4: L'incubo

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Una volta entrati in casa, Roney salì frettolosamente i corti gradini di legno fino al corridoio del piano superiore, dirigendosi verso la sua camera per stare il più possibile lontano dal padre, per quello che gli aveva detto, anche se, sapeva che in fondo non lo aveva fatto per malizia o cattiveria. In fin dei conti, aveva passato delle ore davvero tremende là fuori e ora voleva solo riprendersi un po’ dallo shock dell’ipotermia; come si dice: dopo una bella dormita, si ragiona sicuramente meglio.
<<Dove credi di andare signorino, la discussine non è finita qui. Non voglio più che scappi così all’ improvviso, è chiaro!>> disse lui da vicino all’entrata, con un tono di voce irritato dallo spavento. <<È chiaro, Roney?>>
<<Sì.>>, sibilò lui da sopra le scale. Fatti gli affaracci tuoi, avrebbe tanto desiderato invece dirgli di rimando, ma si trattenne a stento.
<<Ti avverto, se ricapita di nuovo, prenderò dei seri provvedimenti con te!>>, gridò di nuovo Logan, questa volta con più dolore che collera.
Roney raccolse la predica con rassegnazione e non lo controbatté. Si avvicinò alla porta della sua stanza. Girò la maniglia a pomello e gli parve che dapprima non volle muoversi. Non l’aveva lasciata chiusa a chiave, ne era sicuro... Il pomello girò poi da solo sotto la sua mano. Sembrava che qualcuno lo stesse bloccando consapevolmente da dietro per impedirgli di entrare.
Roney si ritrasse e chiuse gli occhi, cercando di calmare la respirazione accelerata con dei profondi respiri. Appena li chiuse, ripensò alla ragazza ustionata nel bosco.
Calmati Roney, si disse, Non è reale. Riaprì gli occhi e afferrò di nuovo il pomolo che questa volta restò fermo e, girandolo dalla parte inversa, aprì la porta. Ci fu un momento di silenzio. In quell’attimo nulla parve muoversi, sebbene Roney sapesse che non era solo... non era mai solo... C’era sempre il suo amico immaginario, la cosa ammantata da suora col viso oscurato che lo seguiva dappertutto.
Chiuse la porta alle sue spalle, rimase immobile nella penombra della sua camera e, a l’ improvviso, avvertì un forte senso di vuoto, era come se fossero andati via tutti, che ogni cosa fosse scomparsa. Vide la cosa informe rivestita da suora e con il viso velato seduta sul declino del suo letto al centro della stanza, vicino alla parete di sinistra. Roney la stava aspettando. Non poteva esserci altra spiegazione del suo apparire in quel modo.
<<Perché mi hai condotto lì?>>, chiese Roney, sforzandosi di sembrare autorevole. <<Cos'è che vuoi?>>
Lei si girò verso di lui che ne fu terrorizzato ma si sforzò di non darlo a vedere. La contemplò con un forte senso di disprezzo, finché cominciò a focalizzare un rumore nell’aria; un ronzio, un eco distante appartenente a chissà quale osceno piano esistenziale che, nel suo discendere, sembrò un miscuglio di voci che dicevano tutte di continuo la stessa cosa in modo confusionario, finché poi, la babele di voci si unì fino a formare un unico tono di voce, molto leggero e da bambina che, ossessivamente, ripeteva a gran velocità: <<Vuoi giocare con me? Vuoi giocare con me? Vuoigiocare con me?>>
<<No!>> urlò Roney, coprendosile orecchie in preda al panico. D’improvviso poi, scoppiò un incendio nella stanza.
Il fuoco non stava arrivando; era già arrivato.
Le fiamme cominciarono a divorare i mobili e a bruciare ogni cosa, avanzando inesorabili e fameliche da tutte le parti. Divorarono a uno a uno i vari libri di scuola sparsi sulla piccola scrivania, i comodini e il vestiario; s’infiammarono, bruciando calzoni, vestiti e biancheria intima.
Roney, terrorizzato, si voltò verso la porta cercando di aprirla ma il pomolo era di nuovo bloccato, tenuto fermo dal volere di quell'oscura entità. Si piegò di seguito sulle gambe e la colpì con forte spallate più e più volte, senza però riuscire ad aprirla.
<<Logan! Logan! Aiutami! Papà!>>, urlò in preda al panico e al terrore più disperato.  <<Papà!>>
La cosa ammantata da suora era ancora seduta composta sul lettino avvolto tra le fiamme, come se per lei nulla stesse accadendo e continuava a ripetere in modo ossessivo la stessa domanda, "vuoi giocare con me?", finché quella sua voce da bambina non si alterò nell'intonazione in modo atroce e decrescente come se fosse il nastro di una cassetta audio che si liquefaceva.
L’aria, piena di fumo, iniziava a diventare irrespirabile, l’ ossigeno veniva a mancare e Roney cominciò a tossire per l’ intossicazione, fino a cadere per terra con ancora la mano avvinghiata al pomolo della porta, sperando che si aprisse, senza sapere che, a poco a poco, si stava lasciando andare alle fiamme e cominciò a sgolarsi per il dolore disumano che provava man a mano che il fuoco saliva su per le sue gambe.
Urlava… ma non c’era nessuno che potesse sentirlo. Sapeva di essere rimasto solo...
Sentendolo urlare, Logan corse d’ immediato su per le scale, fino a spalancare la porta della sua camera.
<<Roney!>>, chiamò preoccupato.
Impressionato, vide Roney che, con gli occhi spalancati, aperti fino al punto di rischiare che uscissero dalle orbite e, seduto per terra in un angolo con le gambe accovacciate, picchiava la testa contro il punto di congiunzione dei due muri. Urlava a squarciagola e sbatteva la testa a ripetizione a destra e a sinistra come un matto in un manicomio.
<<Roney! Roney!>>, chiamò Logan mentre, scuotendolo forte per la felpa, cercava di svegliarlo. <<Roney!Svegliati!>>
Una volta riaperti gli occhi, gli ci volle un po’ di tempo per rendersi conto di essere svenuto e di aver strisciato sul pavimento nel sonno. Seguirono un paio di minuti surreali e angosciosi durante i quali, Roney, non riusciva a smettere di tremare dalla testa ai piedi. Gemendo, gli sembrava di poter ancora sentire il caldo fondente delle fiamme e gli oggetti di vetro che si frantumavano per l’alta temperatura. Si tenne stretto tra le braccia del padre con un’espressione atterrita, proprio come un bambino che si sveglia di soprassalto dal suo incubo peggiore.
<<È tutto finito.>>, cercò di tranquilizzare Logan, ma in verità, si era spaventato anche lui e non poco. <<Era solo un incubo...>>
Ma Roney sapeva che non era così, non stava per niente dormendo, sapeva riconoscere un sogno da una allucinazione, e che quest’ultima poteva essere dieci vote più reale e terrificante della prima. Lo sapeva perché non era la prima volta che gli capitava, di trovarsi in mezzo a un incendio all’improvviso, ed era sempre stata un’ esperienza traumatizzante per lui, sempre.
Si tenne attaccato a Logan come una cozza allo scoglio, mentre via via il tremolio andava passando, pensò che dovesse esserci per forza un motivo per tutto ciò, doveva esserci una sorta di logica in quella visione: di morire arso in un rogo.
In qualche modo passò la paura e venne un momento in cui si accorse che l’aria non era satura di fumo, che non c’era stato nessun incendio. Cominciò a riconoscere gli oggettine della sua stanza, provando una specie di rassicurazione nel vedere qualcosa di sua conoscenza, come l’orologio a sveglia sul suo comodino. Aveva focalizzato quello e per il momento non volle per niente deviare lo sguardo da esso, forse, per non rischiare dinvedere ancora qualche fiamma intorno a sé. Trascorsero una decina diminuti, i battiti del cuore di Roney cominciarono a rallentare e con essi anche la sua respirazione. Si fece coraggio e si staccò dal petto di Logan e strisciò per terra all'indietro fino a cozzare le spalle contro il letto. Quando fu sicuro che le gambe lo avessero retto, si alzò in piedi, tirandosi con la federa che sisfilò leggermente dal materasso.
<<Va meglio ora?>>
Roney non rispose. Aveva ancora paura di parlare, in più gli si era anche seccata la gola e perciò si limitò ad annuire, come uno che si stava riprendendo dopo una botta ai testicoli.
Logan lo aiutò a sedersi sul lettino e, presa un asciugamano, gli strofinò i capelli umidi di sudore per asciugarli, decise poi di scendere in cucina per prendergli un po’ d'acqua con zucchero sciolto a gli mise all'interno le pilole verdi per farlo "calmare".
Roney, ansante e con gli occhi fissi sul pavimento, si domandò ancora una volta perché continuava ad avere quella tremenda allucinazione, talmente realistica da rimanerne sempre così scioccato. Pensò allora che neanche in quell’occasione sarebbe riuscito a trovare la risposta e cercò, come sempre, dilasciarsi tutto alle spalle...
Niente più sonno per lui per il resto di quella notte. Restò disteso sulla schiena, sotto le lenzuola, con la mano infilata tra i capelli e lo sguardo assente sopra di lui, fisso nel buio, senza voglia di pensare a nulla in particolare.

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⏰ Last updated: Feb 18, 2019 ⏰

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