Nel mio modo puro e infantile, credevo che tutte le maestre mi amassero, anzi vi dico di più, credevo che mi amassero più di quanto amavano i loro stessi mariti. Quando le incrociavo per strada, e magari loro stavano passeggiando con il loro consorte, loro mi venivano sempre incontro. Lasciavano il braccio, la mano, il fianco del marito per venire a parlare con me, per accarezzarmi la testa o darmi una pacca di incoraggiamento, per ridere delle mie battute, e questo mi faceva credere, nella mia ingenuità, che questo significava che preferivano me. Preferivano me, ah!

«Ma suo marito le scrive mai delle poesie?» Chiesi una volta alla mia professoressa di matematica. Ero già pronto, nel caso mi avesse detto di sì, a chiederle «Ma sono belle come le mie?».

Lei però non mi disse di sì, mi guardò invece con un sorrisetto. Le altre mi guardavano con un gran sorriso, ma lei no: un sorrisetto era il massimo che concedeva a chiunque, perciò ero comunque piuttosto soddisfatto.

«No» Mi disse «Non credo che mi abbia mai scritto una poesia. Però è muscoloso, con muscoli come quelli che bisogno ha di scrivere poesie?».

Tutta la mia baldanza scomparve all'improvviso. E così la mia professoressa di matematica preferiva suo marito perché aveva un fisico più definito del mio? In effetti suo marito, un bodybuilder di centodieci chili con i capelli a spazzola, era ammirato da parecchie persone, compreso me che avevo iniziato a figurarmelo come un cavaliere... beh, adesso era un nemico. Un cavaliere nemico. Ma io ero soltanto un bambino! Non avevo modo di diventare come lui, non avevo il testosterone. Mi disegnai una barba finta, mi appiccicai dell'ovatta sul petto, ma non erano muscoli, erano finti peli, e me li fecero pure togliere perché era pieno inverno e con la camicina aperta per mostrarli rischiavo di prendere una polmonite. Ero grato alle insegnanti perché volevano prendersi cura della mia salute, ma anche molto deluso perché non avevano notato i miei nuovi, seducenti peli di ovatta.

Finiscila di ridere, Pinocchio cretino. Scommetto che fai ca... volate molto peggiori di questa. Almeno questa era motivata dall'amore.

I miei genitori erano fieri di me: sono persone che credono che la cosa più importante, per un figlio maschio, sia sapersi difendere, e io avevo dimostrato di non provare alcun timore. Nessun bulletto poteva farmi del male. Mentre sono sicuro che a te, Pinocchio, te ne danno così tante ogni giorno che... ahi! Ma sei scemo, mi hai dato un calcio? Ma io ti strappo la testa figlio di... non mi guardi così, signor Lazzaretti! Lei si fa prendere a calci senza rispondere? E che cavolo significa che è solo un bambino? Sì, sì, mi calmo, mi siedo, stia tranquillo. Tenga a posto quelle manone!

Dove ero rimasto? Ah, sì, alla mia infanzia, alle mie prime risse, alle piccole e dolci stupidaggini che feci per amore. E alla mia prima, straziante gelosia.

Più i giorni passavano, più odiavo il marito della mia insegnante di matematica. Si chiama Giovanni ed era ben lontano dall'essere il marito perfetto: era egoista ed egocentrico, maschilista, il contrario di galante, e lo sapevo perché avevo iniziato a spiare la sua vita. Insomma, dicevo a mia madre che andavo a giocare con i miei compagni, ma invece mi appostavo nel giardino della casa della maestra e ascoltavo da sotto la finestra, a volte mi azzardavo anche a guardare dentro, tanto se mi avessero scoperto avrei potuto dire che stavo solo giocando nel loro giardino e che ero passato per salutare.

Giovanni non indossava quasi mai la maglia, lo faceva per mettere in mostra il suo torso che sembrava scalpellato da Michelangelo, e secondo il mio parere era questa l'unica cosa che aveva fatto innamorare la mia maestra di lui. Mentre lei spazzava il pavimento, stendeva i panni al balcone, passava il mocio, cucinava, andava a prendere la loro unica figlia a scuola, lui faceva sempre le stesse due cose: beveva birra analcolica di fronte alla tv oppure si allenava. Giovanni si allenava a casa e anche in palestra, occupato quando sua moglie era in casa e sempre assente per tutto il resto del tempo. Non lo lodi, signor Lazzaretti! C'è poco da lodare, quando non si ha nient'altro nella vita che questa dannata palestra. Non sapevo che lavoro facesse Giovanni, ma la mia mente di bimbo arrivò a credere, forse a torto, che fosse persino disoccupato e che la mia amata maestra dovesse mantenerlo oltre che tenere a posto la casa per lui.

Un boccaccio di AmuchinaWhere stories live. Discover now