Ermal e Fabrizio si diedero appuntamento nel parcheggio dell'hotel che avevano scoperto essere lo stesso. Non perché avessero qualcosa di losco da fare, anche se ad entrambi sarebbe piaciuto, ma perché avevano molto da chiarirsi. Erano passati diciassette anni, si erano lasciati ragazzini e si ritrovavano uomini con delle responsabilità e i riflettori di tutta Italia puntati addosso. «Ciao» esordì Ermal sorridente.
«Buonasera» disse Fabrizio con l'ennesima sigaretta tra le labbra. Era seduto sul cofano anteriore della macchina.
«Ti piacciono proprio i cofani, eh» disse Ermal canzonatorio.
«So' comodi» rispose Fabrizio alzando le spalle, tornando con la testa all'insù a guardare le stelle.
«Dobbiamo dirci tante cose» disse il riccio appoggiandosi all'auto alzando anche lui la testa verso il cielo.
«Già» convenne Fabrizio.
«Mi odi?» chiese il più grande con una naturalezza disarmante dopo una piccola pausa. «No, ti pare che ti avrei chiesto di recuperare il rapporto?»
«Ma l'ultima volta che ci siamo visti avevi detto che non volevi più senti' le mie stronzate». 

Fabrizio scese dal cofano e si mise accanto ad Ermal che sentì le narici inebriarsi del suo odore. «Sono cose che si dicono quando si è arrabbiati. Non lo penso veramente, anzi se vuoi puoi raccontarmi tutte le stronzate che ti sono successe in questi anni» disse sorridendo. «Quello che voglio sia chiaro, Ermal» iniziò Fabrizio tremendamente serio «è che non possiamo stare insieme. Non potremo mai farlo, capito?» un brivido percorse la schiena del riccio e non era di certo un brivido di piacere.
«Perché pensi che io voglia questo? Non sono così stupido, hai una compagna, dei figli non potrei rovinare tutto questo» disse Ermal serio guardandolo. Anche Fabrizio lo guardò, anche se aveva un'espressione tra l'accigliato e il divertito.
«Io e Giada non stiamo insieme da un anno, ormai» disse. E quello che Ermal tempo prima aveva sentito rompersi, adesso sembrava essersi aggiustato, nonostante adesso dentro di sé ci fossero altre cose rotte, si sentiva un po' più riparato. «E poi tu hai Silvia, no?» aggiunse.
«Già, Silvia» sospirò Ermal grattandosi la nuca. «In realtà anche noi ci siamo lasciati» disse mettendosi le mani nelle tasche dei jeans sentendosi leggermente in imbarazzo senza sapere realmente perché.
«Cazzo, Ermal, mi dispiace» rispose Fabrizio guardandolo serio.

Negli attimi seguenti calò il silenzio, avevano entrambi la testa reclinata verso il cielo a guardare quel manto celeste che da sempre era stato loro compagno. «Perché te ne sei andato all'improvviso?» chiese Ermal trovando, in quelle stesse stelle, il coraggio di affrontare l'argomento. Ermal aveva capito fin da subito che Fabrizio non gli stava dicendo tutto.
«Perché ero un casino. Ti stavi creando il tuo futuro e io che futuro avrei potuto darti? Volevi realizzarti, io ero solo 'ncazzato, saremmo arrivati ad un certo punto in cui ci saremmo fatti solo del male». Ermal roteò gli occhi.
«Ci siamo fatti male ugualmente» osservò.
«Io te ne ho fatto, tu a me non hai fatto niente». Fabrizio si passò una mano sugli occhi, forse per asciugarsi qualche lacrima, oppure solo perché gli prudevano. «Scusa, non avrei dovuto» disse tirando su col naso. Ermal gli diede una pacca sulla spalla non sapendo bene cosa fare. Doveva abbracciarlo o sarebbe sembrato troppo avventato? Lasciarlo parlare o cambiare argomento? Non dire nulla o consolarlo?
«Fabrì» sussurrò.

Fu Fabrizio che con uno slanciò lo abbracciò. Ermal boccheggiò più per il fatto che non si aspettasse quel contatto che per l'abbraccio in sé. L'albanese sentì il più grande accoccolarsi nell'incavo del suo collo, proprio come usava fare tempo addietro. Gli passò una mano sulla nuca per cercare di calmarlo. Ermal non sapeva cosa lo aveva spinto ad allontanarlo ma sapeva che era stato male almeno quanto lui, perché ad abbandonare consapevolmente una persona che ami con tutto te stesso forse soffri il doppio. «Che è successo?» chiese con dolcezza. Non voleva riportargli alla mente ricordi spiacevoli ma aveva bisogno di capire. Fabrizio si sciolse dall'abbraccio e inspiro una boccata d'aria fresca.
«Quando te ne sei andato io sono stato chiamato in un hotel ad Ostia. Una sera ero particolarmente giù e ho preso un po' troppe pasticche e sono andato in overdose. Mi sono svegliato non so quanto tempo dopo in ospedale». Ermal sentì il terreno cedere sotto i piedi.
«I-in overdose?», il più grande annuì e poi continuò.
«Quando sono tornato a casa i miei fratelli manco mi guardavano più, mio padre stava sempre in officina e mi evitava e quando mi hanno detto di scegliere o la droga o loro, io ho scelto la droga».
«Perché?» chiese Ermal con un filo di voce.
«Perché sono debole. E piuttosto che vivere una vita sapendo che tu non ci saresti stato, ho preferito annebbiarmi il cervello», stavolta fu Ermal ad abbracciarlo.

Lui non sapeva niente, né tantomeno avrebbe potuto immaginarlo. Si sentì stupido, inutile. «Allora sono andato da Matteo. Sono stato là per due anni, poi mi sono ripulito ho iniziato ad avere un lavoretto stabile, ho preso una stanza, di quelle dove ce stanno gli studenti e poi ho conosciuto Giada». Il più piccolo si pentì di non aver fatto di più per cercarlo, perché non aveva chiesto a Matteo? Aveva fatto un giro dei suoi amici ma non era andato da Matteo. Perché? «Mi dispiace» disse.
«Mi dispiace che tu sia stato così male. Mi dispiace non esserci stato».
«Sono io che ti ho tirato fuori. Non volevo che entrassi in quel casino». Ermal scosse la testa in senso di diniego.
«Avrei potuto cercarti, avrei potuto aiutarti...» il moro sbuffò.
«Ti avrei respinto in ogni caso» fece una piccola pausa, forse incerto su cosa dire. «Le crisi d'astinenza sono bruttissime. Senti i brividi ma dentro ti senti andare a fuoco. Sudi ma hai freddo. E vorresti staccarti la pelle. Diventi nervoso, paranoico. È uno spettacolo che ti auguro di non vedere mai». Ermal sospirò appoggiandogli una mano sulla spalla.

«Grazie» disse dopo un po' Fabrizio.
«E di che? Non ho fatto niente».
«Niente?» chiese Fabrizio. «Mi hai ascoltato. E mi hai aiutato il giorno del concertone, non ti avevo mai ringraziato». Il più piccolo sospirò appoggiando la testa alla sua spalla.
«Era il minimo che potessi fare. A proposito come sta Libero?» domandò seriamente interessato. «Bene. Ce l'ha con me, come al solito» rispose ridendo tristemente. «C'è una cosa che potresti fare per me, in effetti» disse poco dopo.
«Ah sì, e cosa?»
«Scriviamo una canzone insieme». Ermal si mise sull'attenti.
«Ma sei sicuro?» gli chiese, più per capire se fosse frutto della sua immaginazione o se fosse reale.
«Sì, certo. Allora, ci stai?»
«Ci sto».

E fammi vedere la lacrima che deve uscire

E fammi vedere la lacrima che se ne va

E prenditi il tempo che serve

Magari la bolla in cui siamo non scoppierà.

(Vita, morte e miracoli - Ligabue)

Angolo autrice:

Io chiedo immensamente scusa. Lo so che avrei dovuto aggiornare ieri, ma ero fuori e non avevo come fare. Spero che la storia stia continuando a piacervi e spero vi sia piaciuto il capitolo. Ho scritto un'altra cosina Meta-Moro, se volete leggerla. 
Grazie ancora del vostro sostegno, vi voglio bene.

Chiara.

Amici mai || MetaMoroWhere stories live. Discover now