Capitolo 19

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- Mi dispiace, Lenah.

Adam mi raggiunge in corridoio. Sono con una mano sulla porta della mia camera, quando lo vedo arrivare di corsa.

- No, tranquillo. Mi sono solo illusa che tu potessi mantenere un segreto. Uno stupido e dannato segreto! Ma invece no, hai preferito dirlo a Malcom per mettermi nella merda più totale! - esplodo.

- È per aiutarti. E poi, davvero sei sicura che non lo sapesse già? 

Rifletto un attimo sulla faccenda, ma sono troppo orgogliosa e sconvolta ed è per questo che scelgo ancora una volta di mettere a tacere quella vocina dentro di me ed urlo:

- Stronzate! Tu non vuoi davvero aiutarmi. Tu vuoi solo farmi stare peggio. Ora sarò costretta a parlare, altrimenti non avrò pace, e tutto per colpa tua!

- D'accordo, forse avrò fatto una cazzata e sarò stato impulsivo perché ho visto solo nero quando non volevi parlarmi e confidarti con me, ma è per il tuo bene.

- Smettila di dire che è per il mio bene!

- Senti, Lenah, ora devi solo calmarti. Mio padre sa essere un bravo psicologo. Può aiutarti.

- Cos'è, adesso ho anche bisogno di uno psicologo? Pensi che sia una fuori di testa che non sappia gestire la propria pazzia? Pensi che abbia bisogno di uno psicologo ora, ora, quando ho vissuto così per nove anni?

Adam socchiude gli occhi.

- Nove anni? - ripete. - Questa storia va avanti così da nove anni?

Mi accorgo della mia semi-rivelazione ed impreco mentalmente contro le parole che sono rotolate fuori dalla mia bocca senza che potessi fermarle in tempo. Così, scuoto la testa per provare a rimediare al danno commesso.

- No, sono solo stanca. Vattene.

Fa per replicare, ma lo interrompo con un gesto ed abbasso la maniglia della porta della mia stanza.

- Cazzo, Lenah...

Mi volto verso di lui.

- Non "aiutarmi". Chiaro? Lasciami in pace. Tu e Malcom non sapete nulla e mai saprete. Non sapete un cazzo - concludo.

Sbatto la porta, spengo la luce e mi accoccolo sul letto, finché non cado in un sonno profondo.


La luce che filtra dalla finestra mi fa aprire gli occhi. Sbatto le palpebre un paio di volte, poi mi alzo e mi stiracchio.

Vorrei evitare per sempre sia Malcom che Adam, ma non posso. Ed in questi momenti odio me stessa per dei pensieri così vigliacchi. Ho bisogno della colazione e per fare questo devo affrontarli. Perciò sono costretta a cambiarmi i vestiti della sera prima e a scendere le scale per andare in cucina. Sto odiando questa tranquilla e fino a poco tempo fa felice routine. Ora non voglio incrociare Adam o il professore neanche se avessero in mano un vassoio pieno di frittelle che aspettano solo me: sto morendo di fame. 

Come a voler confermarlo, il mio stomaco brontola rumorosamente.

Malcom si gira appena entro. È seduto a capotavola e rivolge le spalle alla porta. Di Adam, invece, non c'è traccia.

All'improvviso voglio sapere dove è andato, cosa sta facendo.

Mi mordo il labbro inferiore e mi metto seduta al mio posto, dopodiché mi avvento sul mio toast.

Quando finisco, mi alzo e me ne vado.

Malcom non ha detto niente.

Strano.

Aggrotto le sopracciglia mentre esco nella frizzante aria mattutina.

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