Prologo: Leila

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LEILA

"Ciao mamma, io esco!"

"Si può sapere dove vai, signorina?"

"Da Luisa! Devo riconsegnarle una maglietta che mi ha prestato per ginnastica!".

"Eh no, signorina, tu non vai da nessuna parte senza il mio consenso!"

"Ma mamma... è una settimana che devo ridargliela! Va a finire che me lo scordo di nuovo... e quella poi m'ammazza!".

"Potevi organizzarti meglio, signorina. Sono io qua che decido. E io ho deciso che oggi tu resti qua!"

"Mamma mia, che rompi che sei! Non ho un minimo di libertà con te!"

Questo sarebbe successo tre anni fa. Mia madre era così: una soldatessa, anzi, che dico, un generale. La odiavo per questo. Quel suo modo di calcare l'accento su "signorina", la sua mania per avermi sempre con sé, a casa. Un tempo avrei dato di tutto pur di non avermela tra i piedi. Ora, darei la mia stessa vita pur di avere una discussione con lei. Avevano ragione i Passenger: ti rendi conto di amare qualcuno solo quando lo perdi. Loro non dicevano però che ci sono perdite indelebili. Parlavano di amori finiti, non di vite finite. E ora è troppo tardi per dirglielo. Dire che in fondo la amavo, che lei era tutto per me. Dirle quanto mi manca, quanto io viva nel dolore di non averle mai detto tutto quello che lei era per me. Lei non era una semplice madre: lei era la mia guida, la mia migliore amica, la persona che mi capiva più a fondo. Lei era il mio porto, il mio rifugio, il mio letto. Lei era il mio esempio, la persona che stimavo e amavo di più. Lei era la madre migliore che una figlia possa desiderare, nonostante tutti i suoi difetti. Lei era carismatica, gentile, comprensiva. Con uno sguardo capiva tutto di me, e sapeva subito come migliorarmi la giornata. E io tutto questo non gliel'ho mai detto. Non ho mai avuto il tempo di dirglielo. Pensavo di avere una vita con lei, una vita per esprimere tutto questo. Nessuno mi aveva detto che se ne sarebbe andata. E io, stupida com'ero, non ci ho mai pensato a dirglielo. Mi sono resa conto che era troppo tardi quando ormai se n'era andata. Lì, appoggiata con la testa al vetro della sua stanza d'ospedale, mentre lei moriva, io le dicevo tutto questo. Non so se mi abbia sentito. Ho paura di averle lasciato l'impressione che sua figlia, la sua unica figlia, non l'abbia mai amata veramente.

Non sapete quanto io voglia avere un istante, un solo istante in più con lei. Per riguardarla in faccia ancora una volta, per toccarle i suoi morbidissimi capelli, per perdermi nei suoi occhi azzurri come il mare. Per sentire la sua voce uscire da quelle sue labbra rosse come un fiore, per sentire il battito del suo cuore un'ultima volta, un'ultima volta. Ma questo istante non mi sarà concesso mai più. Lei se n'è andata, per sempre, consumata dal cancro, con la faccia emaciata e il cranio pelato. Non ha nemmeno sorriso quando è morta. Il suo volto era una maschera di sofferenza, di dolore. "Tua madre è una donna bellissima" mi dicevano "tienila stretta". Io non capivo queste parole. Mi dicevo "Perché? Dove vuoi che se ne vada? Lei non mi abbandonerebbe mai!". Non capivo. Ci sono arrivata quando era troppo tardi.

La mia vita ormai è così: troppo tardi. Troppo tardi per dirle quanto la amo, troppo tardi per correggere tutti i miei errori, troppo tardi per andare avanti e far finta che non sia cambiato niente. Perché è cambiato tutto. La mia vita è cambiata totalmente, e non c'è nulla di positivo in tutto ciò. Non c'è più nulla. Nulla di me, nulla di mia madre. Io non sono più Leila. Sono totalmente diversa, e neanche il nome mi si addice più. La principessa ha perso il suo regno, eppure è andata avanti. È diventata un generale, il simbolo della ribellione. Io, invece, sono diventata una rammollita. Tutto mi scorre addosso come acqua. La mia vita è una serie di eventi al di fuori del mio controllo. Io sono diventata una spettatrice, una spettatrice della mia stessa vita. Ero bellissima, mi dicevano. Ora mi guardo allo specchio e non mi riconosco più. Sono diventata l'ombra di me stessa: pallida, magra, con il volto scavato e le borse sotto agli occhi. Ero bellissima, mi dicevano. Ora la gente mi guarda con pietà. Ero una studentessa brillante, la prima della classe. Ora sto a malapena a galla, e questo grazie alla pietà dei miei professori. Pietà. Ecco un'altra caratteristica della mia vita. Ora sono solo una ragazza che ha bisogno di pietà. Non vedono più la ragazza forte, bella, vera che ero un tempo. Ora vedono una ragazza che fa pietà.

E non li biasimo, niente affatto. Anch'io mi faccio pietà. Da quando mia madre se n'è andata sono entrata in un tunnel senza via d'uscita, un tunnel di disperazione. E non credo di uscirne mai. Ci sarebbe bisogno di un miracolo. In realtà, una piccola uscita c'è: i libri. I miei libri ormai sono tutto per me: uno spiraglio di luce. Dentro quei mondi invisibili ho trovato rifugio dalla mia stessa vita. Senza i libri non sarei qui a pensare. Senza i libri non sarei qui, punto. Sono il mio rifugio, ora. Ma so, che per quanto mi sforzi di trovarne uno, nessun rifugio sarà mai accogliente come le braccia di mia madre.

La gente mi dice che troverò una via d'uscita, che ci sarà qualcuno in grado di tirarmi fuori da questo pantano. Ma io non ci credo. Non può esistere qualcuno con braccia così forti. Nel mio cuore, giace ancora la speranza che la mia vita cambierà. Ma ho imparato a mettere a tacere quella voce, come le mille altre voci che mi parlano, che m'insultano, che mi biasimano. L'unica voce che ora parla è la disperazione.

SPAZIO AUTRICE

Eeh sì, mi rendo conto che è pesante. Ieri stavo proprio male, fidatevi. Quindi eccovi un assaggio di me disperata...

Non credo di dovervi fare la solita raccomandazione.... COMMENTATE! Nessuno vi uccide se lo fate. A PRESTO!

𝕷'𝖆𝖒𝖔𝖗𝖊 è 𝖚𝖓𝖆 𝖋𝖊𝖓𝖎𝖈𝖊 || IN PAUSAWhere stories live. Discover now