Capitolo 1

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Percepii qualcuno alle mie spalle, sentivo il suo respiro irregolare e il cigolio plastico dei suoi scarponi sul pavimento, prima di affrontare il pericolo tesi i muscoli, mi concentrai, presi fiato e svuotai i polmoni.
Quando mi voltai davanti a me vidi un uomo armato di coltello.

A giudicare dalla lama era un KA-BAR USMC, un'arma da combattimento ideata per le truppe statunitensi nella seconda guerra mondiale.
Un coltello forgiato per uccidere.

Il buon senso mi stava ordinando di voltarmi e scappare ma in quel momento non avevo scelta. L'aggressore era ormai a meno di un metro da me e stava per attaccare.
Agii d'istinto.
Schivai la lama e, approfittando del movimento, gli piazzai un calcio nello stomaco per poi colpirlo alla gola con la base del palmo.

L'uomo arretrò di un paio di passi ma si riprese rapidamente.
Si lanciò verso di me in un attacco guidato dalla cieca rabbia.
Non aspettavo altro.
Con un secco movimento del braccio sinistro afferrai la mano armata, la tirai verso il basso e con una leva lo mandai al tappeto.
Mi avvicinai e con un ultimo calcio ben piazzato feci volar via il coltello che ancora stringeva tra le dita.

Il pubblico andò in delirio.

L'arbitro corse verso di me ed alzandomi il braccio gridò:
«Questo era Paolo, signori e signore, primo classificato del campionato 2019!»
Buttai fuori tutta l'aria che avevo trattenuto fin'ora nei polmoni.
Non potevo credere di avercela fatta.
Sorrisi orgoglioso mentre il mio sguardo zigzaggava tra gli spalti che avevano iniziato ad acclamare il mio nome.

Riuscì ad individuare i miei amici, Aisha e Matteo, che si sbracciavano dalla seconda fila tentando di farsi notare.
Li salutai, ma in quel momento mi accorsi che il posto accanto al loro era vuoto.
Quella vista fu come un pugno nello stomaco, con l'unica differenza che quello non si poteva affrontare con nessuna delle tecniche che tutti gli anni di allenamento mi avevano ormai scolpito nelle ossa.
No, era diverso.
Ti entrava nel sangue come veleno raggiungendo pian piano tutto il corpo, sentivi freddo, poi caldo, e subito dopo le lacrime che spingevano per venir fuori.
Ma non glie lo lasciai fare, non mi avrebbe rovinato la giornata. Aspettavo questo momento da tutto l'anno, mi ero allenato fino a svenire, il maestro si era fatto in quattro per aumentare i miei allenamenti, non avrebbe rovinato la mia giornata.

Ringraziai il pubblico, ritirai il premio e corsi verso gli spalti dove Aisha mi accolse a braccia aperte.
«Sei stato bravissimo!» disse stringendomi in uno sei suoi famosi "abbracci scalda cuori".
Io e Matteo li avevamo soprannominati così perché ogni volta che ne ricevervi uno per un attimo i tuoi problemi sparivano e ti sembrava di poter conquistare il mondo.
E in quel momento era proprio quello che mi serviva.
Aumentai la stretta e la sollevai da terra facendo una giravolta.
Lei gridò divertita, amava quando lo facevo.
I suoi riccioli castani iniziarono a solleticarmi il naso, costringendomi a metterla giù.

«Sei un fenomeno! Li hai massacrati!» urlò Matteo prendendomi per le spalle ed iniziando a scuotermi.
Risi felice, per davvero, nonostante il peso sul mio stomaco sembrasse volermi far sprofondare.
«Comunque... Tuo padre-» inizio Ash
«Non è potuto venire» la anticipai «Non è una novità» dissi minimizzando con un gesto della mano.
«Ha mandato un messaggio a Mat dicendo che è pieno di lavoro e che non può muoversi»
Sorrisi.
«Hai solo la minima idea di quanto lavoro io debba fare per mantenerti giovane ingenuo!?» esclamai scimmiottando la voce di mio padre e facendoli ridere.

«Ci vediamo dopo, vado a cambiarmi e a darmi una sciacquata»
Mi allontanai in fretta, per quanto fossi bravo a nascondere le mie emozioni in quel momento era impossibile.
Mi passai la mano sul viso sudato, feci un respiro ed entrai nello spogliatoio.
Lasciai il borsone sulla panca e ci lanciai sopra il premio che cadde malamente al suolo.
Fino al giorno prima avrei fatto di tutto per averlo ma in quel momento, non aveva più alcun valore.
Lui non era lì a condividere la mia gioia.
Ma di cosa mi stupivo, lui non c'era mai.

Mi buttai sotto l'acqua gelida per scacciare via i mille pensieri che mi turbinavano nella mente.
Sentivo la rabbia crescere dentro di me, come un parassita.
Una rabbia illogica, diretta a mio padre, sì, ma soprattutto a me.
Come avevo potuto dargli nuovamente fiducia?
Come avevo potuto permettergli di ferirmi un'altra volta?

In uno scatto d'ira tirai un pugno ad una delle mattonelle della doccia, rompendola.
Il candore della ceramica venne deturpato dalla macchia scarlatta proveniente dalla mia mano.
Il sangue scivolò giù per la parete fino ad arrivare ai miei piedi e poi allo scarico.

Uscii dalla doccia e mi misi l'accappatoio dirigendomi verso lo specchio.
Constatai che assomigliava incredibilmente ad uno zombie, o ad un drogato, o più semplicemente ad uno zombie drogato.
Avevo ancora le occhiaie dalla notte passata in bianco, gli occhi si erano arrossati e l'iride schiarita così tanto da sembrare quasi spiritica.
Mi passai una mano fra i capelli scuri, tentando di pettinarli, impresa impossibile visto che loro continuavano a tornare imperterriti nella loro posizione originale.

Bendai la mano ferita con una fascia che mi ero portato nello zainetto,
mi vestii e dopo aver aspettato un po' che le mie iridi tornassero al loro blu naturale uscii dallo spogliatoio.

«Sei più lento di una donna a cambiarti!» esclamò Matteo non appena mi vide varcare la soglia della stanza.
«Di una donna? Ti vorrei ricordare che la qui presente donna è quella che arriva sempre in orario, al contrario di altri due soggetti di nostra conoscenza» ci apostrofò Aisha mentre noi scoppiammo a ridere.
Ci spostammo all'esterno e salimmo tutti in macchina di Mat per dirigerci verso casa.

Io e Matteo avevamo la stessa età, diciotto anni tondi tondi, ma io, al contrario suo, non ero mai stato un grande appassionato di auto e, sinceramente, prendere la patente non era la prima cosa a cui avevo pensato compiendo la maggiore età.

Arrivammo verso le sei di sera, per prima accompagnammo Aisha, che era la più periferica e poi arrivammo davanti a casa mia.
«Ci vediamo domani a scuola! Ah no... Io l'ho finita» sorrisi
«Sei uno stronzo» mi apostrofò Mat.
Risi divertito, odiava quando glielo ricordavo. Non gli era mai andato giù il fatto che io avessi iniziato scuola con un anno di anticipo.

Lo salutai e mi diressi verso il cancello d'ingresso.

«Buongiorno Paolo, come è andata la gara?»
La voce di mio padre fu come una pugnalata al cuore.

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