MEREDITH SMITH

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La bambina che era con noi, a quanto pare, conosceva bene il signor Barth. Peccato che io non mi ricordo di lei. Una volta ho provato a chiedere ad Alice il suo nome, perché mi ero insospettita per via del suo rapporto col signor Barth, ma nemmeno Alice lo sapeva. O meglio, mi sembrava cercasse di dimenticare, il volto di questa bambina, come anche il mio, era avvolto da una nube nera che ne cancellava le fattezze.

- Mia madre dice che non devo mai accettare nulla dagli sconosciuti – commentò Alice.

- Ma non è uno sconosciuto. Tutti conosciamo il signor Barth – ribatté la bambina.

- Devi ammettere che non è normale che qualcuno ti porti nel retrobottega – provai a fare da intermediario tra le due.

- Ma è lì che ha la cucina! – protestò la bambina.

- Mio padre dice che stanno accadendo alcune cose brutte e che è meglio non fidarsi di nessuno. Mi dice sempre di stare con i miei amici e poi tornare dritta a casa senza parlare con nessun altro – Alice sembrava preoccupata.

La bambina alzò le spalle:

- Qui succedono sempre cose brutte. Il signor Barth è solo e ogni tanto è contento di avere qualcuno con cui parlare o a cui insegnare come si riparano le scarpe.

Feci cenno ad Alice di non rispondere e di chiudere la questione. Non avevo voglia di sentire discutere e stava diventando buio. Mia madre avrebbe cucinato il pollo con le patate ed ero intenzionata a tornare presto per poter scegliere il pezzo più arrostito e succulento.

Salutammo la bambina all'incrocio successivo e proseguimmo verso casa. Io ed Alice oltre ad essere migliori amiche eravamo anche vicine e giocavamo insieme da quando eravamo piccole.

Facevamo la strada insieme sia per andare a scuola che quando tornavamo a casa dopo aver giocato in strada con gli altri. In realtà non giocavamo molto, preferivamo stare sedute sui gradini di qualche casa a guardare i ragazzini che giocavano a calcio o simulavano le risse. Forse i guai sono iniziati proprio per questo motivo: è molto facile avvicinare qualcuno che sta sempre in disparte.

A volte guardo Alice e mi chiedo se lei, dopotutto, non sia una miracolata, una sopravvissuta, ma non importa, mi dico, è meglio così.

- Cosa pensi stia accadendo in città? Perché tuo padre ha così paura delle persone? – chiesi mentre trottavamo verso casa.

Ero molto curiosa perché anche mio padre ultimamente la pensava come il papà di Alice e in casa, dai discorsi origliati quando i miei genitori pensavano stessi dormendo o dagli sguardi che si scambiavano a cena, sapevo che c'era qualcosa che preoccupava tutti. Quando Alice aveva detto anche suo padre sembrava agitato era scattato in me un campanello d'allarme.

- Non so cosa stia succedendo, ma l'altra notte avevo sete e sono scesa in cucina per bere. I miei erano al tavolo a parlare a bassa voce e mi è sembrato strano, di solito vanno a dormire presto perché papà si alza all'alba per consegnare i giornali. Ho provato a nascondermi per ascoltare ma sai che non ne sono capace.

Alice arrossì. Era decisamente goffa quando si trattava di nascondersi, figuriamoci se doveva tentare un'opera di spionaggio.

- Mi hanno scoperta, ovviamente, e mi hanno chiesto perché fossi in piedi e cosa avessi sentito. Purtroppo avevo solo capito che c'è qualcuno di molto pericoloso in città e che papà era preoccupato dalla possibilità che questa persona si avvicinasse a noi.

- Alla tua famiglia?

- A noi... Bambini.

Continuammo a camminare in silenzio, la testa che mi faceva male per tutte quelle informazioni. Ripensai al signor Barth e al suo retrobottega.

Alcune pagine di Manchester 1970Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora