скелет

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ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ III

[ 🍀 ]


Il corpo di Dazai è immobile come il più freddo dei marmi, le sue spalle tremano appena per la tensione così come le rotule scricchiolanti, le braccia nude restano rigide lungo i fianchi, incapaci di compiere anche il più semplice dei movimenti mentre, di contrario, le sue dita si agitano rapide, nevrotiche, nel pallido tentativo di dare sfogo alla tensione.
La sua copertura è improvvisamente saltata, ora il suo marcio segreto è sotto gli occhi del mondo e le sue esalazioni putide solleticano il naso degli uomini, facendogli salire la bile.
Il segreto di Dazai non è più tale, l'artefice stesso delle sua rovina lo ha smascherato uscendo su quel balcone. Con i suoi occhi lucidi ed i capelli sciolti gli ha strappato di dosso le vesti sudice, con le unghie le ha scrostate via dalla sua carne lercia per poi strappare anche essa e tutto ciò che vi era sotto, lasciando solo uno scheletro nudo e freddo, non tanto dissimile da ciò che lui è.
Però perché non ha paura?
Come mai la terra non gli si è aperta sotto piedi, inghiottendolo nelle infernali fiamme della vergogna?
Al momento tutto sembra prostrarsi, annullarsi, intorno alla figura del suo vicino, ogni paura, ogni ansia, evapora come acqua al suo cospetto.
La schiena ricurva del rosso sobbalza mossa dai suoi rumorosi singhiozzi, la luce della cucina, proveniente dalla finestra spalancata alle sue spalle, lo illumina da dietro creando spirali di colore nel buio della notte.
Sulla pelle pallida della nuca scoperta gli si arrampicano strisce di scura tenebra, che sembrano passare tra i suoi capelli come dita voluttuose.
Lunghi boccoli fulvi dondolano in maniera ipnotica nel vuoto, fili ramati giacciono disordinati ed impicciati sul suo capo chino.
Ha il volto umido e contratto in una smorfia sofferente, al limite dell'umano; dalle sue labbra, tirate in un'espressione scomoda e rabbiosa, escono mugolii acuti e bassi guaiti.
I denti gli battono in preda al nervosismo ed alla disperazione così cieca da rassomigliare alla rabbia, tiene gli occhi serrati rifiutandosi di vedere la realtà, stufo di prendere coscienza di ciò che lo circonda restandone deluso.
Sulle sue gote, sulle sue guance, si riflette debole la luce poiché esse sono zuppe di lacrime che gli anestetizzano il volto.
Lacrime calde e trasparenti che rigano il suo viso delicato, gli bagnano i bulbi e s'impigliano tra le ciglia chiare, folte, adornandole come fossero preziose pietre; scorrono, quelle lacrime, sulle sue occhiaie scure, sugli zigomi affilati, si lasciano cadere lungo le guance lisce e poi trovano la loro morte sulle sue labbra rosse, spaccate, dal sapore salato ed amaro del pianto.
Dazai le guarda stordito, osserva come rotolino sul viso tumido dell'altro rassomigliando a delle perle, le trova talmente belle che egoisticamente desidera non finiscano mai: vuole che diventino così tante da poterle legare ad un filo e farne una collana.
Il fulvo si stringe al proprio petto magro cercando di fermare i tremori ed i singhiozzi.
Le dita nodose, dalle nocche grosse e le ossa lunghe, afferrano la pelle delle braccia tirandola, le unghie mangiate scavano in essa lasciandosi dietro carne scorticata e carminia, piccole gocce scarlatte restano sospese, in attesa, sulle ferite autoinferte.
La spina dorsale sporgente si vede da sotto il tessuto chiaro della maglietta, così come le costole che troneggiano sul ventre vuoto, rendendo il giovane una figura grottesca, ripugnante da guardare: un mostro scheletrico dalle ossa tanto affilate quanto pronte a tagliare la carne per uscire allo scoperto.
La staticità del momento è soffocante, la gravità stessa sembra essersi piegata al volere del rosso rendendo il mondo più leggero, facendo sì che per un solo attimo tutto galleggi intorno a lui, rendendolo il centro di qualcosa troppo grande per il suo smunto fisico.
Il rosso poggia le mani sul cornicione, la musica ha oramai smesso di suonare e la puntina ha abbandonato il disco producendo un rumore perpetuo, simile allo strusciare della seta delle lunghe vesti:

"Che colonna sonora orrenda per morire."

Pensa tra se e sè facendo leva sulle braccia scarne, per sollevare il suo misero peso, mentre scavalca il cornicione sedendocisi sopra.
Sorride un poco quando si rende conto che le sue mani ancora si stringono saldamente al cemento del balconcino, mentre i suoi piedi dondolano a metri d'altezza e con il busto si protende sempre più in avanti le sue mani non mollano la presa, simbolo dell'ultimo briciolo di sanità che lui però non è disposto ad ascoltare.
Chiude gli occhi per qualche secondo, respirando a pieni polmoni l'aria fredda e statica di quella sera.
Improvvisamente tutto questo gli sembra un dejavù: si ricorda del corpo in bilico tra la vita e la morte, del panico per una decisione definitiva e, se si concentra, ricorda anche la sensazione del suo corpo magro che taglia l'aria pronto a schiantarsi al suolo.
Nella sua testa comincia un breve conto alla rovescia a partire da dieci, ma non arriverà mai oltre i sei:

-Vuoi davvero suicidarti mentre piangi?
Sei incredibilmente patetico.-

La voce satura di scherno di Dazai fa alzare il volto del vicino, che volge la testa verso il balcone accanto al suo, nella semi-oscurità distingue i contorni di un uomo alto e slanciato dal sorriso furbo.
Si passa velocemente il palmo della mano sinistra sulle gote arrossate come a voler nascondere il suo essere debole, lo sfregamento sulla pelle sensibile lo fa rabbrividire un poco.
Tira su con il naso e spalanca i grandi occhi cerulei per mettere meglio a fuoco il suo interlocutore:

-C-cosa hai detto?-

La voce confusa e tremante del suicida punge i timpani di Osamu come uno spillo.
Il vederlo in quelle condizioni lo fa quasi gioire, si merita di soffrire per averlo reso un purulento umano capace di tollerare i suoi simili:

-Ho detto che sei patetico, mettere fine alla propria vita piangendo è un gesto da sciocchi ed io odio gli sciocchi.
Perciò adesso, cortesemente, torna dentro il tuo appartamento e vedi di restarci, perché non sono pronto a svegliarmi domani con la polizia alla porta che mi chiede di te.-

Il rosso boccheggia sentendosi insultato, la sua testa gira vorticosamente per via della confusione che sta provando.
Il suo vicino, grigio e scostante, gli sta facendo una ramanzina sul fatto che stia piangendo mentre si suicida e glielo sta dicendo con un espressione ridente, quasi compiaciuta:

-Tu sei pazzo, vattene via e lasciami in pace.
Almeno negli ultimi attimi della mia vita voglio la quiete.-

Un sospiro sconsolato esce dalle labbra del moro.
Si passa una mano tra i capelli con estrema fatica, quasi come se la situazione lo stremasse davvero:

-Lo hai voluto tu.
Dato che non ne vuoi sapere di tornartene dentro casa, dovrò adottare misure drastiche.-

Così, con una lentezza serafica, fa passare prima una gamba oltre il cornicione e poi l'altra, sedendosi con i gomiti sulle ginocchia come se quella fosse la posizione più comoda del mondo:

-È ridicolo che un suicida dica ad un altro suicida di non gettare al vento la propria vita, ma se mi ascolterai ti darò due buoni motivi per non farti diventare una decorazione sul marciapiede.-


Angolo autrice
È la cosa più brutta che abbia mai visto, avrei voluto rendere i dialoghi più plausibili ma il capitolo veniva troppo lungo.
Nel prossimo si arriverà ad una risoluzione di questo problema e ci sarà un approfondimento maggiore dei due: okay?
Inoltre spiegherò anche il perché Dazai sia passato dall'essere congelato alla presenza di Chūya al parlargli in modo sfrontato.
Se vi è piaciuto lasciate un voto
Ve se ama.
Teddyhuman

― 𝐌𝐢𝐬𝐚𝐧𝐭𝐡𝐫𝐨𝐩𝐲 *̥˚ 𝐬𝐨𝐮𝐤𝐨𝐤𝐮Where stories live. Discover now