capitolo diciassette

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- M: Gli ho detto che non ho marinato.

- K: Ti sembra incazzato?

- M: Lo è.

- W: Scappa finché sei in tempo.

- M: Taci.

- W: Sono zitto, sto solo scrivendo.

- M: Domani vedrò di amputarti le dita.

- K: Cosa pensi di fare?

- M: Non ne ho idea.

-K: Comportati bene, non rispondergli e rimani nella tua stanza non appena arrivate.

- W: Fagli un pompino.

Sbuffai, decisi di lasciar perdere quei due incapaci che sembravano non capire la gravità della situazione nella quale mi ero cacciata saltando le ultime lezioni della giornata per stare in loro compagnia.

Mi restava solo da seguire il consiglio di Katherine, ossia adottare un comportamento piacevole nei suoi confronti, evitando per esempio risposte provocanti che avrebbero potuto togliermi anche l'ultima via di scampo.

"Hai compiti per domani?" chiese l'uomo, non appena scendemmo dall'auto.

"No" mormorai.

"Bene" borbottò in risposta.

Il momento inquietante arrivò poco dopo, non appena ci ritrovammo in due all'interno di un ascensore a malapena illuminato, dove l'unica speranza si rivolgeva al cielo o a qualche signore che avesse la necessità di salire ai primi piani del palazzo.

"Non sperare che salga qualcuno qui dentro, perché se non ti faccio fuori ora, lo farò non appena entreremo nell'appartamento" disse, secco.

"Sei stato piuttosto chiaro, posso fare quello che voglio, quindi anche marinare" dissi, commettendo già il primo passo falso con lui.

"Non ti è ben chiaro quello che ti ho detto allora, mi sembra di averti avvisata più volte di tenerti stretta la mia fiducia" rispose.

Non saprei spiegare come le mie gambe riuscirono ad arrivare davanti all'appartamento, il mio coraggio era diminuito con poche frasi agghiaccianti e il mio carattere aveva perso quella minima autostima che prima si era riservato.

"Spogliati" disse.

"Che cosa vuole farmi?" chiesi.

"Lo capirai presto" rispose, camminò verso di me a grandi passi veloci, quindi mi ritrovai tra le sue spalle senza neanche avere il tempo di proteggermi, di conseguenza, il mio viso sfregava contro i suoi vestiti in un modo irritante.

Quando tolse la sua presa dal mio corpo, caddi con prepotenza sul mio letto e per poco non mi spezzai qualche debole parte del mio scheletro, ma anche se le sue azioni mi spaventavano, non avevo alcuna intenzione di adularlo.

"Spogliati" ripeté.

"Ho capito" borbottai, poggiando la felpa sul materasso.

"Fai in fretta" disse.

"Sì" farfugliai, sfilando prima i jeans e facendo poi cadere le scarpe sul pavimento.

"Devo togliermi anche le calze?" chiesi.

"Mi interessa che ti tolga l'intimo, per il resto non mi importa" disse.

"P- Proprio nuda quindi" balbettai.

"Vorresti per caso importi?" chiese.

"Non voglio infrangere il patto, ma è un po' esagerato" dissi.

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