XII.

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Continuai a occuparmi della scuola con attività e con zelo.

Da principio il compito era duro, perché non riuscivo a capire il naturale delle mie scolare e speravo poco vedendole così ignoranti e apatiche. Ma presto mi accorsi di essermi ingannata.

Quando la meraviglia che destava in loro le mie maniere e il mio linguaggio si fu calmata, mi avvidi che alcune erano bensì dure, rozze e aggressive, ma che molte si mostravano compiacenti e amabili e scoprii in esse eccellenti disposizioni che mi stimolarono a continuar la prova.

Presto presero piacere a studiare, a star pulite, ad acquistar maniere calme e convenienti.

La rapidità dei progressi loro fu davvero sorprendente e ne concepii un giusto orgoglio.

Del resto mi ero affezionata alle migliori fra le mie scolare ed esse pure mi volevano bene.

Avevo fra le alunne diverse figliuole di affittaiuoli, che erano quasi ragazze. Esse imparavano a leggere, scrivere e a cucire, e potei insegnar subito qualcosa di più.

Fra quelle riscontrai caratteri stimabili e una gran voglia d'imparare e di migliorarsi.

Talvolta andavo la sera a trovarle e i loro genitori mi colmavano di attenzioni.

Era una gioia per me di accettare la loro umile ospitalità, come di sentirmi amata in paese.

Ogni volta che uscivo ero lieta di vedermi fatta segno a saluti affettuosi e a sorrisi cordiali.

In quel tempo della mia vita mi sentii più spesso il cuore gonfio di riconoscenza che oppresso dalla tristezza.

Eppure anche allora, dopo aver passato la giornata nella scuola, e la serata a disegnare o a leggere, ero perseguitata nella notte da sogni strani. In mezzo a scene bizzarre e strane avventure, incontravo sempre il signor Rochester nel momento critico della crisi.

Allora parevami di esser fra le sue braccia, di udire la sua voce, d'incontrare i suoi occhi, e lo amavo ed egli mi amava, e la speranza di passar con lui la vita, rinasceva impetuosa come prima.

Poi mi destavo, mi rammentavo la mia situazione e tremante e afflitta mi sedevo sul misero letto.

La notte tranquilla e cupa era testimone della mia disperazione e udivo i singhiozzi della passione.

Alle nove della mattina aprivo la scuola, e tranquilla e composta, mi preparavo ai doveri del giorno.

Rosmunda Oliver tenne la promessa di visitare la scuola.

Giungeva per il solito di mattina a cavallo, seguita da un servo; lasciava il suo pony alla porta ed entrava vestita di rosso, con istacco nero, bella più che mai, meravigliando con la sua grazia tutte le villanelle.

Veniva generalmente all'ora in cui il signor Rivers faceva il catechismo e credo che lo sguardo della giovane visitatrice trafiggesse il cuore al giovane pastore.

L'istinto pareva avvertirlo dell'arrivo di lei; anche se non la vedeva arrossiva e i suoi tratti di marmo si alteravano, benché egli si sforzasse di apparir calmo.

Certo ella conosceva il potere che esercitava sul signor Rivers, e questi non poteva nasconderglielo.

A dispetto del suo stoicismo cristiano, quando la ragazza gli rivolgeva la parola e gli sorrideva, egli tremava e gli occhi mandavano fiamme, e se le labbra restavano mute, lo sguardo pareva che le dicesse: "Vi amo e so che voi avete una preferenza per me. Se taccio, non è perché dubiti che l'offerta del mio cuore sia benaccetta, ma perché questo cuore è già disposto su un altare sacro, le fiamme del sacrifizio lo circondano, e ben presto il sacrificio sarà compiuto."

Jane Eyre - Charlotte BrontëDove le storie prendono vita. Scoprilo ora