Giacomo Caprotti

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Giacomo venne alla luce ad Oreno, nel 1480. 

Terzogenito e ultimo figlio di una povera famiglia di contadini, dinnanzi a lui aveva soltanto due sorelle, il che rendeva la sua nascita lieta e colma di promesse. Non che fosse così importante, poiché ben poco si poteva sperare da una famigliola che sopravviveva soltanto grazie al proprio orto e ai saltuari lavoretti che gli venivano proposti dai nobili signori che a loro vivevano accanto nelle calde sere d'estate, ma un figlio maschio era indubbio una lieta venuta per l'intera famiglia Caprotti. 

Per il padre Piero, un maschio avrebbe assicurato il proseguimento della discendenza e del nome della famiglia, oltre ad assicurargli una mano nelle faccende più dure che il lavoro richiedeva, mentre per la madre e le sorelle, un maschietto poteva portare un po' di vivacità e divertimento nel cuore familiare. Così, Gian Giacomo nacque, riempito di aspettative e di attenzioni, adorato e venerato come un principino.

 Ma crescendo, la famiglia Capriotti comprese presto che non era proprio un principe, quello che gli era stato donato dal Signore. Man mano che cresceva, il suo aspetto diveniva sempre più simile a quello di un angelo, con la pelle diafana e lentigginosa, folti boccoli ramati e grandi occhi scuri dalle folte ciglia. Era così diverso dalle due sorelle maggiori, Angelina e Lorenziola, entrambe caratterizzate da uno sciatto e rubicondo aspetto tipico delle contadinotte, che spesso la madre si era domandata se davvero quello scricciolo basso di statura rispetto ai coetanei e minuto di costituzione, potesse davvero esserle figlio. Per quello che riguardava il padre Piero, era ovviamente insoddisfatto per la beffe che il destino gli aveva riservato, donandogli un figlio dall' efebico aspetto, che preferiva ricevere continue punizioni corporali piuttosto che dargli una mano nei campi.  

Inoltre, da qualche anno i vari vicini del paesino si lamentavano spesso di particolari malefatte di cui non si poteva rintracciare il colpevole, probabilmente affiliato a un intero gruppetto di mascalzoni ragazzetti. Al signore Caprotti non era mai venuto in mente che il suo stesso figlio potesse far parte di quella combriccola di manigoldi, essendo lui stesso stato derubato diverse volte dei raccolti, o trovandosi qualche uovo marcio lanciato dentro casa. Dello stesso parere però, non era la madre e la sorella lui più legata, Lorenziola, la quale in realtà più volte copriva il fratellino nelle sue bighellonate, rischiando a sua volta di essere scoperta e punita.

 In riassumere, la nascita di Gian Giacomo fu ovviamente un evento lieto e la famiglia era colma di speranza dall'idea che prima o poi, il ragazzino in questione avrebbe potuto temprare il suo carattere e fisico in quello di un uomo, fornendo non solo aiuto manuale, ma anche economico in importanti questioni, come l'offrire i danari alle proprie sorelle per aiutarle a possedere una dote degna di questo nome. 

Il povero Giacomo, dal canto suo, odiava venir coperto da tali responsabilità, sentendo spesso il peso che gravava sulle sue esili spalle di bambino. Aveva paura, un terrore folle di non poter soddisfare le esigenze da lui richieste e pregava ogni giorno che il suo corpo rimanesse così piccolo, i suoi capelli così folti e che la sua vita di ladruncolo potesse continuare così all'infinito. 

Non aveva ambizioni, così come mai aveva pensato che prima o poi sarebbe riuscito ad uscire dalla prigione che il suo paese natio rappresentava. Probabilmente sarebbe cresciuto, avrebbe preso l'attività di suo padre e avrebbe fatto il contadino a vita, fino a che i suoi muscoli non si sarebbero afflosciati come quelli di un vecchio e lui stesso avrebbe dovuto cedere la falce al proprio figlio. Così pensava, così credeva.

E mai avrebbe potuto immaginare, neanche nelle più lontane delle ipotesi, che la sua vita sarebbe potuta cambiare così drasticamente, in un normalissimo giorno soleggiato di luglio, nell'anno 1490.

L'apprendista del pittoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora