Un'altra scocciatura chiamata archeologia

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"Sì, ...sì, ... era questo che intendevo... ecco, il prima possibile... noi l'abbiamo lasciata in mezzo al campo... sì... no... noi stiamo tutti bene...", borbottava mio padre al telefono mentre io ero seduto al bancone del bar a bere del succo alla pesca. Il locale era sempre pieno la domenica. Ogni persona del paese era costretta a ritirarsi dal lavoro campagnolo per un giorno intero, come da tradizione e si ritrovava per sconfiggere la noia. I più anziani si sedevano al tavolo sull'angolo e uno di loro tirava fuori dalla sua tasca un mazzo di carte consumate per poi distribuirle agli altri. I più giovani, invece, scorrazzavano in giro per il paese e per i boschi, ma più spesso si ritrovavano nelle loro case per ascoltare la radio o guardare la TV.

Quando mio padre ebbe finito il suo discorso al telefono, pagò il barista e mi sussurrò all'orecchio:"Andiamo a casa, devo parlare con te e mamma..."

La cena era il momento più imbarazzante della giornata. I miei criticavano ogni cosa: dall'invenzione della radio, ai programmi in televisione, dalla costruzione di edifici alla nuova moda. Non apprezzavano niente di questo decennio. Ma fortunatamente quella sera la loro conversazione si era spostata su altro. 

"Allora, mi hanno detto che potrebbe essere un ritrovamento importante e che manderanno dei professionisti a studiarlo. Solo che c'è un problema: hanno richiesto un alloggio vicino al luogo di ricerca." 

"C'è un'osteria in paese, è un ottimo luogo per alloggiare e non costa molto, scommetto che se lo possono permettere", esclamava mia madre.

"Li ho già avvisati, ma sostengono che sia troppo lontana"

"Non penserai mica di ospitarli qui, in questa casa?!"

"Agnese, è l'unica soluzione..."

"Non possiamo declinare la loro proposta?"

"No, ormai ho già accettato di ospitarli, poi pensaci, abbiamo stanze libere da vendere, l'unica cosa di cui ci dobbiamo preoccupare sono i pasti, poi..."

Bisticciavano come bambini, ma almeno c'era una piccola variazione nel ciclo continuo della giornata noiosa. 

Gli archeologi arrivarono dopo tre giorni. Erano tutti dei viaggiatori. Uno di loro portava una collana d'oro con inciso Egypt is my love e un altro aveva una valigia interamente coperta di adesivi colorati di Chicago, New York e Los Angeles. Tra i sei uomini c'era una donna, Trisha. Era una ragazza alta e magra. Indossava dei curiosi orecchini a forma di serpente e una collana enorme. Il suo viso sembrava sciogliersi al sole, forse per il troppo trucco che con il caldo colava sulla sua faccia. Sembravano tutti ragazzi solari, ma estremamente professionali.

Dormire in una casa con altre sette persone dopo quattro anni di solitudine era strano. Si sentivano passi, qualche volta qualche altro rumore, il che era piuttosto rassicurante. Non avevo voglia di dormire, era bello per la prima volta sentire che c'era qualcuno in quella casa così solitaria. Quella notte ho letto un libro intero. 283 pagine, una dopo l'altra senza fermarmi. Erano circa le due di notte quando finii la lettura e decisi di andare in bagno, dimenticandomi dell'orario e delle altre persone che vivevano con me.

La casa era silenziosa, come sempre. Il buio copriva ogni singolo angolo, solo qualche raggio di luna illuminava il pavimento. La porta del bagno era semiaperta, e una luce fioca risplendeva al suo interno. La porta cigolava mentre la aprivo lentamente. Vidi subito una sagoma nitida che si girava verso di me, una sagoma che non avevo mai visto. 

Lo sgabuzzino di villa EricaWhere stories live. Discover now