Capitolo 5

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Mia mamma era ancora a casa mia, quando mio padre mi chiese tramite un messaggio se potevo passare da lui a mangiare un boccone, era da qualche tempo che non ci vedevamo anche per colpa dei suoi turni all'ospedale e mi mancava terribilmente.

«Ti ha chiamato Leonard?» chiese mia madre con gentilezza e io annuii, così mia madre mi sorrise  «Sono contenta che ti chiami, sono felice di sapere che i miei timori erano infondati, temevo che si fosse disinteressato alla tua sorte da quando si è risposato con Janine»

Janine era la nuova moglie di mio padre, si era sposato da poco e quella donna - un'infermiera conosciuta in ospedale - era un angelo, anche se talvolta mi sembrava cercasse a tutti i costi di entrare nelle mie grazie. Volevo solo che mio padre fosse felice e lo era, tanto mi bastava.

«Janine è una brava persona, cerca di essere gentile e talvolta sembra così tanto gentile che mi dà l'impressione di non essere totalmente sincera. Vorrei solo che il lavoro di papà non fosse così... faticoso e incasinato, mi manca.» ammisi ripensando al fatto che la mia infanzia e parte della mia adolescenza era pieno di bei ricordi di pomeriggio passati con mio padre. Pomeriggi a mangiare gelati, camminare a piedi nudi per casa e i luna park, quanto li amavo! Provavo addirittura un po' di malinconia nel ripensare ai quei pomeriggi in cui tornavo da scuola e gli telefonavo per chiedergli aiuto quando c'era un argomento di biologia che non riuscivo a capire, chiedendomi di passare da lui.

Mia madre dopo aver guardato il telefono con aria triste, mi sorrise. 

«Ci vediamo domani? Ho una breve urgenza al lavoro e poi passo da Daniel allo studio legale, cerco di capire cosa vorrà per cena. E ti prego, non fare niente di avventato e non andare assolutamente a Springwood, qualsiasi cosa succeda» mi ripetè con fermezza

La abbracciai. 

«Si, a domani» annuii, non promettendole nulla

Andai a cena da mio padre, non trovando Janine e scoprii che la donna era al lavoro, così mio padre aveva organizzato quella cena per stare un po' in mia compagnia, così da raccontarci le ultime novità e parlare di tutto ciò che mi stava succedendo in ambito lavorativo; dato che gli avevo accennato che il lavoro al bar non mi piacesse. Non gli risposi in un primo momento quando mi chiese come mai la mia mano era fasciata, ma glielo dovevo dire e dovevo avere un'idea di cosa sapesse o pensasse mio padre di quella faccenda. Dio quanto ero patetica.

«Ti andrebbe una tazza di the caldo?» chiese lui prendendo una tazza, riempiendola d'acqua e mettendola nel microonde. Un minuto e trenta e nel frattempo, tirò fuori dall'armadietto la scatola con le bustine di the al limone. Prese una bustina, tirò fuori la tazza dal microonde e la immerse. 

«Papà, posso chiederti una cosa?» chiesi ad un certo punto, dopo aver ricevuto la sua approvazione per il lavoro da Daniel, anche se sembrava scontento di quella mia scelta.

«Certamente» disse lui con un sorriso, prendendo dallo scaffale la mia tazza, a quanto pare la teneva ancora in bella vista, nonostante non abitassi più con lui da anni e non la utilizzassi più tutti i giorni. 

Prese a fare lo stesso con la mia tazza quando mi decisi a domandargli quello che mi tormentava da quando avevo varcato la soglia di quella casa.

«Mamma ebbe degli incubi quando ero piccola, vero?» chiesi, facendo finta di non aver già chiesto delucidazioni a mia madre

«Si, terribili e da un giorno all'altro partì verso una cittadina, voleva andare a fondo ad una certa faccenda e con lei erano andati una piccola combriccola di ragazzi. Quando tornò a casa, non era più la stessa e il resto lo sai.» disse facendo un cenno, sottintendendo che il matrimonio era finito e ora entrambi avevano un'altra vita. 

"Se mamma non avesse avuto quell'incubo i miei genitori sarebbero ancora sposati?" mi chiesi

«Springwood.»

«Tu.. tu hai sognato quell'uomo?» mi chiese mio padre con una strana espressione

«No, nessun uomo. Ho sognato una casa in Elm Street, Springwood. Una bambina che mi ha portato in una casa diroccata e una caldaia sembrava terribilmente reale, mi sono scottata nel sogno. Mi ha svegliato Newton» dissi a mio padre mostrandogli la mano

«Tesoro ascoltami bene,  ti prego di non andare in quella città, non fare nulla di avventato, anche se i tuoi sogni ti faranno credere altrimenti» disse guardando la mia mano e controllando la medicazione di Newton, che rifece un istante più tardi in maniera decisamente più efficace 

«Papà, mi stai spaventando» ammisi 

«Mi dispiace, ma se c'era una cosa che ricordo di quel periodo del matrimonio è che tua madre non riusciva più a dormire. Il sonno è diventato il suo peggior nemico e ogni situazione la terrorizzava, soprattutto se aveva il timore di essersi appisolata da qualche parte e che quel demone ti avesse fatto del male. L'unica persona a cui ha fatto del male è stata sé stessa in primis, poi a te e a me, ho fatto di tutto per aiutarla.» sospirò dispiaciuto

Cadde il silenzio, fissai la tazza con aria assorta, la bustina ancora galleggiava.

«Ti andrebbe di dormire qui? La tua stanza è sempre a tua disposizione e possiamo guardare un film come ai vecchi tempi» chiese mio padre, speranzoso.

In realtà era una normalissima stanza per gli ospiti, non avevo più una mia stanza da tempi immemori dato che ormai abitavo per conto mio, ma... apprezzai l'offerta tanto che accettai l'offerta immediatamente. 

«Avviso Newt e mi faccio il letto.»

«No, ci penso io. Tu chiama tuo fratello e poi scegli il film» disse con un sorriso

Dopo aver guardato insieme Les Misérables di Tom Hooper, ci eravamo dati la buonanotte, anche se prima di chiudere la porta dietro di me mio padre disse seriamente: «Tesoro, sogna qualcosa di piacevole, dovrebbe aiutarti. Buonanotte.» 

Mi cambiai e mi misi sotto le coperte, era sempre strana la sensazione che avevo quando dormivo lì, era come se mi mancasse qualcosa e sapevo che si trattasse di Newton. Ero preoccupata per lui, ma era adulto sapevo che poteva cavarsela da solo.

Cercai di dormire ricordando del mio viaggio a Londra con mia madre, Daniel e i miei fratelli. Funzionava: stavo facendo una passeggiata per raggiungere il Big Ben e stavo parlando con Noah, quando girando un angolo, mi ritrovai nel giardino della casa che avevo sognato in precedenza, ma questa volta era giorno. A pochi passi da un'altalena arrugginita e cadente, c'erano tre bambine vestite di bianco che stavano saltando la corta, cantando un motivetto a dir poco inquietante.

«L'uomo nero non è morto

Freddy arriva come un corvo

fa paura la sua voce 

prendi subito la croce 

apri gli occhi, resta sveglia
non dormire questa notte.»

Sbattei gli occhi, guardando le bambine, chiedendomi perché dovessero cantare qualcosa del genere. Decisi di entrare nella casa, girai il pomolo della porta ed entrai. Quando sentii camminare alle mie spalle, sentii il cuore battere a mille. 

«Benvenuta Janet, ti stavo aspettando.» disse una voce maschile,  una silhouette uscì dall'ombra mostrandosi a me. Il suo volto era bruciato, portava un maglione rosso e verde, molto sporco, uno strano cappello e dei coltelli come fossero artigli montati su un guanto di pelle. 

«Henry? Henry!» chiesi, chiamando il mio fidanzato nel sogno, come se potesse aiutarmi. Solo in un secondo momento, mi chiesi perché diavolo non avessi pensato a mia madre.

Non accadendo nulla, però, feci la domanda che mi premeva in quel momento: «Chi diavolo sei?» chiesi ma non ricevetti risposta, solo una risata crudele, al che mi svegliai di soprassalto. 

Nightmare: Il ritorno di un IncuboWhere stories live. Discover now