Capitolo 10 - Aaron.

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Diana è piena di domande per la testa, la conosco bene. Non sa da che parte cominciare e se continua a tenersi tutto dentro finirà per vomitarmele addosso tutte d'un fiato. Per l'intero viaggio di ritorno è rimasta in silenzio a fissare il panorama al di fuori del finestrino.

Ho cercato di distrarmi, tranquillizzarmi un po', ma è stato inutile. Ho mantenuto un'espressione gelida e distaccata solo perché ci sono ormai abituato. In realtà dentro stavo bruciando.

Non appena parcheggio l'auto in garage la invito a salire nella mia stanza. Si limita ad annuire. È scossa e alterata allo stesso tempo, ma come biasimarla. Rientriamo in casa silenziosamente e sgattaioliamo subito di sopra. Quando varca la soglia della stanza noto che ispeziona ogni oggetto, ogni dettaglio, come se non l'avesse mai vista prima. Ora che ci penso è passato tanto tempo da quando ho permesso a mia sorella di entrare qui dentro. Da quando ho commesso l'errore più grande della mia vita non l'ho più permesso a nessuno. Mi sono imposto di non legarmi a nessuna donna e di rinchiudermi completamente in me stesso per non causare alcun dolore. All'inizio è stato così difficile da non riuscire a trattenere le lacrime per giorni. Ricordo quei pomeriggi passati sul letto, i miei genitori a spronarmi ad uscire e mia sorella preoccupata che bussava insistentemente alla porta. Ero avvolto da un senso opprimente d'inquietudine costante.

"Aaron?" La sua voce, quasi in un sussurro, mi riporta al presente.

Mi accomodo sul bordo del letto, accanto a lei. Vorrei fingere il mio stato d'animo, ma i brividi ricoprono lo strato superficiale della mia pelle. Le mani mi sudano e la gamba destra non vuole smettere di tamburellare.

"Aaron, voglio sapere. Tutta questa situazione è assolutamente assurda. Chi è veramente Jared? Che tipo di rapporto c'è fra di voi? Che cosa mi stai nascondendo?"

Ecco ciò che temevo, il suo fiume di domande incontrollabili. Cerco di schiarire la voce per celare le mie emozioni e predisporre un discorso.

"Non è facile, Diana. Cerca di capirmi, anche se ti risulta difficile al momento." Prendo un lungo respiro. "Ricordi l'estate dei miei diciassette anni? Tu ne avevi undici, eri ancora piccina per poter capire appieno che cosa stesse succedendo a tuo fratello. Ciò nonostante, sei sempre stata molto sveglia: hai subito notato qualcosa di strano e hai sofferto molto per l'improvviso distacco, le litigate frequenti, il mio respingerti in più occasioni. Hai passato anche tu la prima parte dell'adolescenza: i problemi, le materie insufficienti, i primi amori. So quanto sia stato difficile non poterne parlare con me e chiedermi come superare i momenti bui, chiedermi consigli, trovare conforto. Mi pento di non esserci stato per una delle persone più importanti della mia vita, perché lo sai Didi, io ti ho sempre voluto un gran bene. Proprio per questo avrei voluto tenerti all'oscuro di tutto, avrei preferito che tu non incontrassi mai Jared e che questa conversazione non avesse mai avuto luogo. Credevo che comportandomi così avrei migliorato la situazione e avrei evitato di farti soffrire ulteriormente. Invece mi rendo conto di aver solo peggiorato tutto." Prendo una pausa, il cuore mi esplode nel petto.

Diana ha gli occhi lucidi, si aggrappa a tutta la sua forza per non piangere e sapere che sto per distruggerla mi uccide. In questo momento potrei sopportare tre pallottole in pieno petto, ma non lo sguardo di mia sorella.

"La presenza di Jared ti avrà sicuramente destabilizzata e ciò non è un caso. Lui ti conosceva, ancor prima di vederti a quella festa. Sa che sei il mio punto debole, sa che se solo ti facessero del male io spaccherei le gambe a chi te l'ha causato. È per questo che ti intimorisce o che, in un certo senso, ti sta attorno. Vuole tenere d'occhio me, tenendo in ostaggio te. Sono il suo burattino. Se solo avessi potuto avrei impedito che arrivasse a te."

"Che cos'hai fatto di così tanto grave, Aaron? Perché ti tiene in pugno?" La sua voce quasi trema, così come le mie mani e le mie labbra.

"Diana, ti prego, non interrompermi... è già complicato così." Mi passo i palmi sul viso. "Devi sapere che Jared non è il suo vero nome. Si è creato una falsa identità per potersi avvicinare alle persone a me care. Il suo vero nome è Kalevi e viene da molto lontano. L'ho conosciuto proprio nell'estate dei miei diciassette anni. Quella sera, al parco vicino alla stazione, ero immerso nei miei pensieri. I pensieri intrusivi erano così rumorosi nella mia testa da farmi estraniare completamente dalla realtà." Fisso il vuoto, tornando con rammarico a quella sera.

Diana mi accarezza il dorso del braccio. Mi chiede mormorando a cosa stessi pensando.

"Ero nel bel mezzo di una crisi adolescenziale. I voti a scuola erano pessimi, mi sentivo apatico verso la maggior parte delle cose che mi circondavano. Mamma e papà erano sempre schivi e mi rimproveravano spesso. Insomma, per una serie di cose, mi sono ritrovato a pensare che la mia vita non fosse così soddisfacente. Pensavo di meritare la felicità e speravo in una svolta. È stato allora, quando ho formulato nella mia testa questi desideri, che Kalevi è venuto da me. Mi ha promesso tutto ciò che desideravo, tutto ciò che sognavo: finire con ottimi voti la scuola, trovare un lavoro redditizio. Volevo un riscatto e lui poteva darmelo. Così mi ripeteva in continuazione." La rabbia e il rimorso mi ribollono nel sangue. Sono costretto ad interrompere il discorso un'altra volta. Non trovo il coraggio di arrivare dritto al punto e questo macigno che mi porto dentro da quasi dieci anni mi sta impedendo di respirare regolarmente. Gli occhi bruciano, mi ricordano che è inutile combattere le lacrime perché a breve avranno la meglio sul mio respingerle. Conoscendomi, le rime inferiori staranno già assumendo un colore rossastro.

Diana si accorge del malessere che provo e getta istantaneamente le braccia al mio collo. Mi stringe così forte da riuscire a sentire il suo cuore battere all'impazzata contro il mio petto. Rimaniamo in silenzio e se le lacrime che ci solcano i visi potessero emettere un suono, nella stanza si udirebbero solo loro. Percepisco le sue morire sulla pelle del collo, mentre le mie, più orgogliose, giacciono sulle gote accaldate.

Nell'incavo del mio collo sta ripetendo più volte quanto sia dispiaciuta. Si sente in colpa per qualcosa che nemmeno conosce fino in fondo. Qualcosa che la tocca da vicino, ma di cui non è la causa e nemmeno la conseguenza. La verità è che a nessuno si possono attribuire colpe se non a me stesso.

Il temporale da cui siamo scappati a Veria è arrivato sino qui e insieme a lui, una forte corrente d'aria si sta abbattendo contro la vegetazione. Con la coda dell'occhio intravedo alcuni alberi piegati quasi a toccare l'asfalto e fogli di giornale venire letteralmente scaraventati da ogni lato della strada. Poco dopo essermi voltato con stupore verso la finestra, questa si spalanca rumorosamente. Le tende, così come alcuni documenti sulla scrivania, vengono scagliati verso di noi e veniamo avvolti da una corrente gelida ed impetuosa. In un primo momento ci stacchiamo dall'abbraccio spaventati e presi alla sprovvista, poi qualcosa di inspiegabile si consuma nell'arco di una manciata di secondi: sento una forza misteriosa spingermi di nuovo contro il corpo di mia sorella che mi sta guardando terrorizzata. È come se due mani possenti, appoggiate alla mia schiena, mi stessero spingendo prepotentemente verso di lei. Finiamo per scontrarci di petto e la stessa forza che prima spingeva me verso di lei, ora sembra premere su Diana. Crolla sul mio corpo ormai steso supino sulle coperte. Quando i nostri occhi si incontrano spaventati, ci accorgiamo d'esser stesi l'una sull'altro. La finestra si richiude e i suoni sinistri della tempesta vengono ovattati dai vetri.


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Ciao miei bellissimi lettori! 

Primo capitolo dalla parte di Aaron. Vi piace il cambio di POV?

Si sa, le tempeste possono causare gravi conseguenza, ma... Questa é piuttosto stramba.

🌚🌚🌚

Baci, appuntamento al prossimo capitolo!

„ After the deal "Where stories live. Discover now