Capitolo 6

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Ci eravamo alzati ed avevamo iniziato a guardarci in giro per capire dove fossimo finiti.
Avevo scoperto che non eravamo in Germania come avevo pensato inizialmente, ma in Austria, più precisamente a Graz, a circa due ore da Vienna.

La città appariva incantevole, non per nulla è patrimonio dell'umanità.
Il centro storico si estende sulla riva sinistra del fiume Mur ed è limitato a nord dalla collina del castello e ad est dal parco cittadino.

I due uomini avevano già smesso di cercarci da un po' ma noi continuavamo a sobbalzare al minimo rumore.

Camminavano l'uno di fianco all'altro in religioso silenzio, era raro che rimanessi a secco di discorsi ma qual ragazzo era così strano, non sapevo proprio come approcciare.
Iniziai a farmi una lista mentale delle cose che avrei potuto chiedergli senza sembrare invadente o a vari stratagemmi per riuscire ad estorcergli qualche informazione.
Scartai immediatamente il minacciarlo, inefficace e anche l'ipnotizzarlo, troppo complicato e non avevo un orologio.

Continuai a scervellarmi per un po' per poi arrendermi all'evidenza, non c'era modo per girarci intorno.
Optai allora per l'opzione più semplice, la sincerità.
Mi fermai di colpo e mi misi davanti a lui bloccandogli il passaggio.
Per poco non mi sbattè addosso «Ma sei cretino!?»
«Non voglio stare con una persona di cui conosco solo il nome» dissi deciso.
Lui mi lanciò uno sguardo gelato, ed a me vennero i brividi.
Era già un campione in questo campo ma con questa occhiataccia aveva superato se stesso.
Presi mentalmente nota del fatto che, prima o poi, avrei dovuto farmi insegnare la tecnica.

«Allora vattene» rispose, anche se notai un ombra di indecisione nel suo sguardo.
Non mi scomposi.
«Io non voglio andarmene, voglio solo sapere qualcosa di più sul mio compagno di viaggio, ed immagino che sia così anche per te»
Sbuffò distogliendo lo sguardo.
Lo presi come un sì.
«Facciamo come si vede nei film, una domanda a testa, o si risponde in modo sincero o non si risponde proprio, ci stai?» esclamai allungando la mano.
Ci pensò un po' su «non ti assicuro di rispondere a molto» rispose stringendomela.
Sorrisi, era già più di quello che mi aspettavo.

«Inizia tu» dissi
«Ehm, per curiosità, quanti anni hai?»
«Diciotto, tu?»
«Sedici»
«non è illegale per un minorenne viaggiare da solo?»
«una domanda a testa» ribadí.
Alzai gli occhi al cielo.
«Tocca a me, perché sei partito? » chiese
«Tu a questa domanda però non rispondi!» ribattei
Alzò le spalle «Puoi evitarla anche tu»
Sbuffai.
«Un brutto litigio con mio padre, comunque, non so, volevo iniziare a vivere la mia vita, credo. Qual'è il tuo obbiettivo?»
Mi squadrò confuso «che domanda è?»
«non mi vuoi dire perché sei partito, allora ti ho chiesto l'obbiettivo di questo tuo viaggio» dissi sfoderando un sorriso.
«Ma è la stessa cosa!»
«Non è vero» risposi
Gli sfuggì una mezza risata «Tu sei tutto scemo» fece un respiro e buttò la testa all'indietro «voglio andare a Valencia, non chiedermi altro, questo è tutto ciò che ti serve sapere»
«Mi accontento»
«Ho un ultima domanda per te» disse, per poi indicare con un cenno della testa il mio zaino «suoni la chitarra?»
«Oh, si! È scomoda da portarsi dietro ma non potevo lasciarla a casa»
Raccontai raggiante, come sempre insomma, quando si parla di musica.
«Fammi sentire qualcosa» esclamò trascinandomi verso la panchina più vicina.

Mi sedetti, presi in mano la custodia e la sfuorai lentamente con le dita, era da un bel po' di tempo che non la prendevo in mano, troppo a dire il vero.
Aprii il cofanetto e presi in mano lo strumento, era completamente decorata.
Avevo chiesto ad Aisha di personalizzarmela, è sempre stata una bravissima artista ed ero sicuro che avrebbe fatto un lavoro magnifico, e non mi sbagliavo.
Quando me l'ho riconsegnata non riuscivo a credere ai miei occhi, era ancora meglio di come me la aspettavo, la cassa armonica era diventata la tavola di un fumetto ed il tutto era abbellito da numerosi adesivi colorati, infine, nel bordo a sinistra spiccava una bellissima scritta: "Angel"

Sorrisi ripensando alla mia migliore amica, dovevo assolutamente trovare il modo di contattarla.
Mi appoggiai la chitarra sulle gambe, scelsi un plettro abbastanza duro ed iniziai a sfogliare il canzoniere finché una canzone non mi saltò all'occhio.
Feci un giro di accordi poi intonai:

«C'era un ragazzo, che come me, amava i beatles e i rolling stones, girava il mondo, veniva da, gli stati uniti d'America»

«Gianni Morandi!?» esclamò sconvolto.
«Quanta canzone è stupenda! E poi mi sembrava azzeccata per la situazione» risposi leggermente offeso.
«Ahh, te la dico io una canzone figa» affermò  strappandomi il canzoniere dalle mani, lo sfogliò velocemente finché non si fermò su una pagina ed il suo sguardo si illuminò.
Inizio a battere il ritmo sulla gamba:

«She keeps her Moet et Chandon, In her pretty cabine, "Let them eat cake", she says, Just like Marie Antoinette»

Sorrisi iniziando a strimpellare a ritmo, Killer Queen, una delle più belle canzoni di Freddy Mercury.
Iniziai a cantare anche io insieme a Cameron, devo ammettere che non era proprio intonatissimo, ma comunque piacevolmente orecchiabile.

Stavamo ancora cantando quando un signore, passandoci davanti, buttò una moneta nella custodia aperta ai nostri piedi.
Noi ci fermammo, guardandoci confusi, per poi scoppiare entrambi a ridere.
Era bello vederlo ridere, quell'espressione cupa che aveva sempre incollata al viso non gli rendeva per nulla giustizia.

«Il nostro Angel ha fatto colpo» disse
«Tutto metto del manager, non so se con Gianni avremmo ottenuto lo stesso effetto»
Scoppiò nuovamente a ridere,questa volta pareva non volersi fermare più.
Stava iniziando a sciogliersi un po' ed ero davvero felice di questo, stavo pian piano iniziando ad intravedere il vero carattere che Cameron nascondeva dietro a quel freddo muro di rabbia e apatia.

Si alzò ed andò a raccogliere i soldi «Hey, il vecchio ha sganciato due euro!»
Stava fissando la moneta con gli occhi sgranati, dopo poco rivolse lo stesso sguardo anche a me «potremmo guadagnare un sacco di soldi» disse assaporando quelle parole come se non ci credesse nemmeno lui «potremmo...»
«Frena l'entusiasmo!» esclama ridacchiando, mi dispiaceva smorzare il suo entusiasmo ma mi sembrava stesse correndo un po' troppo.
Cameron si ributtò a sedere sulla panchina tornando alla sua solita espressione «hai ragione, quindi?» chiede con una freddezza disarmante.
Mi sarei preso a schiaffi, starmene zitto una volta tanto no?

«in effetti potremmo provare, ma non volevo che ti illudersi troppo, non credo sia semplice»
Trattenne a stento un sorriso. Trattenne! Cazzo, sono un coglione.
«potremmo andare in centro città, io ti dico le canzoni e tu suoni e canti»
«nemmeno per sogno» dissi categorico
Mi guardò stupito «perché?»
«perché canti anche tu con me. O così o niente»
«ma io non so cantare»
«a me non sembrava»
Arrossì lievemente ma cercò di non darlo a vedere voltandosi dall'altra parte
«non so cantare bene» disse marciando sull'ultima parola «rovinerei tutto»

«Smettila di fatti problemi! Se vuoi metà compenso devi darti da fare, su, su»
Esclamai alzandolo di peso dalla panchina. Presi lo zaino e la chitarra e mi avviai a passo spedito
«Forza Cam, sbrigati!» gridai prima di accorgermi di cosa avessi detto.
Cameron mi fulminò con lo sguardo, e devo ammettere che fu proprio bravo, mi fece venire i brividi lungo tutta la schiena.

Fece per dire qualcosa, e quel qualcosa non assomigliava molto ad un complimento, ma si sforzò di mandar giù le sue stesse parole.
«Chiamami come vuoi» disse infine.
«Ok, cuoricino, forza andiamo» esclamai in falsetto.

Mi stava per prendere a calci quando si dovette fermare, eravamo arrivati in una grande piazza.
Era un insieme di ristoranti, bar, gastronomie, fast food...
Probabilmente c'era anche dell'altro, ma ai nostri stomaci vuoti non importava.
Dovevamo procurarci del cibo.

L'arte della stradaWhere stories live. Discover now