[三] Onism

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ship: IwaOi
song: The moon song (Beabadoobee)

onism: La frustrazione di essere intrappolato in un corpo soltanto, che abita un solo luogo alla volta.

onism: La frustrazione di essere intrappolato in un corpo soltanto, che abita un solo luogo alla volta

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Iwa-chan, tu mi conosci da una vita. Sai che odio le tazze sbeccate, che mi piace bere latte freddo a colazione, che nel cassetto ho solo calzini bianchi, e non perchè porto solo quelli, ma perchè quelli colorati mi piace tenerli insieme alle magliette. Sai che soffro il freddo più del caldo, che resto sveglio fino a tardi a rimettere insieme i pezzi del mio ego spezzato con un po' di saliva mista ad autocommiserazione, che ho il cuore in disordine e la stanza sempre ordinata.
Vieni sempre, quando ti chiamo, anche quando ti sveglio alle undici di sera per dirti che le pareti della mia stanza sentono la tua mancanza. E anche io. E allora conti fino a centocinquantatrè - i passi che ti separano dalle mie labbra - e prima che il senso di solitudine mi morda le guance e faccia della mia pelle un unico brivido tu sei già tra le mie gambe a rammendare i pensieri fermentati tra le lenzuola. Le tue mani mi travolgono, e mentre vengo sballottato inesorabilmente tra la voglia di piangerti via dagli occhi e il desiderio di amarti fino a ucciderti, mi ritrovo su Marte a ingoiare sabbia rossa fino a vomitare stelle. Perderei entrambi gli occhi nei crateri lunari se tu non venissi ogni singola volta a ripescarmi con le tue labbra. Verrai a salvarmi anche quando i satelliti di Urano mi prosciugheranno? Lo sai che amo piangere sulle sue lune. Verrà un giorno in cui smetterai di cercarmi. Quel giorno sarò su Plutone a guardare l'universo muoversi al contrario, finchè il tempo non verrà a corrodermi le costole. Ma per adesso baciami, prendi il mio corpo, vivimi sulla Terra. Ho lasciato la testa su Marte per sentirmi più leggero. Per toccare gli incubi che nascondi dietro le palpebre.

«Perchè non mi lasci andare? Smettila di cercarmi! Lasciami stare, lasciami scappare, lasciami perdere!» Quella volta ero così arrabbiato che ho spaccato le lenti dei miei occhiali. Tu eri lì che mi guardavi con il volto spezzato e sei occhi diversi. Avevo messo in disordine la mia stanza. I calzini colorati si erano mischiati a quelli bianchi, i nostri cuori ingarbugliati tra le lenzuola avevano l'aspetto delle mie paure. Tu non mi hai lasciato. Sei rimasto lì a guardare mentre frantumavo il mio corpo in tanti piccoli pezzetti, e quando poi di me non era rimasto altro che il respiro, hai rimesso tutto in ordine come avrebbe fatto mia madre. Poi mi hai baciato con quelle labbra che sapevano di lenzuola pulite, di sudore, di brodo caldo, di una di quelle case in montagna in cui si abita una sola volta all'anno. Sapevano di quei baci che ci rubavamo a vicenda sotto le coperte dei futon quando eravamo ancora troppo piccoli per capire l'amore. Sapevano di ghiaccioli al limone e delle merendine al cocco che prendevi sempre al kombini della stazione. Sapevano di te, di me, di latte freddo, di crema di fagioli rossi e di qualcuno che mi assomigliava ma che non ero io. Avrei voluto chiederti chi fosse, ma poi Venere mi sarebbe scoppiata nel petto.

Io, sai, ci sto provando a farmi bastare questo corpo. Ci sto provando, ma è difficile. Ci sono giorni in cui mi sento scarnificato dall'esistenza terrestre, e basterebbe anche solo un raggio di sole per farmi scivolare via dal mio corpo, come un cerotto che ha perso aderenza sulla pelle. Allora mi perdo tra gli anelli di Saturno e mi graffio la schiena con i minerali mentre cerco di contare le stelle di un altro universo. Mi stringo nella tua felpa sudata e abbraccio la mia pazzia con le gambe che tremano e la bocca che si riempie di acido. Prima che tu possa accorgerti del mio malessere sono già su Nettuno e ti guardo da lontano. Mi chiedo perchè stringi tra le braccia un corpo che non mi appartiene più da tempo. Perchè baci delle labbra che non sanno più dire il tuo nome. In quei momenti non so più chi sono. Solo quando mi vieni a riprendere ho la vaga sensazione di essere vivo, solo quando mi riallacci le catene che mi vincolano all'esistenza sento di essere Tooru Oikawa.

Però, se un giorno dovessi dimenticare il tuo nome, spezzami tutte le ossa. Così non potrò più andare da nessuna parte.

Tu sei così bello, Iwa-chan, che ti bacerei le guance fino a consumartele. Ti farei ballare sui miei occhi, ti prenderei le mani mentre fuori nevica e ti porterei a vedere come muoiono i fiori in inverno. Non lo farei per cattiveria, ho solo bisogno di mostrarti quanto sia dolce il mondo visto dalla prospettiva di un pessimista. Prenderei quelle tue sicurezze di cristallo e le porterei a infrangersi contro la mia spina dorsale. Distruggerei tutti i tuoi sguardi soltanto per ingoiarli meglio. Ti bacerei gli occhi per cancellare il tuo mondo e sostituirlo con il mio. Sei così bello, Iwa-chan, che se non ti distruggo adesso poi farai a pezzi il mio cuore e lo getterai lì, proprio lì, proprio sopra il tuo zaino, proprio dove dimenticherai di cercarmi. Perchè tu mi farai a pezzi, vero? O forse stai aspettando che lo faccia io per te?

E allora lasciami andare, lasciami perdere dove non potrai più trovarmi, dove non potrò più riconoscermi. Scapperò su Marte e affogherò le mie paure nell'incertezza. Vivrò simultaneamente in tutte le linee di universo, ma solo in quelle in cui io ti bacio il collo e le dita, in quel pomeriggio di metà febbraio in cui potevamo ancora far finta di essere amici. Scapperò e non tornerò più indietro. Abbraccerò le stelle e vomiterò sale e sabbia e polvere, con un braccio intorno al collo di un fantasma e la fronte poggiata sulle rocce lunari. Non ti chiamerò più tutte le notti per dirti quanto sia fredda la mia pelle senza il tuo respiro a scaldarla. Non striscerò nel tuo letto per strapparti via gli incubi dal sonno, le mie mani tra le tue gambe, le tue labbra tra le mie labbra, e i sospiri del mio amore tra i sospiri del tuo desiderio. No, non tornerò, te lo prometto. Svanirò tra gli asteroidi della fascia principale, incastrato tra gli eccessi di Marte e la solitudine di Giove. Me ne andrò fino a dimenticare chi sono - e forse non lo so neanche adesso. Continuerò a riempire gli spazi vacanti finchè non mi si spezzeranno le ossa e si svuoteranno i polmoni. Finchè non avrò bruciato gli ultimi residui umani depositati sul fondo di un barattolo di latta. Ma poi penso che non riuscirei a stare senza di te, e allora tornerei indietro. Lascerei tutta la mia disperazione e verrei da te, strisciando come un verme, trascinandomi dentro quel corpo che un tempo dicesti di amare. Verrei da te a baciarti di nascosto dietro le porte, a baciarti così forte fino a spaccarti i denti. Verrei da te anche se tu non mi vorrai. Verrei da te tutte le volte, anche se ti avessi detto che non sarei più tornato.

Io ti amo, Iwa-chan, ma forse ti meriti di meglio. Meriti qualcuno che ci sia sempre, che non si metta a vagare per il sistema solare mentre tu parli, che non ti chiami alle undici di sera reclamandoti nella sua stanza. Meriti qualcuno che i calzini li metta tutti nello stesso cassetto, che non abbia un ego così fragile che è costretto a riaggiustarlo ogni notte. Qualcuno che ti ami in un unico pianeta, e che non abbia bisogno di perdersi per ritrovarsi. Saresti più felice. O forse un po' ti mancherei, ma non ci metteresti tanto ad abituarti. A dimenticarmi, intendo. Non ci metteresti tanto ad abituarti a dimenticarmi. Hai già iniziato adesso.

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