Capitolo VIII: Il Libro dell'Ebreo

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Il giorno seguente...

Elettra fu svegliata da una serie di voci all'apparenza famigliari: riconobbe quella di Lorenzo, poi suo zio Gentile, Giuliano, Dragonetti e, ovviamente, Da Vinci.

Aprì gli occhi di scatto rendendosi conto in una frazione di secondo quale fosse la situazione: era ancora nel letto di Leonardo e al piano di sotto c'erano tutte le persone che non avrebbero dovuto trovarsi lì!

Aveva supplicato l'artista di aspettare a chiamarli almeno fino a ché non se ne fosse andata, ma lui invece aveva fatto di testa sua, come sempre.

Provò ad alzarsi, ma dovette presto rinunciarci: il corpo le doleva come se uno dei carri del carnevale le fosse appena passato sopra, probabilmente era un effetto collaterale dell'esplosione. Fece un secondo tentativo.

Riuscì a mettersi seduta.

Prese un profondo respiro e sporse i piedi oltre il bordo del letto, dopodiché li mise a terra, riuscendo finalmente a stare in posizione eretta. Fece qualche passo verso lo specchio per osservarsi: la ferita sullo zigomo era molto arrossata e non passava di certo inosservata, per qualche giorno avrebbe dovuto di sicuro coprirla con un po' di polvere di Cipro. Il resto del corpo era messo decisamente peggio: ovunque guardasse vi erano lividi che andavano dal giallo al blu passando per il viola dei polsi, dove vi erano impresse le dita di Riario. Togliendosi la camicia che Leonardo le aveva gentilmente prestato la sera precedente, si accorse che anche il suo petto era coperto di lividi.

Si cambiò velocemente, indossando degli abiti che le erano stati messi lì appositamente. Dovevano essere di Nico dato che le calzavano quasi a pennello.

Cercando di fare meno rumore possibile scese alcuni gradini, posizionandosi poi sul pianerottolo. Si sedette, appiattendosi come meglio poteva alla parete. Il punto in cui si era appostata era molto strategico: poteva osservare cosa accadeva nella bottega senza correre il rischio di essere vista.

Guardò suo zio chiedere a Leonardo come si erano svolti i fatti e almeno per quello l'artista era stato di parola, menzionando solo Nico e tralasciando la parte di storia che la riguardava. Gli avrebbe offerto da bere una di quelle sere per sdebitarsi di quel grandissimo favore.

Mentì anche sul perché Riario fosse andato alla sua bottega, dicendo che voleva i progetti delle sue armi.

Lorenzo nel frattempo era nervoso come poche volte lo aveva visto, Elettra poteva percepirlo anche da lassù. Sussultò involontariamente quando il Signore di Firenze buttò a terra alcune boccette di terracotta, urlando dalla rabbia. Inutili furono i tentativi di Giuliano di calmarlo: si prese anche lui una bella sfuriata.

"Voglio che i vostri uomini circondino questo palazzo, nessuno deve entrare o uscire eccetto Da Vinci e il ragazzo", disse rivolto al Capitano Dragonetti.

Un'imprecazione appena sussurrata le uscì dalle labbra: se le uscite erano sorvegliate lei come avrebbe fatto a svignarsela?

Dopo ulteriori minacce a Leonardo per intimarlo a finire in tempo le sue spingarde, il piccolo gruppo si apprestò a lasciare la bottega.

Elettra si sporse un po' per assicurarsi che se ne stessero andando veramente.

Non aveva pensato che così si sarebbe resa visibile.

Giuliano lasciò uscire tutti gli altri prima di farlo anche lui. Ormai era sullo stipite della porta quando si girò per dire ancora due parole a quell'artista, ma esse gli si bloccarono in gola: a qualche metro da lui, sui gradini di una scala che portava al piano di sopra, seminascosta se ne stava Elettra.

L'altra Gemella (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora