Ermal, infatti, per quanto il moro cercasse di fare il gradasso era consapevole di quanto ci fosse rimasto male per com'era andata. Dietro quel "ci saranno altre occasioni" c'era un ragazzo che nel suo sogno ci credeva a tal punto da difenderlo con le unghie e con i denti ma che si scontrava con una realtà che gli remava contro. Arrivarono a destinazione poco dopo. «Non mi avevi mai portato qui» disse Ermal non riconoscendo il solito posto.

Effettivamente era un posto nuovo. Era una specie di pub che Fabrizio conosceva da tantissimo tempo ma in cui andava di rado perché era fuori mano. «Sì. Avevo voglia de cambia'» rispose semplicemente. Entrarono nel pub e ordinarono due birre che poi consumarono in macchina davanti a un punto panoramico in cui si persero ad ammirare la bellezza della campagna romana. «Siamo vicini a casa tua?» chiese Ermal. Sapeva che abitava fuori Roma, a Setteville, ma Fabrizio non parlava mai di quella zona, quando era con lui preferiva stare in città. «So' fatto al contrario, hai visto?» gli aveva detto un giorno «'a gente va in campagna pe' rilassarsi e io pe' ave' 'n po' de pace sto in città».

«Quasi» rispose Fabrizio senza staccare gli occhi dal panorama. Era seduto sul cofano anteriore della macchina e sorseggiava la birra che avevano preso precedentemente.
«Hai mai provato a cercare un punto di incontro con i tuoi?» gli chiese Ermal a bruciapelo.
«'n sacco de volte». La conversazione poi era morta lì perché si erano concessi ad una dose massiccia di effusioni, baci e carezze. In vista della separazione estiva.

«Quando vai a Bari?» adesso erano proprio sdraiati sul cofano anteriore della macchina, il braccio destro di Fabrizio faceva da cuscino alla testa di Ermal.

«Il 25 giugno. Ho l'ultimo esame venerdì, il tempo di sistemarmi e di passare un ultimo giorno insieme e poi torno a Bari per due mesi». Fabrizio si sentì male a sentire quelle parole.

«Du' mesi!» esclamò «Ma come faccio a non vederte e sentirte pe' du' mesi?» chiese retorico. «Sarà lo stesso per me» rispose Ermal baciandogli la guancia.

Passarono la serata così, sul cofano di una macchina, senza tante pretese, ridendo per le imitazioni di Ermal e scherzando su quanto potesse risultare stucchevole una scena simile agli occhi di un osservatore qualsiasi, ma l'unico spettatore era un cielo fatto di stelle, di sogni e di speranze.

Vederlo faceva sempre uno strano effetto ad Ermal. Nella sua mente era rimasto quel ragazzo di 25 anni che aveva un misero tatuaggio di un'indiana sul braccio. Adesso invece era totalmente ricoperto di tatuaggi, Ermal si chiedeva se ci fosse ancora un lembo di pelle libero. Nei mesi che erano passati dal loro ultimo incontro aveva avuto tempo di rimuginare su quello che era stato il loro rapporto e su quello che sarebbe potuto diventare. Insomma, sarebbero potuti rimanere amici, no?

Da quando si era lasciato con Silvia aveva recuperato un minimo della sua serenità e non perché stare con Silvia lo facesse stare male, quanto perché la sensazione di star prendendo in giro una persona lo avrebbe divorato. Aveva anche scritto un paio di pezzi che erano dedicati alla loro storia ed Ermal, dovette ammettere che nonostante fossero impregnati di tristezza, alcuni erano veramente molto belli. Vide Fabrizio guardarlo di sfuggita per poi tornare a parlare col suo staff. Aveva un'aria stanca, ma chi non l'avrebbe avuta in pieno tour?

«Ermal!» l'albanese venne chiamato da Claudio, il tastierista di Fabrizio.
«Ciao Claudio, come va?» rispose Ermal.
«Tutto bene, in viaggio, come sempre. Tu? Il tour come procede?»
«Stancante, come ogni tour», Claudio rise dandogli ragione. «Il vostro invece?»
«Bene, bene, stiamo ancora aspettando le conferme per le ultime date». Ermal non seppe se Claudio avesse aggiunto qualcosa perché la sua attenzione venne catturata da un moro tutto tatuato poco più basso di lui. «Clà, andiamo? Dobbiamo provare». Il cuore di Ermal si sentì leggermente meglio quando vide che la giacca che stava indossando Fabrizio era quella che gli aveva dato dopo l'attacco di panico. Sorrise, inumidendosi le labbra. «Fabrizio, possiamo parlare?» chiese. «In privato» aggiunse poi.
«Che c'è? Rivoi a giacca? Tiè» disse iniziando a sfilarsela.
«No, puoi tenerla» disse bloccandolo. Nel viso di Fabrizio si formò un'espressione confusa
«E che voi allora?»
«Senti in questi mesi ho pensato tanto a noi due, a quello che ci siamo fatti e che ci siamo detti e mi chiedevo se-» si interruppe sentendosi un bambino alle prese con la cotta delle elementari. «Se?» incalzò Fabrizio.
«Senti nun è che potevamo seppelli' l'ascia de guera e parlacce come du' adulti?» chiese imitandolo. Vide Fabrizio trattenere una risata.

E non importava cosa avrebbe risposto l'uomo davanti a sé, perché finalmente, dopo diciassette anni, l'aveva fatto ridere, e ad entrambi sembrò di essere di nuovo sopra quel cofano anteriore a guardare le stelle, ad aver paura del futuro, insieme, e a ridere.

E allora eccomi qua

Tra una birra rovesciata e un vecchio libro di Freud

Tra gli amici che non sanno neanche chi sei

Sotto un cielo di stelle

E sotto la mia pelle.

(Ma come ci è venuto in mente - Livio Livrea)


Amici mai || MetaMoroTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon