Game over. I lose

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Passeggiavo a piedi nudi sull'erba fresca di mattina, pensavo a tutta la mia vita, e se avessi fatto scelte sbagliate? E se non avessi realmente vissuto la mia vita?
Mi accorsi ben presto di aver involontariamente ignorato le urla della nostra governante, Lady Shane.
"Signorina Penelope!" Urlò dal terrazzo
"Si sta rendendo conto che fará tardi a scuola? Su su! Si sbrighi!"
Ci troviamo nel 2020 dove la tecnologia è tutto, stare 24 ore senza elettronica sarebbero un inferno per i ragazzi della mia età, ma non per me. Ho vissuto 12 anni senza mai aver toccato un telefono o un tablet, ho costretto poi i miei a darmi un telefono, visto iniziate le scuole medie era ora di andare a scuola da sola.
Non so perchè ma, mentre le altre famiglie si abituavano all'elettronica e ne usufruivano abitualmente, la mia famiglia è sempre stata contraria a tutta l'elettronica.
Fin da piccola il mio unico gioco non era "spezza i mattoncini" o quel gioco divertente con il serpente. Il mio unico svago era scrivere. Amavo scrivere, anche se non sono mai cocluso neanche un libro. In 15 anni della mia vita avrò scritto almeno 50 libri ma nessuno di essi ha mai avuto una conclusione. Oltre al non riuscire a concludere non ero neanche brava a tenere un diario.
Tutte le mie compagne avevano un diario dove scrivevano i loro segreti.
Io non riuscivo, non so se per colpa del mio subconscio che non mi faceva , a mia insaputa, dire la veritá per paura che i miei segreti potessero finire in mani sbagliate. Oppure per il fatto che mentivo a tutti,o meglio,Mento a tutti.
Nessuno sapeva chi fossi davvero e sicuramente non ci tenevo granché alla loro opinione.
Non che avessi chissá che segreti da raccontare.
Abito in un piccolo paese in provincia di Roma quindi ero consapevole fin da piccola che se qualcuno avesse mai scoperto anche solo una cosa brutta su di me ne sarei rimasta segnata a vita.
Lady Arisa era scomparsa dal davanzale, ritornò poco dopo seguita da mia madre alla quale non ci volle molto per passare alle maniere pesanti per cui una ciabatta rosa con tanto di pon pon viola mi si scaraventò in faccia rovinando quell'atmosfera di quiete.
"Mamma!!!"
Si sentì uno schiamazzo provenire dall'appartamento di sopra. Era quella peste di mia sorella, Elizabeth. Aveva 11 anni ma era in pratica una mini chiara ferragni.
Mia sorella o meglio, sorellastra , non mi stava molto simpatica, non è che la odiavo, è che non ero molto entusiasta della sua esistenza...
La nostra famiglia è ricca e lei se ne è sempre aprofittata...
La cosa più buffa è che mio padre subito dopo essersi separato da mia madre si era messo con una donna piú giovane dalla quale ha avuto una bambina, Elizabeth, mia madre e mio padre si sono ricongiunti e ora stanno felicemente insieme e si sono tenuti elizabeth... Il che per loro è una fonte di gioia ma per me una fonte di odio
Mi misi le scarpe e corsi in cucina per la colazione.
Mia madre mi squadrò attentamente e con una faccia a dir poco discustata disse "ma, come ti sei vestita?", okay, era il mio periodo da darkettona apatica e depressa ma non era poi così male quel look.
Poi scese Elizabeth, e mia madre la lodò come una principessa "come sei bella Lizzy" ero a dir poco scandalizzata. Era vestita tutta fru fru e non riuscivo a trovare nemmeno un capo che neanche sotto'obbligo avrei indossato.
Mi sedetti accanto a mio padre che continuava a sfogliare il suo giornale.
Mio padre era fissato sul fatto che nel nostro paese c'erano solo 2 tipi di persone
Gli stupidi e gli ingabbiati: chi era così stupido dal non andarsene o chi era costretto a restare.
Non avevo mai avuto il coraggio di chiedergli a quale categoria appartenesse, forse era anche abbastanza ovvio.
Raccolsi la mia cartella color grigio con la scritta "only god can judge me" e corsi a prendere l'autobus.
La fermata dell'autobus spesso era frequentata da drogati quindi non era molto piacevole andarci da soli ma da ragazza fiera di 15 anni, e con ancora della dignitá, andai da sola.
La fermata era completamente sporca di una sostanza viscida della quale, personalmente, non ne volevo sapere nulla.
Il viaggio fino a scuola fu molto veloce.
Passai velocemente il piazzale della scuola per raggiungere il piú in fretta possibile la classe.
Dalla fretta sbattei contro qualcosa o meglio, qualcuno.
Alzai lo sguardo e vidi Ian o, affettuosamente chiamato da noi,  Er bujaccaro. Abitava sulla panchina nel piazzale della scuola, non si sapeva quasi nulla su di lui
C'erano molte dicerie su di lui. Una delle quali diceva che se ti ci vossi avvicinato saresti morto per colpa della sua maledizione.
Io non ci credevo, ovviamente. Anzi, mi intrigava poter sapere la sua storia.
"Scusa, non ti avevo visto"
Raccolsi i libri velocemente
"Non ti preoccupare" sorrise. In quel momento pensai inconciamente "awww che carino"
Ritornai subito alla realtá ricordando che aveva 17 anni e il suo alloggio era una panchina.
Corsi subito in classe.
Durante la 5 ora, fisica, presi dallo zaino i libri che avevo recuperato la mattina stessa e sbucò fuori un'agenda non mia.
Era completamente nera e c'era scrito in bianco "non toccare". Mi guardai in torno e poi, dopo essermi accertata di non attirare l'attenzione, aprii il diario. Era tenuto chiuso solo da un elastico, se era una cosa così importante doveva tenerlo chiuso meglio.
Iniziai a leggere
"Voglio aiutare le persone, con l'unico scopo di non farle mai sentire come mi sento io la maggior parte del tempo."

Ero sorpresa, chi si immaginava un tipo così, ma aspetta...C'era solo una persona alla quale poteva appartenere questo diario, come poteva essere Ian?! Continuai a leggere...

"Andai a letto, mi raggomitolai su me stesso e pian piano, silenziosamente, piansi come le persone che non possono essere capite."

Doveva sentirsi proprio solo...
In quel momento provai una fitta al cuore e sfogliai le pagine velocemente arrivando all'ultima nota scritta, questa volta era scritta in modo diverso. Le altre erano scritte con un tremolio come per sfogo, questa era scritta con fermezza e certezza

"Gioco finito. Ho perso. Ho tagliato il traguardo e finalmente è finita la gara"

Leggendo questo iniziai a tremare, era evidentemente un messaggio suicida.
Misi subito i libri nello zaino, lo raccolsi e uscii di corsa dalla classe.
Corsi verso la sua solita panchina ma non c'era, provai nella palestra ma non vi era traccia, cercai ovunque ma sembrava come se dio avesse giá deciso il suo destino.
In quell'esatto momento una lacrima mi rigò il viso, non ho idea del perchè, forse perchè sotto sotto ho sempre voluto parlargli
Una mano calda poi mi doccò la spalla
"Hey sigborina, cosa fai qui da sola?"
Mi girai di scatto, era lui. Il tempo di riconoscerlo per poi abbracciarlo.

It's everything wrong, but with you not at allDove le storie prendono vita. Scoprilo ora