14. De Rerum Vetitae

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Russell si avvicina a me e mi poggia una mano sulla spalla, sorridendo entusiasta. «Brava ragazza.»

«Sei venuto a prendermi per andare nella stanza numero 2?», gli domando subito dopo con tono piatto. Non lo sto neppure guardando negli occhi, lo sguardo perso verso un punto indefinito dietro alle sue spalle. Le fitte alla testa si stanno già alleggerendo, e con esse anche i miei respiri si fanno più lievi.

«No, oggi la terapia non è necessaria. Ti stai comportando bene, ultimamente, e tuo padre è molto felice dei progressi che fai», mi spiega. «Sono venuta per portarti da lui, in realtà. Vuole parlarti un po'.»

Annuisco piano e gli indico la porta con un gesto del mento. «Andiamo, allora? Non vorrai farlo aspettare.»

L'uomo scoppia in una risata di gusto e mi guida fuori dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle. «Sai che quasi non ti riconosco più, ragazzina? Inizi quasi a piacermi, così spenta e accondiscendente», mi rivela, mentre ci inoltriamo nel piccolo labirinto di corridoi stretti che conducono all'ufficio di mio padre.

Cornelius sta seduto dietro alla sua scrivania, con gli occhi socchiusi e due dita sulle tempie, mentre nella stanza suona una musica di sottofondo rilassante e piacevole. Tutto attorno a lui è statico, ma è chiaro che non si stia riposando: piuttosto, pare concentrato.

«Signore, mi spiace disturbarla, ma...»

«Entrate, entrate», risponde sbrigativamente lui. Toglie l'indice dalla tempia e inizia a disegnare delle linee in aria, a ritmo con la musica classica che esce da un vecchio giradischi alle sue spalle. «Conoscete Nocturne di Chopin? Io lo trovo così... come dire, stimolante

Russell mi spinge dentro la stanza, fino a farmi avanzare di fronte alla scrivania di Cornelius e mi invita sottovoce a sedermi, indicando la sedia imbottita. «È deliziosa, signore.»

Cornelius ondeggia ancora una volta la testa e distende le labbra in un sorriso rilassato. Alla fine, quasi sul finale del pezzo, apre gli occhi e mi osserva interessato. «Abby...» Pronuncia il mio nome con una lentezza ammorbante, gustandone ogni lettera sulle labbra sottili. «La tua visione è sempre un piacere. Come ti senti?»

Rimango con le braccia distese lungo i fianchi e lo sguardo impassibile. Non provo più rabbia o risentimento, nei suoi confronti. Non mi sento più in gabbia, qui dentro, né incolpo più loro per avermici rinchiusa. Mi limito solo a fissarlo, come si guarda la figura stampata di un libro o quella di un manifesto anonimo appeso per strada, tra un albero e un altro. «A parte le emicranie, bene.»

«Quelle passeranno a breve. Sono gli strascichi che ti porti dietro della tua... Be', della tua parte emozionale, diciamo.»

Di nuovo, mi trovo ad annuire. Non saprei cos'altro dire, né ne sento il bisogno. Le parole di mio padre mi entrano nelle orecchie e raggiungono qualche parte nascosta del mio cervello dove, anziché essere elaborate, vengono accantonate da una parte, senza nemmeno il bisogno di essere capite.

Il pezzo di Chopin termina e con esso termina anche il vinile. Cornelius si alza in piedi, dopo avermi lanciato un'ultima occhiata indagatrice, e sfila il disco, riponendolo nella sua custodia di carta colorata. Prima di tornare di fronte alla scrivania, però, si volta verso Russell e gli indica con il dito una delle sue librerie a ridosso della parete. «Il libro. Portalo qui.»

L'uomo annuisce rapidamente e comincia a scorrere gli occhi sui vari titoli disposti in maniera ordinata lungo le mensole in legno. Dalla posizione in cui mi trovo, riesco appena a scorgerlo, mentre con la bocca mima dei numeri e con le dita conta silenziosamente un numero indefinito di libri, come se stesso seguendo delle indicazioni. Alla fine, arrivato quasi alla parte centrale della libreria, sfila tre tomi rosso mattone e infila un braccio dentro allo spazio creatosi, che sembra essere più profondo di come in realtà appare. Da lì tira fuori un grosso libro dalla copertina rigida in cuoio e le pagine giallastre inumidite e lo porta con estrema delicatezza fino alla scrivania, dove lo lascia, poggiandolo sulla superficie di legno con un sospiro teso. Sembra che quell'ammasso di carta straccia e puzzolente valga più della sua vita, dalla smorfia contrita che è dipinta sul suo volto magro.

Hybrid - Legami SpezzatiWhere stories live. Discover now