Parte 26 Fuggire

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Le prime luci dell'alba coloravano le strade e i palazzi di rosa, Samir uscì dalla sede che ospitava la banca, insieme ai colleghi, proprio quando arrivava il nuovo custode per il turno del mattino. Samir gli rivolse un cenno di saluto, aiutò gli altri uomini delle pulizie a caricare sul furgone i secchi e i prodotti che l'azienda privata portava sempre in giro.Odorava lui stesso di detersivo, una strana mistura di agrumi e fiori che a sentirla ogni notte e ogni mattina aveva cominciato a dargli la nausea.

Aveva solo due ore prima di prendere servizio presso la tavola calda, sarebbero state necessarie per fare quello che doveva.

«Sali?», un collega gli domandò, tenendo lo sportello aperto.

«Vado a piedi», lui rispose. Si infilò nel primo bar già aperto e chiese di poter fare una telefonata. Aveva deciso di avvisare anonimamente la polizia della presenza di Rick a Swansea e del fatto che avesse a che fare con la rapina. Se non fosse bastato, sarebbe andato di persona, avrebbe testimoniato contro di lui. Sapeva che i poliziotti avrebbero presto messo insieme i tasselli del puzzle e che se avessero saputo di lui, non ci avrebbero messo molto a sospettarlo di complicità. A ben vedere anche Rick poteva fare il suo nome. Ma doveva rischiare. Lo doveva a Cristian.

Con il cuore in gola compose il numero, disse quello che doveva, e poi se ne tornò a casa. Sarebbe stata una delle ultime volte. Aveva messo da parte la cifra necessaria per affittare una piccola stanza appena fuori città. Si trovava in un appartamento che aveva persino un cortiletto antistante, con aiuole ben coltivate.

Al termine di quella lunga giornata Samir infilò la chiave nella toppa della serratura. Era già aperta, segno che suo padre era tornato dal suo viaggio fuori città e che come al solito aveva dimenticato di richiudere. Nel cucinino non c'era, infatti, nessuno, a eccezione di una bottiglia di vino semivuota sul tavolo e un piatto sporco. Tra qualche giorno non avrebbe più visto i segni che lui lasciava in giro e non avrebbe più sentito l'odore di vino. Aveva messo in disordine anche la stanza da letto, Samir raccolse ciò che aveva e lo mise nel suo zaino, piuttosto malconcio, a dire il vero. Prese anche i bozzetti sul tavolino e liberò la stanza di ogni segno che potesse rivelare che una volta aveva abitato lì con quell'uomo. Ne aveva abbastanza. Decise in quel momento che avrebbe chiesto ospitalità a Maha per i giorni che mancavano al suo trasferimento vero e proprio. Si domandò se Cristian sarebbe stato orgoglioso di lui, di quel cambiamento, ma presto una morsa allo stomaco gli suggerì di non pensarci: l'idea che presto Cristian avrebbe permesso a Marc di marchiarlo lo faceva morire.

Non appena rientrò nel cucinino si accorse che la porta d'ingresso si apriva. Sulla soglia comparve suo padre, e sembrava più alterato del solito. Samir strinse il manico dello zaino sulla sua spalla. Non avrebbe voluto affrontarlo.

«Dove vai?», l'uomo gli domandò.

«Vado via».

Un sorriso che assomigliava più a un ghigno si dipinse sul volto dell'uomo. «In vacanza? Sei uno smidollato, un buono a nulla, in palestra non ti ho più visto, eppure sono tuo padre e ho il diritto che tu mi aiuti».

«Gratis», Samir disse tra i denti.

«Come?», l'uomo si avvicinò e Samir sentì l'odore di alcol che il suo fiato emanava.

«Mi sfrutti, l'hai fatto per tutta la vita, e ora sono stufo».

Tentò di oltrepassarlo, ma una spinta lo fece retrocedere. Bene, Samir si disse, stava arrivando un'altra dose di botte. Forse schiaffi o pugni, ma poi tutto sarebbe finito, e lui si sarebbe liberato per sempre di quell'uomo, di quel posto sottoterra, e della merda che lo aveva sempre circondato: dei furti, delle cattive compagnie, della tentazione di affogare le difficoltà in qualche droga.

Tentò di schivare il primo schiaffo, ma la stanchezza che aveva accumulato negli ultimi giorni aveva indebolito i suoi riflessi. Il palmo aperto lo colpì in pieno viso.

«Me ne vado per sempre», Samir disse anche se sarebbe stato più intelligente fargli credere che era solo un allontanamento momentaneo, una vacanza, come aveva ipotizzato l'altro.

«Non puoi andare da nessuna parte, mi appartieni», suo padre sibilò e si gettò su di lui.

Il pugno allo stomaco lo prese alla sprovvista e lo fece piegare in due. Era stato stupido a sfidarlo, ma era stanco delle stronzate di quell'uomo che credeva di avere un qualche diritto su di lui. Era maggiorenne e se era rimasto fino a quel momento era stato per un senso di pietà, perché non aveva i soldi e perché credeva, in fondo, di meritarlo, ma da quando aveva incontrato Cristian, tutto era cambiato.

Si coprì la testa con le mani, sentì un calcio spaccargli le labbra. Non aveva più energie per difendersi, per tentare la fuga. Non sapeva dove l'uomo avesse trovato la forza di colpirlo in quel modo, non era mai accaduto con tale violenza. E, forse, la ragione era la consapevolezza di aver perso suo figlio per sempre, di non poterlo più manipolare con i sensi di colpa.

Samir chiuse gli occhi, quando li riaprì era solo e dolorante. Il sapore metallico del sangue gli aveva invaso la bocca, e ogni respiro era come una lancia conficcata tra le costole. Tentò di alzarsi, ma non ne aveva la forza né poteva muoversi senza che un dolore lancinante lo attraversasse. Prese il telefono. C'era un'unica persona di cui voleva sentire la voce.

Alone no more - WATTYS WINNER - Omegaverse Where stories live. Discover now