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HAZEL

Lori mi ha scaraventato fuori dal letto. E con scaraventato intendo letteralmente. Mi ha afferrato con il suo corpo minuto e mi ha buttata come un salame sul pavimento. Ha aperto le tende per renderla luminosa come un tempo, visto che non faccio altro che tenerle chiuse da giorni. Ha aperto le finestre e l'aria si è come rianimata di colpo. Mi ha urlato contro che non posso continuare a stare chiusa qui dentro, che ho bisogno di ossigeno, di aria pulita da racchiudere nei polmoni e che devo continuare a vivere perché non sto facendo altro che oziare in attesa di un'illuminazione divina. Forse ha ragione sto usando tutto questo come scusa per non fare nulla, ma il fatto è che non so proprio cosa fare. «Devi tornare alla vita vera Hazel. Sta sera esci con me» è questo che mi ha urlato questo pomeriggio e mi sono lasciata convincere. È qui fuori che aspetta, continua a fissare la porta ansiosa come se si aspettasse un declino al suo invito. Vorrei davvero uscire, ma l'idea di fare finta di nulla e bere mi dà il volta stomaco. Ma devo farlo altrimenti verrà nella mia stanza e mi trascinerà fuori con la forza. Così faccio un bel respiro e la raggiungo. Alza le braccia al cielo appena mi vede «Dio! Pensavo mi dessi buca!» sbotta sarcastica. «Ci stavo pensando.» le rispondo simulando una smorfia. Rotea gli occhi «Dai forza, andiamo ci stanno aspettando!» la blocco di colpo non appena termina la frase. «CI stanno aspettando? Cosa vuoi dire Lori, chi altro sta uscendo con noi?» le domando sapendo già la risposta. «Tutti! Incluso tuo fratello.» risponde. Sono molto tentata di fare dietro front e mandarla a quel paese. L'ultima cosa che voglio fare è uscire con persone che mi guarderanno piene di malinconia come se fossi l'unica ad aver perso qualcuno e che poverina, starà soffrendo come i matti. Sbuffo, e lo faccio così rumorosamente che Lori se n'è accorge, ma non dice nulla. Sa per certo che sarebbe una battaglia persa già in partenza. Camminiamo fino al pub parlando di cose futili che faccio finta di seguire. Quando arriviamo, Lori entra dentro mentre io resto fuori per resettare il mio cervello e prendere coraggio ad entrare. Non sono mai stata una fumatrice accanita, ma quando sono nervosa, e questo non succede quasi mai, ne approfitto per cercare di buttare via tutte le frustrazioni. «Non pensavo ci fossi anche tu sta sera.» Konnor cammina lentamente dall'altra parte dell'entrata, proprio di fronte a me. Ha le mani nelle tasche dei pantaloni, i jeans leggermente sgualciti e i capelli spettinati. «Mi hanno costretto.» ammetto accendendo la sigaretta. «Sei nervosa.» dice. «Come?» domando. «Dicevo. Sei nervosa. Quando fumi, lo fai perché sei nervosa.» lo guardo per due secondi che sembrano ore, poi volto lo sguardo alla sigaretta «Ah questa. Beh si, un po'.» alzo le spalle e faccio un tiro. Konnor va' per ribattere quando qualcuno, dai capelli biondi lo affianca sorridendogli e buttandogli le braccia al collo. «Eccomi, sono arrivata.» osservo la scena inebetita perché non riesco a capire se quello che vedo davanti agli occhi sia la realtà oppure finzione. «Ho fatto tardi, lo so. Ma mia sorella mi ha tenuta al telefono e così ho perso la cognizione del tempo.» si sporge continuando a sorridere e le sue labbra si posano su quelle di Konnor. Resto di sasso. Come se mi avessero buttato addosso guaina bollente. La sigaretta continua a fumarsi sola, il vento se la porta via ed io continuo, invece, a rivedere la scena di poco prima nella testa. «Oh scusa. Non vi ho mica interrotti?» domanda voltandosi verso di me, continuando a sorridere. Inizia ad irritarmi tutta questa felicità sul suo volto. «Lei è Hazel. Una...una vecchia amica.» ora sono una vecchia amica? «Lei è Hanna. La mia fidanzata.» annuncia. «Piacere di conoscerti!» mi tende la mano e sono davvero indecisa se afferrarla e fare la persona educata oppure sputarci sopra. Ci rifletto pochi secondi e poi metto in atto la prima opzione ricambiando il gesto. «Scusate...Lori mi starà cercando. Vado a vedere che fine ha fatto.» butto il mozzicone e corro dentro a passo spedito in cerca di Lori. Non appena la inquadro le afferro il braccio e la trascino fino al bagno. «Hazel piano! Rischi di staccarmi il braccio!» mi rimprovera. «Quando avevi intenzione di dirmelo?» incrocio le braccia al petto furiosa. «Di cosa parli?» si acciglia. «Di cosa parlo? Di Konnor e la sua Barbie portatile. Cazzo Lori, per mesi ti ho chiesto informazioni e non mi hai mai detto nulla.» le urlo contro. «Io...Non sapevo come dirtelo Hazel!» abbassa lo sguardo. «Da quanto tempo stanno insieme?» chiedo. «Non fa alcun differenza.» ribatte. Incupisco lo sguardo. «Da quanto Lori?»  marchio il tono di voce. «Quattro mesi, cinque forse.» alzo le braccia al cielo e poi le lascio crollare sui fianchi. «Mi hai mentito per cinque mesi...Io ti chiedevo di lui e tu non mi hai detto che è andato avanti.»

«Forse dovresti farlo anche tu non credi? È il momento giusto questo. Non puoi fare l'egoista Hazel, realizzare i tuoi sogni e pretendere che le persone ti aspettino.»  mi sento pugnalata dalle sue parole. Mi sento ferita nell'intimo, nella parte più sensibile della mia anima. «Perfetto. Ora che hai chiarito i tuoi pensieri posso andarmene.» non le lascio il tempo di ribattere che esco fuori dal bagno chiudendomi la porta alle spalle. Vorrei chiudere anche tutto il resto ma so che non è possibile. Quando qualcosa si insedia dentro di te, puoi chiudere quante volte vuoi la porta, ma le fessure lasciano sempre uno spiraglio, un foro da cui far trapelare tutto. E ogni cosa viene rimescolata e si finisce sempre lì, a cercare un senso a qualcosa. A cercare di trovare la forza di guardare in faccia quella che è la realtà, nuda e cruda. Mi avvicino al bancone senza degnare di uno sguardo il resto del gruppo che è seduto in un angolo e chicchera senza curarsi di quello che faccio io. «Serataccia?» il barista, mai visto prima a Bakewell si avvicina con lo strofinaccio in mano mentre armeggia dei bicchieri puliti. «Non è serata da circa due settimane se vogliamo specificare.» mi fisso le mani in attesa di decidere come continuare la serata. «Vuoi bere?» alzo lo sguardo e noto che mi sta fissando con un lieve sorriso sul volto. Annuisco. Poi mi porge un bicchiere. «E' vodka, niente di eclatante.» alza le spalle e continua a pulire davanti a sé. «Non sei di Bakewell vero? Qui conosco tutti e non ti ho mai visto.» domando mentre lo osservo. Ha i capelli castani leggermente scompigliati, gli occhi dello stesso colore dei capelli e la pelle chiara. «No, sono arrivato da qualche mese. Mio zio ha il negozio di frutta vicino al lago.»

«Roger è tuo zio?» domando sbalordita. Credevo che quell'uomo non avesse parenti. «Beh sì. Mia madre è sua sorella.» sorride. Devo dire che anche il sorriso non è niente male. «Credevo non avesse parenti. Va' in giro sempre solo e non parla mai con nessuno. Per anni mi sono chiesta come facesse a vivere in quella casa così grande da solo.» continuo a farfugliare mentre finisco di bere la mia vodka. Il resto del gruppo invece, ogni tanto mi lancia qualche occhiata ma poi, smettono, sicuramente Lori avrà trovato una scusa buona per la mia asocialità. «Era dei miei nonni. L'avevano acquistata per le vacanze. Mia madre ci veniva da piccola. Zio Roger si è innamorato di questo posto e si è trasferito qui non appena ha potuto.» mi racconta e sono quasi affascinata di scoprire veramente la storia di qualcuno la cui, mia immaginazione., mi aveva sempre fatto pensare ad altro. «Io nemmeno ti ho mai vista. È un posto piccolo. Ormai credo di conoscere tutti qui.» continua a dialogare. Cerco di sorridere anch'io anche se mi sforzo davvero molto. «Io sono di Bakewell. Ma...ho studiato per un po' in città. Vivo lì. Ho vinto una gara, ognuno dei partecipanti doveva mostrate i suoi dipinti in una mostra. Con la vincita mi sono aperta una galleria d'arte.» mi piace parlare della mia galleria, quasi come fosse una figlia. «E perché sei qui, tutta sola e triste? E, intenta ad affogare qualsiasi cosa in questo bicchiere che hai tra le mani?» un velo di angoscia mi piomba addosso. Avevo persino dimenticato il dolore che provo per la perdita di mio padre. «Mio padre è morto. Sono tornata per il suo funerale.» ammetterlo ad alta voce è anche una liberazione, come se mi stessi finalmente rendendo conto di quello che è successo. «Oh. Scusa. Io non volevo essere scortese.» scuoto la testa. «Assolutamente. È la prima volta che riesco a dirlo ad alta voce,» ammetto. Lui mi allarga quanto più può il suo sorriso e mi sembra di incantarmi per qualche minuto. «Non mi hai detto il tuo nome.» annuncio, voglio scoprire qualcosa di più. «Jackson» lascia il tovagliolo sul bancone, si slaccia il grembiule e lo appoggia ad un gancio. «ed ho appena finito il mio turno. Ti va di fare una passeggiata...?»

«Hazel. Mi chiamo Hazel.» lascio il bicchiere sul banco, afferro le mie cose e lo seguo. «Andiamo!»

L'attimo in cui ti ho rivisto.जहाँ कहानियाँ रहती हैं। अभी खोजें