Parte 30 Una visita sgradita

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Samir aveva chiuso gli occhi non appena Cristian ebbe lasciato la sua stanza. Si sentiva dolorante e stanco, anche se aveva cercato di non darlo a vedere. Non era tanto il dolore fisico a fargli male, ma il ricordo dello sguardo invasato di suo padre, le iridi accese dall'alcol che aveva ingurgitato e dal risentimento che nutriva verso di lui. Non ne aveva mai capito il motivo, forse perché gli ricordava sua moglie che l'aveva lasciato per inseguire una vita migliore a Parigi?

Osservò il cielo imbrunirsi fuori dalla finestra, il cuore malandato continuava a domandarsi perché sua madre non lo avesse voluto e perché suo padre si era dovuto accanire in quel modo contro il suo unico figlio. Beh, a dire il vero, non era sicuro di essere il suo unico figlio, ma sperava di sì: non avrebbe augurato un padre del genere neanche al suo peggior nemico.

Maha gli aveva detto di aver spostato per lui le poche cose che possedeva nel nuovo appartamento fuori città. Non vedeva l'ora di andarci e di portarci Cristian. Non gli sembrava vero che Cristian l'avesse perdonato e che potesse avere una nuova occasione per dimostrargli di essere l'alfa giusto per lui.

Fu sul punto di assopirsi nuovamente, ma un'ombra si mosse veloce oltre il vetro della sua stanza, ne provò istintivamente paura: poteva essere Marc? Venuto per reclamare Cristian per sé? Il tempo di mettersi a sedere faticosamente e la porta si aprì.

Riconobbe l'uomo dall'odore che aveva addosso prima ancora di vederlo, provò paura, perché non poteva difendersi. «Vattene», disse.

L'uomo avanzò e il suo volto fu investito in pieno dalla luce della lampada sul comodino. «È questo il modo di accogliere tuo padre?»

Il suono di quella parola pronunciata da lui gli faceva orrore. Come osava usarla ancora? Dopo il modo in cui lo aveva ridotto? «Vattene», ripeté ancora. Allungò la mano verso il campanello per chiamare un'infermiera, ma suo padre gli fu addosso, gli afferrò il polso.

Samir si morse le labbra, ma sentì ugualmente gli occhi riempirsi di lacrime. La stretta di quelle dita gli stava facendo male, e lui non aveva la forza di reagire.

«Ho dovuto cercarti in lungo e in largo, ho perso giorni di lavoro per causa tua. All'inizio pensavo che te ne fossi andato in giro come al tuo solito, ma poi ho saputo... Così impari ad opporti al mio volere».

«Non riuscirai più a colpevolizzarmi».

Nella penombra vide un ghigno increspare le sue labbra. «È colpa tua, però, se ho dovuto picchiarti, è colpa tua se tua madre mi ha lasciato, perché credi che non ti abbia mai voluto vedere?»

Samir provò a divincolarsi, ma l'altro lo trattenne. «Persino il tuo omega l'ha fatto, o sbaglio?»

Samir avrebbe voluto dire che non era vero, ma le sue parole, una per una, gli avevano trafitto l'anima, colpendolo nelle sue insicurezze più grandi.

L'uomo continuò: «Tornerai da me, perché sono tutto quello che ti rimane, e lo sarò sempre. Non troverai mai un vero lavoro, quindi tanto vale che resti alla palestra, e poi... quale famiglia ti vorrebbe come compagno del proprio figlio?» Finalmente gli lasciò il polso.

Samir lo vide alzarsi, sperò che se ne andasse in fretta, ma quello si fermò proprio sulla porta. Le ultime parole che gli disse furono le peggiori da quando era entrato: «Se non torni, me la prenderò con il tuo omega, dirò alla sua famiglia che tipo di persona sei».

Il rumore della porta che si chiuse rimbombò nelle sue orecchie. Perché la sua vecchia vita non voleva saperne di lasciarlo in pace? Perché tutto quello che poteva offrire al suo compagno non era altro che pericolo?

Decise che questa storia sarebbe finita, per sempre.

Alone no more - WATTYS WINNER - Omegaverse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora