Capitoli Uno/quattro

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CAPITOLO 1

ROMEO, L'INSONNIA

E I 40 GIORNI D'ATTESA

Ansia. Ansia. Ansia. Ansia.

Dormi. Dormi. Dormi. Dormi.

Dormi, Anna, ho detto dormi.

Più mi ordino di dormire e meno ci riesco.

Lo so benissimo come si fa a dormire. Si chiudono gli occhi e si dorme. L'ho imparato tanto tempo fa, quando avevo un Grande Amore. Certi giorni.... E certi altri no.

Cioè certi giorni mi voleva come Romeo con Giulietta al balcone. E certi altri no, e allora era come essere Giulietta, morta, con Romeo in giro chissà dove. E soprattutto chissà con chi. Solo che non era una morte eterna.

Noi risorgevamo sempre. Lui risorgeva sempre. E io ero lì ad attenderlo.

Il problema era cosa succedeva a me, mentre aspettavo che tornasse. Non dormire era il minore dei mali.

Il peggiore era il suo silenzio, che mi toglieva la pace.

Smetteva di parlare di colpo e io cercavo in tutti i modi di capire perché. Più insistevo, più taceva.

La prima volta che mi ha lasciato, ho pensato che sarei morta di dolore. Anche la seconda, e pure la terza. Non sapevo che fosse il suo modo di fare. Non riuscivo neanche a concepire un modo di fare così. Ancora adesso non capisco tanto bene come fai a dire a dire a una persona che la ami, e poi a non parlarle più di colpo, senza motivo, per tre o quattro mesi. Ma anche se non la ami, non capisco come fai a non dirle neanche «ciao» quando la incroci. E, soprattutto, se questa persona ti ama per davvero, come fai a non chiederle neanche «scusa» per averla trattata così?

L'unica cosa che ho capito è che non c'è niente da capire. Lui era fatto così. Mi amava tre mesi sì, e tre mesi no. Più o meno, perché non c'era una formula matematica, anche se io cercavo di scoprirla. Segnavo i giorni di silenzio sul calendario, perché sapevo che prima o poi sarebbero finiti. Ma non sapevo quando. Allora io, che non conto mai niente, contavo. E cercavo di stare calma fino al record di silenzi precedente. Dopo cominciavo a disperarmi. Oddio, in realtà stavo male tutto il tempo, infatti continuavo a mandargli messaggi.

In segreto, però. Perché nessuno doveva sapere che avevo questa malattia, di scrivere a un ragazzo che non voleva parlarmi. Che è come giocare a tennis da soli, non ha senso. Mandi le palline dall'altra parte del campo e nessuno ti risponde, una follia.

«Prendi il mio cuore». «No non lo voglio». «Dai per favore». «Dai per favore niente». Una partita infinita che mi uccideva. Però almeno sapevo cosa fare quando non dormivo, mandavo i messaggi a lui.

Perché io ero certa che a un certo punto, chissà come, chissà quando, chissà perché, una pallina sarebbe tornato indietro. Quindi insistevo finché il mio messaggio di ritorno non arrivava. Perché lui era fatto così. E io pure. Quando tornava, mi dimenticavo quanto male ero stata per colpa dei suoi silenzi.

Dì soltanto una parola e io sarò salvato. Ecco, appunto.

Lui parlava, io ero salva. Smettevo di contare i giorni, il cuore ripartiva, ricominciavo a respirare e a dormire.

Non come adesso, che non riesco a chiudere occhio. È colpa sua, perché ce l'ho sempre in mente, ma anche del libro che deve uscire.

Quando mi ha lasciato l'ultima volta stavo davvero per morire e allora ho pensato: «Oddio, se muoio non lascio neanche un libro». È da quando avevo 14 anni che ne volevo scrivere uno e un giorno mi sono svegliata che avevo 14 anni per due (o anche per tre) e non avevo ancora pubblicato niente. Per forza, iniziavo una storia, ma non la finivo. Tutte opere incompiute. Poi quando usciva un romanzo simile ai miei, mi arrabbiavo perché magari era la stessa idea che avevo avuto io. Ma le idee non funzionano, se non le metti in pratica. Così leggevo i best seller degli altri, tipo "I love shopping", e non finivo mai i miei.

Come scrivere un libro e diventare poveraOnde histórias criam vida. Descubra agora