"torna a casa " [os1]

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Cammino per le vie di questa città mentre il vento soffia forte.

Soffia forte, ma la mia sigaretta non si spegne, e continuo a fumare, mentre il rannuvolato cielo di novembre mi sovrasta.

Non torno qui da un anno, eppure sembra non essere cambiato nulla. C'è la stessa panetteria dietro l'angolo, si sentono ancora i ragazzini echeggiare per le strade e le auto corrono troppo veloci come sempre.

Quasi mi scivola la borsa, ma la tiro su.

Ho raggiunto l'auto, è il momento di andare.

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Parcheggiare non è poi così difficile, in effetti non che questo luogo sia così frequentato.

Mi accendo un'altra sigaretta, quasi senza pensarci. Ma questa mi cade subito di mano, raggiungendo il suolo e rotolando un paio di volte, ancora accesa.

Un colpo di vento, penso. E invece no, il vento si è calmato e non tira un filo d'aria.

E' stato il mio braccio, che continua a tremare

In un attimo ho anche le lacrime agli occhi.

Ma ricaccio tutto dentro, sigaretta inclusa, e mi preparo ad entrare.

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Le mura sono bianche, e fa un caldo tremendo. Fuori fa freddo, ma devo subito togliermi il giubbotto.

Mi fisso i piedi per alcuni secondi, ma quando mi accorgo che mi guardano tutti in questa minuscola sala d'attesa, mi sbrigo a sedermi.

Pochi minuti o parecchie ore, è indistinguibile in questo momento.

Sento pronunciare il mio nome, quindi mi alzo, raggiungendo l'infermiera che mi ha chiamato.

E' una donna carina, dalla pelle color caffè, gli occhi grandi e la postura dritta.

Mi dice poche e dirette parole, poi la vedo e le altre parole scompaiono.

Eccola.

In quel momento è un dolore troppo grande, quindi sto zitta e mi muovo verso di lei, chiudendo gli occhi.

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"Ti nomina sempre" mi dice Ashley, l'infermiera che mi ha accolto prima. Dopo cinque minuti di brutali lacrime lei mi ha abbracciato, evitando di essere solo cordiale ma neutrale.

La mia mamma è lì, in questo letto d'ospedale che mi guarda.

"Mi nomina sempre, ma non mi ha riconosciuto, vero?" rispondo io, cosciente della realtà.

"Già, ma è una cosa normale, per quanto possa essere brutta... Non riconosce neanche Linda, sua sorella"

"Sì, me l'ha detto, mi dispiace-" mi si frantuma la voce in mille pezzi.

Lì c'è la mia mamma, esattamente come l'ho lasciata un anno fa.

La mia mamma, la donna che mi ha cresciuta, che è stata con me dal primo momento della mia esistenza, ma che adesso sempre essere avvolta da un guscio, impenetrabile e terribile. Lei non è davvero qui, in questo letto, davanti a me, lei è troppo lontana, lontana per tutti, come che per me.

E' ancora bellissima, i capelli lunghi e setosi, biondi, che ho sempre amato, ma che purtroppo non ho. I suoi occhi nocciola, e tutti i tratti del suo volto. Il fisico in forma, ma dolce e curvo.

Ricordo bene quando se n'è andata.

Un anno e mezzo fa, circa. Diciassette mesi.

Aveva già iniziato da un po' a non esserci. Spesso era lontana, e per alcuni momenti pareva che in quella stanza ci fossi solo io.

Ha cinquantasei anni, io ventitré, a ventidue l'ho lasciata sola in un letto d'ospedale, e il mio cuore si frantumava sempre di più ad ogni momento che le ero lontana.

Mi ripetevo che non potevo fare nulla, che comunque c'era zia con lei, che non avrebbe voluto che passassi la mia giovinezza a badare a lei, che avrei dovuto studiare, che stavo sbagliando. Ma non era forse un errore più grande lasciare la propria madre a morire sempre un po' di più, perdendosi anche la possibilità di rimanere con lei in quegli ultimi attimi, a non combattere la propria battaglia?

In questo lungo e moribondo anno ho studiato, tanto, troppo. Ho vinto la borsa di studio, e ho fatto tutti gli esami possibili al primo anno, in medicina, la facoltà che lei odiava più della consapevolezza del sapere che se ne stesse andando.

Da quando avevo finito il liceo, un paio di anni più tardi per degli incidenti di percorso, le avevo detto di questa scelta, avevo ventitré anni e la mamma dimostrava i primi sintomi. I suoi occhi erano scoppiati disperati. Pensava che lo volessi fare per lei, per curarla, per aiutarla, rinunciavo a me stessa per lei.

"Marlena, tutto bene?"

Ero rimasta intrappolata nei miei pensieri per troppo tempo. Accennai ad un piccolo sorriso...

"Non so se Linda te l'abbia detto..."

In quel momento temo il peggio, ed il peggio è lì, pronto ad assalirmi.

Morirà..?

"Sai, pensavamo che ormai, tua madre.." si girò a guardarla, "avesse ormai perso ogni contatto con.. noi, ma sai, da quando tu te ne sei andata... lei non faceva che ripetere, ripetere il tuo nome. -Marlena, torna a casa-, -Marlena... dove sei?-. Ormai non parlava quasi più, ma questo lo diceva, lo ripeteva sempre"

Per un momento avrei voluto che non me l'avesse detto. Forse voleva confortarmi, ma no, non l'aveva fatto.

Lei... aveva capito che me n'ero andata. Che l'avevo abbandonata, che l'avevo lasciata sola. Lei, che si era sempre presa cura di me... sola. Per colpa mia.

Non piango neanche una lacrima, sono solo distrutta.

Un rumore, gutturale, come il rimbombo di una grotta, poi una voce.

"Marlena... Marlena... MARLENA"

Un passo, poi un altro, e poi tanti altri ancora. Sono al suo capezzale.

"Marlena."

"Sono qui, sono qui."

E allora piangiamo, entrambe, tanto, troppo, intrappolate in due dimensioni differenti, distanti non chilomentri, anni luce.

Lei sa che sono accanto a lei.

Ma non sono con lei.

La mia mamma...

"Marlena."

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⏰ Dernière mise à jour : Nov 28, 2018 ⏰

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