CAPITOLO 3: DUALISMO

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<<Buonasera, sono il figlio di Adelaida, posso attendere qui mentre mia madre termina il suo turno?>>

<<Ma certo Bak! Sei sempre il benvenuto qui, tua madre è uscita per una commissione, tornerà fra circa venti minuti e ricorda che quando vorrai diventar definitivamente adulto, la casa offrirà per te un servizio gratuito!>> Disse la maîtresse con tutta la gioia e cordialità di questo mondo, non capendo che m'aveva indirettamente invitato ad usufruire di una sua ragazza per <<diventare adulto>>. Era comunque una signora molto gentile, sulla cinquantina, abiti sfarzosi e acconciatura parigina, con una forcina d'oro che le teneva i capelli ben sistemati e resistenti alla gravità. I suoi occhi scuri, dipingevano il suo viso pallido, un po' scavato, condito dalla velenosità delle sue parole e dalla lussuria delle sue labbra, carnose, capaci di esprimere un pensiero prima che esso veda la luce. S'era ricavata la sua fetta di torta nella società, aveva vissuto cose che molti uomini possono solo sognare e ormai possedeva più potere politico di molti sedicenti nobili di città. Comunque, mi sedetti in sala d'attesa e aspettai. Era la prima volta che ci tornavo dopo sei anni, ora capivo molte più cose e arrossivo vistosamente a quelle ragazze che passando, mi lanciavano occhiate lussuriose, istigando cordialmente la mia libido. Rimasi lì ad osservarle tutte, comprendendo la realtà di quel luogo. Alcune uscivano dalle camere piangendo, piene di graffi e sanguinanti, altre sorridenti e giulive, altre ancora giocavano con le monete che avevano appena guadagnato, mentre le più <<anziane>> erano sempre impassibili, seppur sicuramente mentre lavoravano erano tutt'altro che tali. Ricordo che a dieci anni osservavo le loro espressioni e decidevo se felicitarmene o rammaricarmene. Adesso invece, e di questo un po' me ne vergognavo, osservavo le loro forme, scrutavo tra le loro vesti semplici da togliere, in cerca di visioni celestiali. Indossavano dei larghi abiti alla cui vita sorgeva una cinta, utilizzata per unire le due estremità e non mostrar nulla se non le protuberanze delle lavoratrici. Una ragazza fra tutte mi colpì. Mora, occhi verdi, cappelli lisci e lunghi, sguardo seducente e una cosa che la mia mente anche a quest'età non dimentica è il suo seno prosperoso, imponente e coriaceo come solo una ventenne poteva possedere. La sua vita stretta ostentava i fianchi ben elargiti, quali mi recarono un piccolo sbandamento di testa, difatti se non sbaglio, m'appoggiai su una mano per non arrischiare di cadere per terra. Ebbi una piccola conversazione interiore:

<<Esistono donne così?>>

<<A quanto pare...>>

<<Ma è al limite della legalità, madre natura è ingiusta, dare tutto a una e poco o niente alle altre>>

<<La vita sa essere dura amico mio, pensa a noi che con qualche centimetro in più, diciamo 1.75 invece di

1.70 saremmo stati molto più intriganti>>

<<Già... maledetta>>

<<Se potessi parlarci andrei a dirgliene quattro>>

<<Sai quante persone vorrebbero dirgliene quattro... Ma che dico quattro! Cinque, sei, sette...>>

Oltre alla mia indignazione per le ingiustizie presenti in natura, era anche presente una forte attrazione che qualsiasi ragazzo avrebbe provato in quel momento. Per giunta in sala d'attesa c'ero solo io quel giorno, era sera, circa le otto, quindi si supponeva che i clienti stessero cenando e magari dopo, un po' brilli, sarebbero venuti a divertirsi e a liberarsi dalle pene della giornata. E ora toccava a me subire la pena capitale di ammirare tutte quelle fanciulle lì presenti. Sedevano su delle sedie su cui troneggiavano, alcune rimanevano in piedi, visto che spesso passavano ore intere sedute su un letto e di certo non provavano forti stanchezze, almeno non alle gambe. Altre invece parlottavano tra di loro non badando minimamente a me e al mio senso di inadeguatezza e timore lì presente. La fanciulla mora, come accortasi del mio non poco celato interesse, continuava ad aggiustarsi il seno e io inebetito proseguivo nel dondolare da un lato all'altro senza capire dove fossi e pensando che la Terra avesse cominciato a ruotare all' incontrario. Iniziai a pensare sempre meno, cominciai a disegnare dei cerchi aerei con le dita, aumentando sempre più la velocità e cercando di non farle colpire l'una con l'altra. Il piede destro iniziò a battere scalpitante anche lui, il mio intero apparato locomotore si stava mettendo in moto e dal basso ventre qualcosa iniziava a fremere... dannazione se sapevo cosa stesse succedendo. Provai a restare calmo ma dopo qualche secondo l'energia straripò, così prima di fare cose strane, mii alzai di scatto e uscii dalla sala d'attesa, recandomi verso la maitresse. Giunto da lei, con aria impaziente le domandai:

IN GUERRA CON SE' STESSOWhere stories live. Discover now