XVI.

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Il giorno comparve finalmente. Mi alzai all'alba e per un paio d'ore mi occupai a dare assetto ai cassetti, agli armadi e a tutto quello che avevo in camera, per lasciar in ordine ogni cosa durante una corta assenza.

Mentre ero così occupata sentii Saint-John uscir di camera sua e fermarsi davanti alla mia.

Temevo che bussasse, ma si contentò di spingere un foglio sotto la porta; lo presi e lessi:

"Mi avete lasciato iersera a un tratto. Se foste rimasta un momento più, avreste posato la mano sulla croce del cristiano, sulla corona degli angioli. Tornerò fra quindici giorni e allora spero trovarvi decisa del tutto.

"In questo tempo pregate e vegliate a fine di non esser tentata; credo che lo spirito sia ben disposto, ma la carne è debole. Pregherò per voi ad ogni ora. — Vostro, Saint-John."

— Il mio spirito, — dissi, — vuol fare il bene, e spero che la mia carne sia abbastanza forte per compiere la volontà del cielo, quando quella volontà mi apparirà chiara. In ogni modo sarò abbastanza forte per uscire dalle nubi del dubbio e trovar la luce e la certezza.

Benché si fosse al 1° di giugno, la mattinata era fredda e nuvolosa e la pioggia batteva contro i vetri.

Udii Saint-John aprire la porta davanti, e guardando attraverso i vetri lo vidi traversare il giardino.

Egli prese una via che andava in direzione di Withecross, dove doveva trovar la carrozza.

Mi rimanevano due ore prima della colazione e le impiegai a passeggiare per la camera pensando all'avvenimento che avevami fatto prendere quella subita risoluzione.

Mi rammentava la sensazione provata, perché ripensandoci mi pareva sempre più strana, e mi rammentavo la voce udita.

Di nuovo chiedea di dove poteva essere partita, ma sempre invano.

Dicevo a me stessa che poteva essere stata un'impressione nervosa, un'illusione, eppure non potevo crederlo; pareva piuttosto un'ispirazione.

Quell'urto era avvenuto come il terremoto aveva aperto la prigione di San Paolo, aveva aperto la porta dell'anima mia, avevala liberata dalle catene, strappata al sonno ed essa si era destata tremante e sbalordita.

Allora tre volte il grido aveva risuonato ai miei orecchi spaventati, nel mio cuore ansioso, nel mio spirito inquieto, e quel grido non vi aveva prodotto né sorpresa né spavento, ma piuttosto lo aveva fatto esultar di gioia, come di una prova del privilegio che aveva di essere indipendente dal corpo.

— Fra pochi giorni, — dissi fra me, — saprò qualcosa di colui la cui voce mi ha chiamato la notte scorsa. Le lettere sono state inutili, tenterò le ricerche personali.

A colazione annunciai a Diana e a Maria che partivo e che sarei rimasta assente almeno quattro giorni.

— Partite sola? — mi domandarono.

— Sì, parto per aver notizie di un amico del quale non so nulla. Questo pensiero mi turba da qualche tempo.

Esse avrebbero potuto osservare che non avevo amici all'infuori di loro, come avevo sempre assicurato, ma se vi pensarono non lo dissero e con la loro solita delicatezza non mi fecero nessuna osservazione.

Diana sola mi domandò se mi sentivo abbastanza bene per viaggiare, perché ero pallida.

Risposi che l'inquietudine sola mi faceva soffrire e che speravo di esserne liberata presto.

Lasciai Moor-House verso le tre e poco dopo le quattro ero davanti al pilastro di Whitecross, aspettando la carrozza che doveva condurmi a Thornfield; la sentii da lungi grazie al silenzio delle montagne solitarie e delle strade deserte.

Jane Eyre - Charlotte BrontëDove le storie prendono vita. Scoprilo ora