La comunità oscura

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Ero sfatta dalla fatica ma non riuscivo ad addormentarmi. Chiudere gli occhi e riposare sembrava essere un'impresa impossibile. Iniziai a contare le pecore come facevo da bambina, ma altro che pecore! Vedevo saltare germi. Quel bastardo di virus stava mietendo vittime non solo fra la gente ma anche fra le attività produttive, compresa l'editoria.

Le difficoltà non mi hanno mai spaventata, ma il panico che si stava diffondendo rischiava di crearmi seri problemi. L'immobilità mi ha sempre spiazzato, mi ha resa vulnerabile, soggetta a depressione. E io la depressione, in passato, l'ho affrontata e spazzata via. La guerriera che è in me ha sempre pensato che la pace sia banale e soporifera, e che sia più intrigante svegliarsi e affrontare una battaglia, ma nella situazione di stallo in cui era l'economia cosa potevo fare?

Con questo pensiero chiusi gli occhi e mi ritrovai in ufficio- Dovevo trovare una risposta a quell'interrogativo. La segretaria, a debita distanza e bardata di guanti e mascherina, mi annunciò la visita di un signore che insisteva nel vedermi. 

Il solito imbrattacarte che ritiene di essere degno del premio Bancarella e mi offre la possibilità di pubblicare il suo testo, pensai.

Sticazzi, entrò un uomo da copertina, vestito come un figurino, che sprizzava benessere da tutti i pori, incurante della crisi da Covid - 19. La cosa era al contempo ridicola e interessante. Dopo le solite frasi di circostanza, che servono a misurarsi a vicenda ma che a me fanno venire l'orticaria, entrò nel merito della visita, dandomi del tu.

«Ti considero una persona con cui poter parlare liberamente e penso che con il lavoro che svolgi tu non ti stupisca più di nulla», esordì.

«Dimmi pure», risposi tranquilla, pur non avendo capito dove volesse andare a parare.

Raccontò che faceva parte di un'organizzazione cui aderivano persone influenti, gente in grado di esercitare potere e disposta a mettere a disposizione della congrega ingenti risorse. Capii che parlava di una setta. Mi venne a mente La comunità oscura, un romanzo di Mario Grasso pubblicato dalla mia casa editrice.

«Possiamo fare molto per te, per la tua impresa» aggiunse.

«In cambio di cosa?», chiesi incuriosita.

«Di te, della tuo ingresso nella nostra famiglia, in cambio di un sacrificio. Pensaci bene. Ti chiamo domani.»

Allungai sulla scrivania il mio biglietto da visita con i miei contatti.

«Sappiamo tutto di te, grazie. Non serve.»

Mi salutò cordialmente, senza porgermi la mano. Sorrideva ed era molto affascinante. In tempi normali avrei anche pensato che sarebbe stato bello "farci un giro".

Devo dirlo a qualcuno, pensai, magari parlando mi chiarisco le idee.

Convocai su Skype il mio braccio destro, la capo editor, e le raccontai dell'episodio informandola che come "ultima spiaggia" la proposta non era un'azione da scartare.

«È proprio necessario?» mi chiese incredula.

«Ognuno conserva al proprio interno una zona d'ombra, ma dove c'è ombra c'è sempre luce: ecco, io voglio vedere la luce che c'è dietro la mia ombra.»

«Questo lavoro lo puoi fare con uno psicologo...»

«Non sarebbe la stessa cosa, sarebbe meno pruriginoso, meno intrigante... e non servirebbe alla casa editrice.»

«Ma avresti a che fare con gente pericolosa, e tu sei solo una donna...» mi disse con aria preoccupata.

«Io non sono solo una donna, sono il Direttore della Casa Editrice», risposi, e con queste ultime parole chiusi la comunicazione.

L'elegantone mi richiamò il giorno dopo e gli dissi che avrei accettato.

«Passo a prenderti mercoledì sera alle nove, metti un vestito nero lungo, elegante», mi disse.

Ci incontrammo come previsto e, durante il percorso, mi spiegò come si sarebbe svolta la cerimonia.

Mi portò in aperta campagna e parcheggiò nel cortile di un'antica cascina. Ancora prima di entrare fui raggiunta da odori di incenso e legna di sottobosco che si sovrapponevano al tanfo di humus e di marcio. Mi sembrò di avvertire l'alito della terra molle che digerisce i cadaveri e gli alberi morti.

In ciò che restava del fienile, erano stati ammassati dei blocchi di tufo per creare un piccolo altare. Un drappo nero, sul quale poggiava una croce rovesciata, li ricopriva in parte. L'ambiente era rischiarato dalla luce tremolante di numerose candele che proiettavano sulle pareti ombre serpeggianti. Sembravano grossi ragni a caccia di prede. Rabbrividii.

Una ventina di persone erano disposte a semicerchio intorno a quella specie di altare dietro il quale si stagliava l'imponente figura di un uomo con una folta barba bianca e gli occhiali scuri. I castoni di due grossi anelli occupavano l'intera falange dell'anulare sinistro. Uno dei due portava l'immagine di due triangoli sovrapposti: un pentacolo.

Il mio accompagnatore mi appoggiò una mano sulla spalla e mi fece capire che dovevo inginocchiarmi. Obbedii. Lui fece un passo indietro e si inserì nel cordone umano alle mie spalle. Mi resi conto della ridicolaggine di quella messinscena, ma era più facile scardinare le difese razionali con banalità di quel tipo che non con elementi più raffinati e colti.

Qualcuno mi porse un cartoncino su cui era scritto un giuramento che dovevo recitare ad alta voce. Una sorta di battesimo e di obbedienza alla setta. Lessi.

«Di fronte all'onnipotente e ineffabile Dio Satana e in presenza di tutti i Demoni dell'Inferno, che sono i veri e originali Dei, dichiaro di rinunciare a ogni e qualunque passata alleanza. Proclamo Satana come il mio solo e unico Dio. Prometto di riconoscerlo e onorarlo in tutte le cose, senza riserve, desiderando in cambio la sua guida e la sua assistenza nel realizzare con successo e portare a termine i miei sforzi. Ave Satanas.»

Un potente "Hail Satan!" fu la risposta dei presenti.

Avvicinai il certificato alla fiamma di una candela, lo inserii in una sorta di braciere e lo ridussi in cenere.

Sull'altare fu deposto un agnellino legato.

«Il sacrificio è un momento di comunione fra l'adepto e la divinità», disse il sacerdote. «Questa sera sacrifichiamo questo agnello per darti il benvenuto. Nel prossimo incontro celebreremo la tua transizione dalla vita precedente, la NoEap, a quella di membro della setta Eap sacrificando l'agnello che offrirai tu», e disse il nome.

Urlai, e mi svegliai madida di sudore.

Sticazzi. Sono due le cose che non farò mai: rinunciare alla mia amica e devota capo editor e diventare una casa editrice a pagamento.

(Questo capitolo è frutto della "penna" di Mario Grasso)

Nera a prescindereWhere stories live. Discover now