Cap 1- L'inizio

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Era un uomo saggio, di quelli che non si incontrano mai nella vita. Per questo io l'ho incontrato, io sono Morte, perciò credo proprio di non potermi definire viva, ma non ne ero così sicura.
Infatti ero lì in quel monastero con quel saggio monaco proprio per scoprire se ero viva o meno.
"Da quanto mi trovo qui?" chiesi annoiata. Ero seduta sul pavimento e giocavo con la sabbia trasportata dalla leggere brezza primaverile. Lui era in piedi davanti a me, troppo serio per distrarsi dalla sua posizione troppo rigida.
"Settantatre anni" rispose Ranahsh, era uno strano nome, ma ne avevo sentito di peggiori.
"Perché non sei invecchiato?" Lo guardai con la stessa curiosità che potrebbe avere un gatto stanco vedendo un ciuffo d'erba in un prato.
"Perché esiste la magia."
Dopo essere esistita così a lungo non mi sorprendevo più di nulla. "È questo il motivo per cui esisto?"
"Sì." Molto probabilmente avrebbe annunciato con lo stesso tono la cena o l'imminente fine del Mondo.
"Perché me lo dici solo ora?"
"Perché solo ora me l'hai chiesto." Alzai gli occhi al cielo.
"Credo sia giusto ammettere che non è un'ottima giustificazione, dovresti impegnarti di più"
" Lo prenderò in considerazione." Il monaco si girò e si addentrò nella piccola grotta alle mie spalle che faceva da entrata al monastero.
Nessuno aveva mai scoperto questo luogo, era nascosto dalle montagne e da un campo magnetico, così che i radar e altri apparecchi elettronici non lo avrebbero potuto trovare, l'unico modo per arrivare era attraversare una cascata. Era un piccolo paradiso terrestre, che seppur isolato tecnologicamente, si teneva sempre aggiornato su tutte le novità visitando spesso un paese lì vicino e accumulando libri di ogni genere affinché si potesse mantenere la memoria e approfondire ogni argomento.
Arrivò un altro monaco,non saprei dire chi fosse, non li distinguevo bene e passavo la maggior parte del tempo con Ranahsh, mi porse una margherita appassita. La sabbia scivolava tra le mie dita e ogni tanto mi soffermavo su qualche granello in particolare, osservando che tonalità di giallo possedesse.
"Cosa dovrei farci?"
"Prendila."
La presi delicatamente tra le mie mani e la osservai.
"Falla vivere. Non è ancora giunto il suo momento." Disse con uno sguardo perso nel vuoto e il volto inespressivo.
"Come fai ad esserne certo? La vita non ha una data di scadenza. "
"Semplicemente lo so."
Con questi monaci non si riusciva mai ad avere una risposta completa ed esaustiva. "Fingiamo che tu abbia ragione. Come posso riportarla in vita? Io sono Morte, non ricordi?"
"Io ricordo tutto ciò che è necessario."
"Va bene, come vuoi tu, ma non mi hai detto come farlo." Era inutile spazientirsi con loro, non avrebbe portato nulla. Devo ammettere però che non lo capii in fretta.
"Troverai il modo."
Che assurdità, prima sprecavo il mio tempo a ricordare luoghi e persone che non sapevo neppure di conoscere e poi mi chiedevano di resuscitare una pianta morta. Ma volevo impegnarmi e dimostrargli che tutto il lavoro che avevamo fatto era stato inutile, nonostante io mi fossi data tanto da fare.
Continuai ad osservare la margherita e senza esprimere nessuna emozione e nessun interesse per quel fiorellino malconcio dissi semplicemente "Su vivi."
Forse esistere a lungo porta ad essere un po' arroganti e fa credere di sapere tutto. Perciò raccolsi tutto lo stupore che non ero mai riuscita ad avere e vidi che la margherita rifiorì. I petali non erano più rachitici, ma larghi, pieni di acqua e morbidi.
"Vedi? Ci sei riuscita." Detto questo se ne andò come se non fosse accaduto nulla.
Corsi da Ranahsh, gli feci vedere la margherita, ma mi dava e spalle. "Guarda, guarda! L'ho riportata in vita! Sono stata io, lo giuro!" se fossi stata umana avrei avuto il fiatone, ma ero Morte perciò non respiravo neanche.
"Shh, fai silenzio. Lo so che sei stata tu. Chi altro avrebbe potuto farlo?" Disse continuando a non guardarmi. Stava tagliando delle erbe, forse preparava una tisana per i bambini del villaggio.
"Cosa? Tu lo sapevi? E non hai detto nulla?"
"Lo sospettavo." Accennò come se niente fosse agitando la mano, come se ci fosse un insetto fastidioso nella stanza che bisognava assolutamente scacciare. Per un momento mi chiesi se non fossi io quell'insettaccio, ma poi decisi che non mi interessava.
"E non potevi condividere con me questi sospetti?" Chiesi esasperata dal loro comportamento sempre così, così.. monacale.
"Se mi fossi sbagliato ti avrei dato una falsa speranza."
"Non prendermi in giro, tu non sbagli mai. Lo sai bene."
"Tutti sbagliano prima o poi."
"Esatto. Tutti gli esseri umani sbagliano. Tu no. Non sei un essere umano. Cosa sei? Chi sei?"
"Mi dai soltanto troppa fiducia." Finalmente si girò verso di me, forse si era deciso a darmi retta, o forse gli serviva qualcosa che si trovava accanto a me.
"Rispondi! Dimmi chi sei!" Non riuscivo più a trattenere il nervosismo.
"Non ti cambierebbe nulla saperlo." Ma poi continuò a parlare notando che lo prendevo per le spalle, scuotendo e aumentando la mia presa su di lui.
"Non sono umano." Disse con infinita calma. "Quelli come me si chiamano Aniys. Siamo una tribù che esiste da quando è comparsa la terra. Siamo rimasti in pochi, anche se siamo immortali."
"Com'è possibile se siete immortali? "
"Possiamo morire, ma solo bruciandoci. Il corpo deve diventare quasi polvere o sopravvivremmo con i danni del tentato suicidio senza mai guarire . Molti di noi, soprattutto i più studiosi o quelli che più viaggiavano, non sopportavano più le atrocità insensate degli uomini."
"Capisco. Aniys.. ho già sentito questo nome."
"È impossibile." Cercò di liquidare la questione agitando nuovamente il braccio nella mia direzione.
"Taci! Ho detto che l'ho già sentito perciò deve essere così!" Mi allontanai per poter pensare e lui alzò le mani in segno di resa.
Mi aveva tenuto nascosta l'esistenza della magia, la mia capacità di dare la vita (o restituirla?), come facevo a sapere che anche in quel momento non mi stava mentendo?
Il nome di quella tribù era così familiare eppure prima che lui la nominasse non ne avevo alcuna memoria.
Negli ultimi settant'anni mi ero ricordata di eventi eccezionali, invenzioni fantastiche, lingue contorte, alcune particolarmente evolute e altre particolarmente rozze. Di alcune cose era rimasto sorpreso, di altre era incuriosito o confuso, altre ancora le considerava normali. Avevo alcuni ricordi degli stessi luoghi, ma con persone diverse o piccoli dettagli che rendevano strano il contesto. Per me era come se tutto fosse nuovo, ma non mi stupivo o meravigliavo più di nulla. Tutto mi sembrava un po' banale e a volte anche scontato, come se fosse una diretta conseguenza dell'esistenza dell'essere umano. Era come se avessi visto più versioni di uno stesso avvenimento, poi c'erano le stelle, tantissime stelle, così grandi e calde. Non sapevo volare, ma sapevo cosa si provava a fluttuare, non come nell'acqua, ma nel nulla.
Avevo ricordi di più mondi.
Appena arrivai a quella conclusione mi tornarono in mente centinaia, se non migliaia, di Big Bang e altrettante esplosioni sconcertarti che distruggevano ogni volta la Terra. Che cosa strana. In ogni mondo per quanto diverso uno dall'altro era sempre popolato da umani. Mai nessuno di quelli che visitai ne era sprovvisto. Gli animali non erano mai gli stessi, cambiavano per colori, dimensioni e quantità, in base all'utilizzo che ne avrebbe poi fatto l'uomo. Lo stesso accadeva per le piante. Era questo il motivo per cui io sopravvivevo a tutto e a tutti? La mia esistenza era collegata direttamente a quella dell'uomo e perciò affinché ci fosse stata la possibilità della loro esistenza anche io dovevo esistere?
Mi resi conto che avevo dimenticato tutto perché tra l'esplosione di un mondo e la creazione di un altro passava così tanto tempo che perdevo tutto quello che avevo appreso. Ma nonostante questo non riuscivo a ricordare della mia nascita o di un qualsiasi evento in cui avessi mai riportato in vita qualcosa o qualcuno.
Forse questi monaci potevano aiutarmi a risolvere il mistero della mia esistenza, ma come avrebbero potuto risalire alla conoscenza di migliaia di mondi prima? Era assurdo, nessuno poteva riuscirci, o perlomeno nessuno che non fosse in grado di sopravvivere all'esplosione di ogni Mondo.
Rimasi l'intero giorno a riflettere, fino a quando Ranahsh non mi interruppe. Non gli raccontai della mia scoperta, forse lui ne era già consapevole o ne aveva il sospetto. In ogni caso non fece domande sul mio turbamento.
"Non ti sei mai soffermata ad osservare il paesaggio."
"Hai ragione." Solo in quel momento mi resi conto che il tempio non era altro che una montagnola interamente incisa con persone, animali e piante, che si trovava all'interno di un vulcano, sulle cui pareti vi erano a loro volta piante bizzarre ed eleganti e capii che da quando ero arrivata in quel luogo, non era mai arrivato l'inverno. Le giornate erano per lo più soleggiate e miti, mai scrosci improvvisi e violenti di pioggia avevano turbato la quiete di quel posto, al massimo si verificano rare pioggerelline, quel tanto che bastava per non far appassire la vegetazione variopinta. Proprio in quel momento una farfalla celeste si appoggiò sulla mia mano.
"Ti ho mai raccontato di Tempo?" Chiesi nostalgica.
"No" si sedette accanto a me con i piedi che penzolavano dai tanti strapiombi della montagna.
"È una farfalla. Lui è una bellissima farfalla fastidiosa. Non so da quanto tempo ci conosciamo. Ma è come se fosse sempre stato con me, strano vero?" Accennai un sorriso ripensando a tutti i momenti passati insieme.
"Non mi stupisco facilmente." Disse senza far trasparire emozioni
"Sei sempre così?"
"Così come?"
"Come un iceberg, sei freddo, insensibile, incapace di provare curiosità, compassione o qualsiasi altra espressione diversa della condiscendenza."
"Credi che io sia cattivo."
"No, non ho detto questo." Lo osservai bene. "Credo tu sia annoiato."
"Sei come me."
"Forse. Credo di star recuperando le mie emozioni."
Il monaco annuì. Restammo in silenzio per un po', non saprei dire quanto, forse pochi minuti o forse qualche ora.
"Ricordo di altre Terre, si assomigliano tutte."
"In cosa?"
"Nella paura di morire, nella paura dell'ignoto. Nella tentazione di spingersi sempre oltre e di tirarsi indietro all'ultimo. Non accade sempre, ma la maggior parte delle volte si."
"Siamo scontati perciò?"
"Tu no, non sei un essere umano, ma gli altri.. nascono, hanno paura e poi muoio. Tutto qui."
"Stai mentendo."
Aveva ragione, stavo mentendo. Avevo conosciuto gli esseri umani. Non tutti erano come li avevo descritti, soprattutto non lo erano stati George e Mike, loro avevano mostrato di essere fatti di tutt'altra pasta. Erano stati coraggiosi fino alla fine.
"Sì è così, ma fa male ricordarsi del contrario."
"È per uno di loro che sei qui?" chiese quasi infastidito.
"No, è per due di loro. Li ho conosciuti che erano due bambini piccolissimi e mi sono presa cura di loro, all'incirca come avrebbe fatto una mamma. Poi li ho visti morire e non ho potuto fare nulla. Non sono riuscita ad invocare la vita e non sono riuscita a scacciare la morte. Perché non sono riuscita a salvarli come ho fatto con la margherita?" I ricordi a volte erano così dolorosi.
"È solo una teoria la mia ma.." si interruppe.
"Ti prego continua."
"Ecco è solo una teoria, ma credo che riesci a riportare la vita solo se non sei coinvolta sentimentalmente. Stavo pensando che se ogni volta che ti affezioni a qualcuno non lo facessi morire, in troppi cercherebbero il tuo favore, altrettanti ti volterebbero e spalle al momento giusto e il Mondo sarebbe popolato a tuo piacimento. Con tutti i tuoi amici vivi e i tuoi nemici morti. La vita ha un senso e non può essere selezionata dai sentimenti di una Morte capricciosa."
"Suppongo che tu abbia ragione, come sempre." Non ero più triste, arrabbiata e delusa dal mio destino inutile. Non sapevo più cosa pensare. Avrei vissuto ancora in eterno, vagando senza meta e senza pace, senza mai trovare riposo o conforto? Fino a quel momento era stata un'eternità fastidiosa da sopportare. Ero stata prosciugata di ogni cosa e ogni interesse per la mia vita era svanito, era scivolato via dal dirupo e le acque limpide delle cascate l'avevano inghiottito affamate.
"Non abbatterti." Disse con un tono che rasentava la preoccupazione. Lo guardai perplessa.
"Credo che la tua esistenza sia anche altro."
"Questa volta non ti credo." Mi alzai e mi incamminai verso l'entrata del tempio, lasciandomi Ranahsh alle spalle.
Era troppo facile credere che la mia inutilità cosmica avesse un fine e una fine ben precisi. Sarebbe stato troppo facile abbandonarsi alla vecchia e illusa speranza.
Non avevo bisogno di mangiare, ma questo piccolo dettaglio non mi aveva impedito di sviluppare una certa passione per la cucina. Non ero da molto che mi dedicavo a un simile divertimento, infatti avevo iniziato quando capii che se dovevo prendermi cura di George e Mike, avrei dovuto imparare a nutrirli.
I dolci sono il cibo che ho sempre preferito, la Morte è così amara a volte.
Forse con un profitterol sarei riuscita a pensare a qualcosa, a organizzare la mia futura e continua eternità.
Sentii dei passi, mi girai, era ancora Ranahsh. Non mi ero accorta che mi stesse seguendo. Ero convinta che non gli importasse. Non perché fosse cattivo, ma semplicemente perché vivendo così a lungo le emozioni si ammortizzano fino a scomparire, lasciando al loro posto una crosta dura e ruvida, che raramente si crepa lasciando passare luce, aria o novità.
"Cosa c'è?" Gli chiesi cercando di darmi un'aria impegnata. Non volevo parlare con lui e nessun altro. Avevo bisogno di riorganizzare la mente, di distrarmi un po' per poi avere le idee più chiare.
"Volevo sapere che dolce avresti fatto questa volta." Diede una rapida occhiata sul tavolo di marmo dove nel frattempo avevo radunato gli ingredienti. "Mmm. Un profitterol giusto?"
"Perché chiedi ancora se sai tutto e hai sempre ragione?"
"Te lo ripeto, si può sempre sbagliare."
Sbuffai. "Questa conversazione non avrà mai una fine, continueremo sempre così, vero?"
Accennò un sorriso "Non credo, un giorno tu saprai più cose di me e io potrò solo provare ad indovinare e sbaglierò risposta."
"Quando lo vedrò, ci crederò." Continuai ad armeggiare ancora un po' mentre lui continuava ad osservarmi perforandomi la schiena.
Appoggiai le mani sul tavolo, come per avere un sostegno, per darmi forza. Non se ne sarebbe andato fino a quando non avessimo parlato e se bastava quello per togliermelo di torno, l'avrei accontentato senza badare alle parole, anche con il remoto rischio di ferirlo o di uscirne incompresa o male interpretata. Per essere un immortale era piuttosto testardo.
"Non ho chiesto tutto questo. Non l'ho mai fatto." Ero sul punto di piangere, le emozioni che credevo di non possedere avevano iniziato a riemerge con il riaffiorare dei ricordi. Mi girai verso di lui per affrontarlo, ma in quel momento mi scese una lacrima e Ranahsh la prese con un dito e vi poggiò le labbra sopra.
"Nessuno l'ha chiesto. Nessuno ha chiesto di essere così com'è nato. Ma alla fine non abbiamo altra scelta se non accettare tutto questo." Forse ero ingiusta. Sapevo cos'era la sofferenza e a tanti umani era toccata una sorte peggiore della mia, ma ero arrabbiata e non volevo sentire un'altra storia da 'siamo tutti sulla stessa barca, accetta quello che sei perché non puoi fare diversamente'. Doveva esserci un modo per cambiare la situazione. Tutti alla fine scoprono sempre il motivo della loro esistenza, perciò io non potevo arrendermi così e lasciare che fosse il tempo a consumarmi lentamente e a decidere quando sarebbe stata la mia fine, con il rischio che non arrivi mai.
"A me non importa degli altri, non m'importa delle loro esperienze drammatiche, di quanto possano aver sofferto e pianto. Io voglio solo smettere di esistere perché ogni giorno che passa è sempre uno strazio più grande. Una vita come la mia non è vita. Io non sto vivendo. Io esisto soltanto per il capriccio di qualcuno o qualcosa!" Urlai su tutte le furie. "Smettila di dirmi che anche io avrò la mia pace perché non è così, lo so. Dopo tutto questo tempo non sono riuscita a ricordare il momento in cui sono nata o quello in cui ho preso coscienza di essere quello che sono. Non ricorderò mai tutto il mio passato. Rimarrà sempre un buco enorme che mi farà dubitare di cosa sono veramente."
Mi prese per le spalle e mi scosse per farmi tornare in me "Ma non capisci? Non ha importanza chi eri, chi ti ha creato e per quale motivo l'ha fatto. L'unica cosa che adesso ha veramente importanza è quello che sei ora. Non farti condizionare dal tuo passato perché vivi nel presente!"
"Lasciami." Singhiozzai infelice. Lui allentò la presa guardandosi le mani come se non si fosse reso conto del suo gesto e uscì dalla stanza con passo fermo e spedito.
A volte il destino ha uno strano senso dell'umorismo, la Morte voleva morire.

Una dolce MorteWhere stories live. Discover now