Capitolo 1 - il dottor Farwell

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2.11.2007
Ore 15,20.

Questo attrezzo infernale gracchia dalle prime ore della mattina.
Non mi lascia pensare.
Non mi lascia lavorare.
Non mi lascia fare nulla.
Non rispondo.
Come ormai faccio da quasi un'ora.
A che diavolo serve padroneggiare la magia, se poi dobbiamo ostinarci a farci tormentare da un fastidiosissimo interfono?
Le carte sulla mia scrivania si accumulano come farebbe un'alveare di api su un barattolo di miele.
Tutti hanno urgenza di parlare con me.
Tutti, nessuno escluso.
Kimberly bussa alla porta.
Alla fine sembra essersi imposta il coraggio di affrontare la mia presenza.
La sua frangetta bionda fa capolino dallo stipite.
Si avventura oltre la soglia, con un misto di paura e rispetto ad affogarle gli occhi.

-    "Ministro, è la terza volta che rimbalzo la chiamata del dottor Farwell.
Non so più che scusa inventarmi, e lui comincia ad innervosirsi.
Mi ha praticamente minacciata dal camino..."

-    "Che diavolo vuole Farwell?
Ho detto che non ci sono per nessuno.
E nessuno comprende anche lui Kimberly, non mi sembra un concetto poi tanto difficile!"

La ragazzina, che lavora per me da poco più di sei mesi, abbassa la testa.
Si aggiusta frettolosamente la camicia sotto alla giacca grigia dal taglio dozzinale.
Poi trova la forza di puntare gli occhi nei miei.

-    "Le domando scusa Ministro.
Ma temo sia importante. Mi ha praticamente urlato contro di farle visionare il plico che le ha spedito ieri."

È un'inetta anche lei.
Come d'altronde tutte quelle che hanno lavorato qui, prima di lei, durando a mala pena due settimane.
Ma almeno non è un'idiota.
Almeno trova il coraggio di puntare lo sguardo nel mio.
E di risparmiarmi una voce sempre sul limitare del pianto.

-    "Di quale diavolo di plico stai parlando?"

Glielo sputo in faccia.
Come faccio sempre.
Con la pochissima pazienza che ormai mi concede il mio lavoro.
Lei si avventura al centro della stanza.
Gli occhi bassi, concentrati su un qualche intarsio del tappeto.
Raggiunge la scrivania di fretta.
Facendo ticchettare i suoi décolleté neri sul pavimento di legno.
Fruga velocemente tra le mie carte.
E io le lascio intuire il mio fastidio.
Come al solito.
La verità è che non la sopporto.
Così come non sopporto tutti gli altri.
Trova il plico, gelosamente custodito in una cartellina rossa.
Ha le mani che tremano leggermente.
Ed io mi innervosisco.
Ancora di più.
Le strappo i documenti dalle dita.

-    "Se richiama Farwell, digli che lo contatterò in serata, non appena avrò letto le carte."

Lei mi guarda.
Indugia in piedi di fianco alla mia poltrona.

-    "Hai bisogno di un permesso scritto o riesci ad uscire dal mio ufficio da sola?"

Glielo ringhio con poca grazia.
Aprendo la cartellina sulla prima pagina.

1 novembre 2007
Rapporto sulle autopsie di Bayswater

-    "Fammi capire Kimberly, mi hai interrotta dal mio lavoro per la trecentesima volta, solo per farmi leggere delle autopsie?"

Lei si irrigidisce.
Se possibile ancora di più.
A ridosso della porta, che non vedeva l'ora di raggiungere per liberarsi della mia presenza.
No, a rifletterci bene, penso che non durerà neppure lei.
Scapperà da questo ufficio come hanno fatto tutte quelle prima.
O sarò io a sbatterla fuori.
Ancora non lo so.
Solleva lo sguardo.
Si lascia sfuggire un'espressione di terrore.

-    "Il dottor Farwell mi ha detto di costringerla a leggere oltre alla prima pagina.
Temo che si aspettasse questa reazione..."

Lo dice con la voce incrinata.
Ma guadagna qualche punto.
Almeno dimostra un minimo di coraggio.
Almeno tira fuori la forza di affrontare il mio malumore.
Le faccio un cenno del capo.
Le permetto di fuggire il più lontano possibile da me.
O per lo meno al di là della porta.
Dove potrà ricominciare a prendere fiato.
Inforco svogliatamente i miei occhiali di corno.
Li fisso con l'indice sul naso.
Volto la prima di quelle che sembrano essere almeno una cinquantina di pagine, ordinatamente compilante dalla scrittura allungata di Farwell.
Scorro sulle lettere velocemente, cercando di capire il motivo di tanta fretta.
E sembro non trovarlo.
Mi addentro in minuziose descrizioni di parti di corpi, in analisi dettagliate degli effetti catalogati, in ricostruzioni poco plausibili dell'accaduto.
Finché non arrivo circa alla ventesima pagina.
Alcune righe sottolineate di fretta mi bloccano il respiro.

La causa della morte di tutte le vittime presenti nel parco di Bayswater sembra essere avvelenamento.
Purtroppo il veleno non è stato rintracciabile e catalogabile durante l'autopsia.
Non è un veleno conosciuto.
Ma non vi è alcun dubbio.
Le bruciature sulla trachea, sui polmoni e sull'intero apparato digerente e respiratorio escludono qualsiasi altra causa di decesso.

Avvelenamento.
Di dodici persone contemporaneamente.
In un parco centralissimo di Londra.
Un avvelenamento circoscritto ai soli maghi e streghe.
I babbani presenti nel parco al momento dell'accaduto non presentavano alcun segno di intossicazione o di malessere generale.
Gli uomini del ministero, dietro mio ordine, hanno passato la prima mattina di una settimana piovosa a dispensare oblivion per le vie di Londra, come se fossero stati volantini di un nuovo all you can eat babbano.
Cercando di far dimenticare, alle quasi trecento persone presenti nel parco quella domenica, l'ecatombe che si era consumata loro intorno.
E adesso tutti cercano risposte.
O meglio, i pochi a cui ho permesso di venire a conoscenza dell'accaduto.
Da me.
Il ministro della magia.
Che si trova tra le mani una nuova paura da dover affrontare, dopo una guerra che ha lasciato tutti sconvolti e orfani di spensieratezza.
Le unghie lunghe del male fanno ancora vibrare di terrore.
Il ricordo del buio porta nuovo buio nelle menti, e si è fin troppo solerti a lasciarsi cogliere dal panico.
E Farwell è un vecchio medico.
Non mi fido di lui.
È apprensivo.
Terrorizzato dalla sua stessa ombra.
E tende a vedere mostri anche dove non ci sono.
Non è la prima volta che mi fa uno scherzo del genere.
Non più di un anno fa ha terrorizzato metà del mio staff con un avviso mandato senza riflettere troppo, contenete la minuziosa descrizione di un cadavere che, a parere suo, sembrava aver subito il bacio del dissennatore.
L'uomo era stato visto vagare in preda al panico e alle visioni.
Prima di essere ritrovato morto.
Con poche righe era riuscito a gettare nel panico un intero palazzo.
Ed io avevo dovuto rastrellare mezza Inghilterra alla ricerca di un fantomatico dissenatore, secondo lui scappato alla detenzione del ministero.
Una nuova perizia sul cadavere aveva poi rivelato una semplicissima cirrosi epatica di un povero senza tetto, recuperato da uno dei nostri, agli angoli di una strada di Diagon Alley.
Niente dissennatori.
E niente baci.
Solo un centinaio di bottiglie di whisky di troppo e una bocca corrosa dall'alcool, insieme a quello che restava del fegato.
Mi alzo dalla poltrona di scatto.
Lascio vagare lo sguardo sulle gocce di pioggia che disegnano l'enorme finestra del mio ufficio, affacciata sui tetti di Londra.
Devo capire cosa succede.
E devo farlo in fretta.
Perché nessuno mi vede di buon occhio col sedere su questa scrivania.
I bisbigli mi raccontano di un malessere comune nel vedermi occupare un posto tanto prestigioso.
E tanto ambito.
E devo difendere con le unghie e con i denti la mia conquista.
La mia scalata sul tetto del mondo.
Che ha richiesto fatica, abnegazione, lavoro.
E anche una buona dose di ambizione.
Mi sfilo gli occhiali.
Li butto con noncuranza sul divano di pelle marrone che sembra sostenere l'enorme vetro, oltre il quale i miei occhi cercano una via di fuga dalla responsabilità che mi incombe sulle spalle.
Mi strofino l'attaccatura del naso con due dita.
Raccolgo i pensieri un istante.
Poi mi volto verso la scrivania.
Schiaccio il tasto rosso dell'interfono che negli ultimi venti minuti sembra aver smesso di farmi impazzire.

-    "Sì, Ministro!"

La voce di Kimberly tradisce la frustrazione che cerca di nascondermi ogni giorno.

-    "Chiamami a raccolta tutti gli anatomopatologi del paese.
Li voglio nel mio ufficio domani mattina alle nove in punto.
E fai presente a tutti che non accetterò un solo no come risposta!"

Alzo il dito dal pulsante.
Il brusio di fondo di questo maledetto apparecchio si interrompe bruscamente.
Mi abbandono sulla poltrona.
Libero frettolosamente i primi due bottoni della camicia.
Cercando di dare al mio respiro una nuova possibilità di infondermi un briciolo di tranquillità.
E ovviamente non ci riesco.
Questa storia mi sta facendo impazzire.
Afferro con noncuranza la caraffa di acqua che Kimberly si preoccupa di farmi trovare ad ogni ora sulla scrivania.
Sempre fresca.
Sempre piena.
Come piace a me.
Ne verso un bicchiere colmo fino all'orlo.
Lo tracanno con poca eleganza.
Prima di farmi prendere dal nervoso ancora una volta, sentendo l'ormai perenne ronzio scricchiolante dell'interfono.
Premo con stizza il pulsante verde, posto sull'angolo destro di questo aggeggio infernale.
La voce della ragazzina dalla frangia bionda invade ancora una volta il silenzio del mio ufficio.
Sembra quasi eccitata.
Compiaciuta del suo lavoro perfetto.

-    "Domani alle 9 in punto sei anatomopatologi di fama internazionale si presenteranno qui per il colloquio che mi ha richiesto poco fa, Ministro Granger."

Là, dove stentano a volare persino gli aquiloniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora