La prima volta

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Avevo appena mandato la richiesta.
Mi aveva risposto la padrona di casa, in inglese Landlady, dicendomi che potevo vedere la casa il giorno dopo, alle 4 del pomeriggio, tra i due turni al ristorante dove lavoravo (pranzo e cena).

Aveva detto anche che ero il primo in assoluto a vedere quella stanza.

Ero felice, perché dall'annuncio comunque mi piaceva, e finalmente quindi mi sarei trasferito, iniziando una nuova vita che mi avrebbe potuto alleggerire il peso del mondo che cercava di calpestarmi ogni secondo.

Il giorno dopo andai a vedere la casa. Me la mostrò un coinquilino perché la landlady era in vacanza.

La casa mi piaceva.
Contattai subito la landlady per dirle che la prendevo, appena 5 minuti prima di tornare a lavorare mi ricontatta dicendo che un altro ragazzo ha preso la stanza, mollandogli i soldi subito.
Non ho ancora capito come è successo tutto quanto. Fatto sta che avevo perso l'ennesima occasione per migliorare la mia vita.

Dovevo ritornare in quella cazzo di casa condivisa in quel quartiere di merda nella zona tre di Londra.

La delusione dell'ennesima stanza persa. La sensazione di completo fallimento alimentata dalle critiche a lavoro.

Mi sentivo inutile, solo stress e clienti di merda. Solo sbagli e gente che mi dà addosso per tutto.
Sensazione di sconfitta.

Era domenica, finisco di lavorare e prendo il bus. Ero vuoto nell'anima, stremato dalle frustrate della vita.
Dalla delusione di quella giornata.
Entro nel bus, scorro i post di Instagram senza leggerli, spengo il telefono e penso. Avrei bisogno di lei in questo momento. Mi manca.

Arrivo a casa, in stanza. Mi butto sul letto.

Respiro molto affannosamente.

Il silenzio mi dava modo di pensare, pensare e pensare qualunque cosa mi passasse per la testa quel giorno.
Ricordi, nostalgia, dolore e speranze distrutte. Tutti i fallimenti della mia vita.

Gli occhi iniziano a lacrimare, l'ansia era arrivata al culmine.

Era insopportabile.

Mi presi i capelli per la disperazione, tiravo pugni sul materasso.

Mi alzai e cercai qualcosa di affilato, ma non trovavo niente nella mia stanza.

Presi la carta di credito, nulla.
Feci il coso con la carta piegata , nulla.
Erano raschi che non mi davano soddisfazione.

Iniziai a trarre piacere anche solo dal fatto di riuscirmi a tagliarmi come si deve. Ed ogni fallimento era per me una sconfitta, dovevo vincere.
Dovevo trovare qualcosa di più affilato.

Così vidi le forbici li sulla scrivania. Le prendo e le appoggio sul braccio.

Comincio a premere.

Nulla.

Io ci speravo, ma poi scoprii che la lama non era davvero affilata, perché era piatta sulla punta. Se notate le lame delle forbici sono così, tagliano quando si incontrano tra di loro,a sa sole non sono poi così taglienti.

Ma non mi volevo arrendere, iniziai ad infierire sul braccio sinistro sfregando la lama sulla pelle così tanto da riuscire dopo tante bestemmie a vedere qualcosa.
Il raschio era diventato di un rosso acceso.
Niente sangue, ma mi bastava.
Avevo lasciato un segno del mio dolore, del mio sfogo, e un po' mi aveva aiutato a distrarmi, a tornare a fregarmene delle assurdità della vita.

Psicologia del dolore autoinflittoWhere stories live. Discover now