo fornirle qualche informazione: la vaccinazione è altamente raccomandata come misura preventiva per tutti i soldati dell'esercito americano. Lei può rifiutarla ma questo comporterà un'immediata espulsione dal corpo militare" mi fa cenno con la testa, perciò continuo.
"Si appoggi al lettino e si scopra" gli ordino.
"Così?" mi chiede senza guardarmi e con un filo di imbarazzo.
Mh, timido il ragazzo.
"Sì..." rispondo dando una veloce occhiata al suo fondo schiena. Niente male...
Mi avvicino da dietro e senza preavviso affondo l'ago profondamente nella sua natica. Sento provenire dalle sua labbra un piccolo lamento: questa è la parte che preferisco. Mi scappa una risatina per tutti questi uomini grandi e grossi che non si fanno scalfire da nulla, ma che davanti ad un ago riescono a mala pena a sopportare il dolore.
"Le fa ridere? Beh, signorina, è tutta la mattina che mi ficcano siringhe nel corpo" mi dice, probabilmente seccato per il fatto che sto ridendo di lui.
"E' il nostro lavoro tenente. Siamo qui per far sì che i valorosi uomini che devono proteggerci siano in salute" rispondo prendendolo un po' un giro.
"Già.." dice mentre il sorriso sulle sue labbra sfuma via e si rimette a posto.
Perfetto, non ha colto l'ironia. Cavolo, cercavo di essere simpatica, volevo continuare questa specie conversazione. Dio, sono un disastro.
"Allora... arrivederci, tenente Myers" dico ricomponendomi, una volta finito il mio lavoro.
"Arrivederci e grazie, tenente..." mi dice, questa volta con un sorriso teso.
Diamine, ho fatto davvero una così brutta impressione?
"Barlow, Grace Barlow" rispondo diligentemente.
"Arrivederci tenente Barlow" dice avvicinandosi alla porta, mentre penso che dovrei iniziare a guardarmi in giro e a mettermi in gioco.
E' ora che cominci a fare pratica con gli uomini, per evitare queste figuracce e questi primi approcci maldestri. Con le ragazze mi vanto sempre della mia sicurezza e di come sarei facilmente in grado di parlare con un uomo con nonchalance, ma la verità è che sono così imbarazzante da allontare gli uomini non appena apro bocca. Prima di aprire la porta si gira e ritorna indietro verso di me. Sta... davvero tornando da me? Forse non sono andata poi così male...
"Emh..." fa cenno alla sua cartella che è rimasta sulla mia scrivania.
Oh. Nascondo la delusione mentre gli porgo le sue scartoffie.
"Grazie" esce e se ne va, non prima di avermi lanciato un'ultima occhiata.
Oh, avanti. Cosa mi aspettavo? Di solito non mi faccio tutte queste aspettative. Ripensandoci mi viene da ridere: sono davvero arrivata ad una situazione in cui mi emoziono se un uomo mi saluta? Ho pur sempre una dignità, suvvia. Sono diventata un fenomeno da baraccone. Dovrei farmi dare dei consigli da Barbara, lei sì che saprebbe darmi qualche dritta.
"Il prossimo" urlo verso la porta che si apre di scatto facendo entrare un ennesimo omone muscoloso.
Reprimo il sorriso scaturito dai miei pensieri, folli, e mi rimetto a lavoro: mi aspetta ancora una lunga fila di testosterone da bucare.

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