Chapter 2

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La mattina dopo, mi svegliai sul divano, con la testa appoggiata alle gambe di mio fratello che dormiva beatamente come un bambino, un bambino con dei problemi però. Mi alzai e mi diressi in bagno, facevo puzza di morto; essendo le 06:00 mi feci anche lo shampoo dato che se provavo solo a spremere delicatamente i miei capelli rossi, iniziava a uscire olio extra vergine d'oliva. Non mi andava di asciugarmeli, anche se mia madre mi ha sempre detto di non lasciarli asciugare naturalmente perchè, sennò, in futuro si paleseranno in me dei dolori laceranti al collo o alla schiena, si. I dolori me li fa venire lei, alla testa però, non smette mai di parlare, accidenti! Feci uno chignon, ignorando la voce di mia madre nella testa che mi invitava a prendere il phon e asciugarli; mi misi una canotta bianca allargata facendo vedere il reggiseno nero, i pantaloni sono di jeans e le scarpe sono abbastanza semplici, delle Stan Smith tutte bianche. Decisi di andare fuori a godermi l'aria fresca di settembre ma, prima, mi misi un giubbotto di jeans, non sentivo freddo ma fa figo.

Mentre mi muovevo per quelle strade buie e fresche, notai una macchina dirigersi verso la villetta in vendita da poco, si trovava precisamente tre case dopo la mia. Non era una macchina normale, o meglio, non era una macchina che si vedono tutti i giorni in questo quartiere, non dico che questo era un quartiere per malcapitati ma, nemmeno per ricchi sfondati, insomma, quella che avevo davanti era una fottuta Porsche! Bianca, laccata, nemmeno un graffio o una macchia. Provai un po' di invidia, però non mi lamento della mia graziosa Range Rover, decorosamente, nera; entrai in casa, osservando che si erano già fatte le 07:45 e tra un quarto d'ora sarei dovuta andare a scuola, non che mi interessi, solo che mio fratello e molto preciso e puntuale in tutto e se non lo vado a svegliare ora mi uccide.

Quando superai la soglia della porta, notai Jordan già sveglio e vestito che mi stava aspettando sul divano sbattendo frettolosamente il piede per terra, appena mi vide, mi guardò e disse solo "Andiamo, Alexis" prima, però, mi pose uno dei suoi teneri baci sulla mia tempia e, con le chiavi della mia auto e gli zaini andammo verso la macchina nera. Jordan ha anche lui una macchina, una Dodge Viper grigia, che ha deciso di non utilizzare volendo fare il tratto di strada, da casa di mamma a scuola, insieme a me.
"Allora, Biancaneve, come siamo messe a scuola?" Mi chiese mio fratello, una volta in macchina, chiamandomi con quel nomignolo che io adoravo "Ehm... domanda di riserva?" Rispondo io, guardando la strada e accennando un sorriso colpevole.
"Okay, Neve, ho capito." Rise lui, facendo spuntare quelle fossette che abbiamo, tutti e due, ereditato da mio padre, che a sua volta l'ha ereditato da mia nonna che a sua volta l'ha ereditato dalla mia bisnonna... okay, questa non è vera, o forse sì, non lo so. Ora ho il dubbio. "Come stiamo messi in fatto di ragazzi? A chi devo spaccare la faccia?" Mi chiese, non ritirando il sorriso ma notando il leggero cambio di tono che, ora, si era fatto leggermente più serio. "Ma davvero, Jordan? Tu pensi seriamente che ne parli con te di queste cose?" Risposi con un'altra domanda, io e mio fratello parlavamo di tutto tranne che di fidanzati. Io non mi interessavo della sua situazione sentimentale e lui non doveva interessarsi della mia. Anche se in realtà non ne avevo una. Io e il letto siamo molto intimi, vale comunque? "Oddio! Con chi ti sei fidanzata?!" Chiese mio fratello, sinceramente preoccupato. "Si chiama Ines..." Dissi io, decidendo di sparare una delle mie solite stronzate. "SEI GAY?!" Mi gridò esterrefatto Jordan che si era tenuto al sedile per non cascare non so da dove "Si, si chiama Ines. Ines Istente" dissi io ghignando. "Non posso crederci! Perché non l'hai detto prima, ti avremmo capita, sostenuta... aspetta" si prese un secondo di pausa, per riflettere su ciò che avevo detto precedentemente, mentre io stavo ridendo a crepapelle. "Neve, sei una stronza! Mi hai fatto prendere un colpo!" Gridò Jordan, più sollevato, rispetto a prima. "Mi vorresti dire che tu non mi avresti accettata se fossi stata gay?" Chiesi e dato che lui abbassò di poco lo sguardo, presi un fazzoletto usato dalla tasca e glielo lanciai gridando "Sei un omofobo!" Passammo gli ultimi due minuti a ridere e poi ci trovammo tra le mani del diavolo, all'Inferno, o anche chiamata da noi comuni mortali: scuola.

All'ingresso, però, mi trovai davanti la persona che più volevo vedere in questo periodo. Lei. La mia anima gemella, vipere insieme. Lei. Claire Morel. Ci guardammo negli occhi, notai che anche a lei era nato quel sorriso misto tra maliconia, felicità e cattiveria. Era partita la settimana scorsa per andare da sua padre, anche i suoi genitori si sono lasciati e questo, è un altro punto in comune che ha con me. Claire ha gli occhi blu e i capelli castani con qualche ciocca azzurra che io amo. Suo padre vive in Svezia e si è separato dalla madre perché, quest'ultima, l'ha tradito con ben 3 persone differenti in due mesi. "Quando l'ha scoperto..." Mi raccontò Claire "...è rimasto immobile, senza dire una parola si è rintanato in camera. Dopo quasi 5 ore, è uscito con una valigia in mano e uno zaino in spalla dicendo solo "Addio" ha sbattuto la porta e non l'ho rivisto più." Claire è della Francia, si è trasferita in America da sola, senza madre o padre, è salita su quell'aereo e non è più ritornata da sua madre che, ancora oggi, definisce "puttana". Ci abbracciammo a lungo, poi, ci dovettimo separare perché una stupida macchina doveva passare. Non capivo perché tutti ci stessero osservando poi capii: non stavano guardando me ma la Porsche dietro di me. La stessa macchina di stamani.
Da lì, ne uscii un ragazzo moro. Con gli occhi azzurri, quasi trasparenti, era vestito in modo casual: una maglietta nera a maniche corte con inciso, sopra, in alto a sinistra del suo petto, C.B., dei pantaloni neri e delle scarpe eleganti, sempre, nere. Nelle spalle aveva uno zaino. Ma non un semplice zaino. Sopra c'era la scritta Gucci. Già non mi piace. Sembra uno di quei ricconi, con la testa montata tipo i mattoncini dei Lego, figlio di papà. Il suo sguardo si fermò sul mio, ci fissammo per non so quanto tempo, i suoi occhi, prima tesi, si addolcirono. Le sue labbra si inarcarono di poco all'insù, facendo nascere un, piccolo, timido, sorriso. Il nostro scambio di sguardi finì quando Claire mi diede una gomitata al fianco destro facendomi gemere dal dolore. La mia migliore amica, come me, si ritrovava la delicatezza di un elefante dentro ad un negozio di cristalli. Dopo aver lanciato un'occhiata assassina a Claire, mi lisciai i capelli con le mani e dissi, guardando per terra, solo un "Andiamo, Claire." E lei mi seguii zitta. Non parlai tutti il giorno e, per fortuna, i prof, non mi interpellarono nelle materie del giorno. Passai la giornata a pensare a quegli occhi azzurri fissi su di me. Talmente dolci da farmi vomitare. Ma erano belli, misteriosi e a me il mistero piace.
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New entry! ❤️❣️

Abbi cura di splendere.Where stories live. Discover now