Un grido fino al cielo

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Tre giorni dopo, lui tornò. Lo trovò alle cinque dal mattino, dopo una visita ormai di routine al bordello con Maria e l'uomo dai penetranti occhi azzurri. Salaì aveva scoperto che il suo nome era Giuseppe, come il padre di Gesù, anche se l'informazione gli era giunta senza il suo interesse. Per lui, l'uomo dalle iridi celesti era soltanto una parte del Maestro fiorentino che tanto gli mancava, nonostante le iridi di quest'ultimo fossero più intense. Gli occhi di Leonardo erano cangianti e rammentavano il cielo estivo durante quelle giornate in cui tutto il mondo è illuminato dal sole, ma come il cielo stesso questi potevano cambiare, sfumando in un pallido azzurro-grigio quando l'uomo era preoccupato o al contrario, tingendosi di un profondo ciano quando questi si inalberava. L'intera essenza del fiorentino era in continuo mutamento, inafferrabile ed etereo, sfuggente al suo tocco. Con Giuseppe, tutto era nato naturalmente, iniziato grazie a un semplice gioco di sguardi ricambiati. Era come fra loro fosse nato un a sorta di accordo, seppur implicito; era Giacomo a cavalcare l'uomo, a volte calmo con lenti movimenti dl bacino, altre volte selvaggiamente e privo di qualsiasi considerazione per l'altro. Dopo l'atto sessuale, non vi erano parole o sguardi o promesse, ma soltanto un rivestirsi affrettato senza indugi e senza il dovere di dire qualcosa all'altro. Si incontravano spesso al bordello e affittavano una stanza che pagavano a turno, tuttavia l'uomo non era parte del bordello come all'inizio Salaì aveva pensato. Dalla loro prima notte, quello diventò il loro luogo abitudinario di incontro. Quando Giuseppe non c'era, Salaì andava senza alcun risentimento da Maria, contento all'idea che non sarebbe comunque rimasto a bocca asciutta; anche se dentro di se iniziava a comprendere perché gli atti "peccaminosi" degli omosessuali fossero così intriganti. Laddove  inizialmente vi era una semplice idea mista a curiosità, adesso c'era l'esigenza di averne sempre di più: la sensazione delle pareti, secche e strette  intorno al suo membro erano inebrianti, molto di più rispetto al segreto bagnato tra le cosce delle donne.
Salaì era curioso di natura e laddove vi erano proibizioni lui trovava il fascino: bordelli, gioco d'azzardo, bugie, per lui nulla era precluso. Buffo che tutti si lasciassero illudere dalla sua faccetta dolce di angelo, quando in realtà egli veniva riconosciuto più per il suo nomignolo che per quello di battesimo. 

No vi era nulla di strano dunque, che egli ritornasse alla bottega così tardi, anche se mai si sarebbe aspettato di rivedere l'uomo proprio quella mattina, seduto ad attenderlo al bordo del letto, con il drappeggio scarlatto attorno a lui come in un dipinto dai toni drammatici. E fu buffo, perché tutto ciò che egli aveva accumulato durante quei giorni (il senso di abbandono, la rabbia repressa, l'accettazione dei suoi ambigui sentimenti per l'uomo fiorentino),  svanirono in un battito di ciglia quando l'uomo alzò gli occhi dalle sue mani intrecciate e tremanti per posarle sul suo viso. Ciò che vide Salaì in quel momento, non fu il Maestro fiorentino che lo aveva allevato fin da piccolo, che costruiva grandi cose e poi se ne disfava solo per puro capriccio e ingordigia della sua anima sempre desiderosa di qualcosa di più grande ed idilliaco. No, quello che vide fu solo un uomo dai capelli ingrigiti dal tempo e le mani tremanti intrecciate,un uomo con le borse sotto i grandi ed espressivi occhi azzurri e due rughe profonde che solcavano gli angoli della sua bocca severa. Sembrava che nel giro di qualche notte, anche a causa della delusione per il dipinto nel convento, non fosse rimasto nulla del genio che aveva cavalcato con furore ed intelligenza il mondo italiano per ben trentacinque anni. E sebbene Salaì fosse a conoscenza di quanto l'esperimento sul Cenacolo avesse distrutto l'uomo, vi era ancora qualcosa nei suoi occhi spenti che non riusciva ad identificare; una delusione più grande, forse ancora maggiore rispetto a quella dell'affresco, che sembrava avergli portato via tutta la luce dalle sue iridi cangianti. E sebbene sapesse che in realtà per il Maestro, lui non era altro che un ragazzo di bottega qualsiasi, qualcosa nel suo stomaco che si agitava gli conferiva l'illusione di essere lui stesso la causa di tanto dolore. Un diavolo tentatore, Salaì, che aveva rapito l'anima dagli occhi splendidi dell'uomo più incredibile della storia italiana. Ma non poteva peccare di presunzione, di essere così speciale per qualcuno come Leonardo da Vinci, un genio, ingegnere militare e grande artista. In fondo, cosa era lui se non una bella faccetta  e boccoli ramati? Un semplice garzone di bottega troppo testardo per farsi domare, che nemmeno sapeva distinguere le lettere per leggerle e scriverle.  Ma nonostante continuasse a ripetersi mentalmente questa frase come un mantra, quando fece un passo avanti verso l'uomo fu con una forte inquietudine all'altezza dello stomaco. 

L'apprendista del pittoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora