II

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II.

«Ehi, tutto bene?»

La voce sembrava quella di una ragazza, ma non era possibile, perché non c'erano ragazze in prima linea, e quando c'erano urlavano in una lingua che Klaus non aveva mai imparato e non avevano un tono preoccupato e gentile. In guerra le ragazze morivano, tutti morivano, com'era successo a Dave.

«Non siamo al fronte, Klaus, respira. Ti sei chiuso in un bagno, questa è una discoteca. Respira e cerca il telefono.»

E quello era Ben, almeno su quel punto non c'erano dubbi.

Klaus gli credeva, però non riusciva a calmarsi. Il panico lo stava mangiando vivo. Il suono delle esplosioni di mortaio gli rimbombava nelle orecchie e non riusciva ad aprire gli occhi, figurarsi a cercare quel dannato cellulare.

Lo odiava, era stato tentato di venderlo per comprarsi una dose almeno un milione di volte nelle ultime settimane, ma alla fine se l'era tenuto ed era ridicolo, non aveva nessun numero registrato in rubrica, tranne quello dei suoi fratelli e soltanto perché Diego si era preso la briga di inserirli per lui prima di regalarglielo.

Non si era sprecato in tante parole, a dire il vero. Dopo quella sera in palestra era tornato ai soliti silenzi conditi di occhiatacce, smorfie sarcastiche e, occasionalmente, da qualche raro sorriso. Quelli facevano sempre un certo effetto, proprio perché erano un'eccezione alla regola dei suoi musi lunghi.

Diego gliene aveva mostrato uno anche mentre gli consegnava il telefono. Era entrato in camera sua, si era seduto sul letto, su cui lui se ne stava stravaccato in preda alla noia e al tormento esistenziale, e glielo aveva lasciato cadere sul petto.

Klaus si era agitato per cercare di prenderlo, come se si trattasse di una granata senza la sicura, e a Diego era scappata una mezza risata.

«Ne abbiamo uno per ciascuno. Tutti uguali,» aveva spiegato. «Luther ci teneva.»

Klaus si era chiesto perché, allora, non era stato Uno a darglielo. Aveva aperto la bocca per domandarlo ma poi l'aveva richiusa. Si era detto che non aveva importanza.

«Ci sono già tutti i numeri.» Diego era tornato serio. «Per quel che puoi fartene.»

Si era alzato per andar via, il tutto senza che Klaus avesse pronunciato mezza parola.

Sulla porta si era fermato per un attimo.

«Non sei più andato a cercare un pusher. Non c'è stato bisogno di starti tra i piedi ultimamente. Ma se servisse...»

Era uscito lasciando la frase in sospeso.

Ora Ben pretendeva che Klaus lo chiamasse per chiedere aiuto e, per quanto fosse patetico e poco dignitoso, lui l'avrebbe accontentato, se solo fosse riuscito a smettere di tenersi le mani premute sulle orecchie nel vano tentativo di non sentire più il frastuono della discoteca. Quella dannata cacofonia di rumori che, perfino attenuata com'era, lo raggiungeva lo stesso.

Sapeva che era solamente musica, che al di là della porta del cubicolo, c'era una tizia preoccupata per lui, anche perché era stato troppo stravolto per accorgersi che si stava infilando nel bagno delle donne, ma non riusciva comunque a scacciare le immagini dei traccianti che illuminavano il cielo a giorno e le grida dei moribondi. L'odore di sudore, polvere da sparo e sangue era più forte di quello reale e tipico di un bagno pubblico ed era anche più nauseante.

Klaus se ne stava raggomitolato in un angolo e non riusciva a far niente, nemmeno a rispondere.

Ben era accucciato davanti a lui e stava ancora parlando con un tono calmo, controllato.

Impossibile da ignorareOnde histórias criam vida. Descubra agora