Capitolo 7

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"So che non hai dormito da Tess, Kat."

Lia mi si avvicina alla fine delle lezioni, nel piccolo piazzale davanti l'entrata della scuola.

"Cosa?" faccio la finta tonta.

"So che hai passato la notte fuori. E so anche che zoppichi, nonostante tu stia cercando di nasconderlo."

"Ma che stai dicendo?"

"Però non so come abbia fatto a rimanere in vita."

"La tua immaginazione è troppo esagerata a volte" taglio corto.

Alzo lo sguardo e incrocio quello di due occhi di un colore simile al ghiaccio.

Kyle.

Mi blocco.

"Aspetta un attimo" dico a mia sorella.

Avanzo verso di lui, dall'altra parte della strada, ma è già sparito.

Possibile che nessuno si sia accorto di lui?

"Kat?" Lia mi riporta alla realtà.

"Andiamo" dico guardando ancora nella direzione dove poco prima c'era Kyle.

Nel pomeriggio, esco per andare a comprare il pane. Il forno è poco distante da casa e ci arrivo a piedi, senza il bisogno di prendere la bicicletta.

A quest'ora non c'è molta gente -dato che è quasi sera- e faccio presto.

Uscendo dal negozio, sento qualcuno chiamare il mio nome.

Mi volto.

"Ciao" dice timidamente Tess.

"Ciao" rispondo "scusa, ma ora devo andare."

Faccio per andarmene, ma lei mi ferma.

"No, aspetta, Kat!"

"Cosa?" rispondo sgarbata, anche se non avrei voluto esserlo.

"Mi dispiace, Kat. Non so cosa mi sia preso" dice "e..." esita "sono contenta che tu sia viva."

"Lo stesso vale per me" rispondo "ora devo andare, ci vediamo a scuola."

Sulla via del ritorno, rabbrividisco al leggero venticello che nel frattempo si è alzato.

Mi stringo nel cappotto.

Sento dei passi dietro di me.

Lenti, calcolati.

Dentro di me monta il panico ancora prima di voltarmi di scatto per vedere la strada deserta dietro di me.

Improvvisamente la strada per arrivare a casa sembra più lunga del previsto.

Mi affretto, ma più cerco di sbrigarmi, più la strada sembra non finire mai.

La caviglia mi provoca un dolore acuto lungo la gamba e stringo i denti per non urlare.

Un fruscio dietro di me mi fa voltare di nuovo.

Non c'è nessuno.
Torna a casa, non ti voltare. Sei sola, Kat-questo è quello che mi ripeto.

Alzo lo sguardo, ed eccolo lì.

Un ragazzo materializzatosi dal nulla.

Mi blocco. Lui iniza ad avanzare. Lentamente.

Io inizio a indietreggiare, velocemente.

Kyle scompare dalla mia vista, per poi riapparire un attimo dopo davanti a me, più vicino. Indietreggiando, inciampo e cado, infierendo sulla caviglia che ormai-sono abbastanza sicura- sia rotta.

Gattono all'indietro finché non vado a sbattere contro qualcosa di duro.

Strizzo le palpebre, poi le apro.

Kyle è vicinissimo, adesso.

Trattengo un grido.

"Che vuoi?" urlo.

Lui fa un sorriso strano.

"Ti salvo la vita."

Sto per ribattere, quando altri due ragazzi compaiono in fondo alla strada.

"Andatevene" dice senza staccare gli occhi da me.

"Lei è mia."

Il suo tono è un misto tra il minaccioso e l'autoritario.

"Ma che diamine..."

"Siete arrivati tardi, e questa festa è privata."

Quando siamo soli, Kyle si rivolge a me:

"Posso farlo per una sera, non posso continuare a farlo per tutto il resto della tua misera vita."

Qualcosa in queste parole mi fa scattare.

"Misera vita? Non ti ho chiesto io di 'salvarmi' e non ti chiederò di certo di continuare a farlo. Non ne ho bisogno."

Lui reprime una risata a stento.

"Sì, certo."

"Ora fammi andare. Mamma si starà preoccupando."

Mi alzo, ma la caviglia mi provoca un dolore acuto e sono costretta a stringere gli occhi per cercare di scacciare le ombre nere che mi danzano davanti.

"Dovresti far vedere quella caviglia. Per il tuo bene."

Gli lancio un'occhiata truce.

Lui mi ignora e dice:

"Dai, fa vedere."

"No."

"Avanti, Katherine."

"Non chiamarmi per nome."

Sospira e si china su di me.

Mi prende la caviglia delicatamente e se la poggia su una gamba.

La osserva, ne valuta la condizione, poi annuncia:

"È rotta."

In effetti, la caviglia ha assunto un colore violaceo misto ad un blu.

"Lo so, ma se solo tu e i tuoi..."

"Shh" mi tappa la bocca con la mano.

Resta in attesa, i muscoli tesi, i suoi sensi in allerta.

Si guarda intorno, lentamente.

Poi, dopo un tempo che sembra un'eternità, si rilassa.

"Bisogna fare qualcosa a questa caviglia" dice soltanto.

"Tipo fasciarla?" lo sfotto.

Lui mi ignora.

"Vedo se riesco a fare qualcosa" dice con un sospiro.

Chiude gli occhi e poggia una mano sulla mia caviglia. Espira. Inspira.

"Che fai?"

"Ti riassesto l'osso in un modo più veloce" spiega pratico.

"Che cosa?!" sbraito.

"Sta tranquilla, non sentirai dolore" mi rassicura, ma lo sento lo stesso mormorare un "almeno credo".

Sto per ribattere, quando dice:

"Fatto. Visto? Non te ne sei neanche accorta."

Rimango a fissarlo attontita.

"Ora vai a casa, piccolina. Che qui ci sono i mostri cattivi" mi sfotte; poi sparisce, lasciando dentro di me un senso di rabbia mista a indignazione per quello che ha detto, per come lo ha detto.

Mi sento anche confusa. Per come si è comportato. Prima fa lo stronzo, poi il gentile e il premuroso, poi di nuovo lo stronzo strafottente.
È lunatico, penso mentre entro dentro casa.

After the midnight [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now