Capitolo XVII

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Ciò che si parò davanti ai nostri occhi era degno erede di arcane mostruosità infernali. Ogni atomo dei nostri corpi sembrava inabissarsi in antri sconosciuti del sottosuolo, attirato da chissà quali forze maligne che quello scenario stava riportando alla luce.

Mi voltai verso Philos per cercare i suoi occhi, divenuti ormai una certezza nella mia esistenza ad Ekaton. Li vidi sbarrati, con le iridi grigie che riflettevano le immagini verso cui erano puntate. Le sue pupille, così come le mie, erano dilatate per la curiosità e la paura.

Quello che qualche giorno prima era il ridente centro della città, colmo di mercanti e sentieri pietrosi geometricamente disposti, in quel momento aveva perso qualsiasi tipo di luminosità.

Delle travi lignee lunghe e ben affilate, frutto di un attento lavoro umano, erano piantate fermamente al suolo. Ognuna di esse era circondata da una folta paglia dipinta d'arancio, consunta dalle intemperie e dallo scorrere del tempo. Pensai che fosse adatta per appiccare un grande incendio, come quelli che di tanto in tanto comparivano lungo le campagne della mia città.

Ai piedi di ogni trave erano legati indistintamente uomini, donne e bambini, con la schiena che aderiva al legno e le mani riunite dall'altra parte del puntone, in una sorta di preghiera indiavolata. I corpi erano ricoperti da stracci sporchi e consumati, di tanto in tanto lacerati a causa di qualche strattone un po' troppo violento. Le gambe magre e indebolite, ricoperte di fuliggine, erano lasciate scoperte e in preda a tremori imperterriti. Non riuscivo a vedere tutti i loro volti, poiché alcuni erano coperti da folte ciocche di capelli, altri invece erano abbassati in segno di resa.

Fui colpita, così come Philos, dai lamenti che quell'ammasso di corpi riusciva a produrre. Ogni tonalità combaciava perfettamente con le altre, e insieme disegnavano attenti e quasi studiati inni alla morte. I suoni erano perlopiù gutturali, provocati da violente emissioni d'aria non deviate da lingua e palato. Suoni rudi, di creature rudi.

Non capivo se quello fosse effettivamente un canto arcaico e rozzo, ben studiato per incutere terrore nella gente, oppure fosse il sunto di casuali combinazioni tonali. La questione, però, perdeva d'importanza dinanzi ad un tale spettacolo gotico.

Il secondo aspetto che più mi colpì di quella scena inverosimile era la disposizione complessiva delle travi: insieme formavano un cerchio perfetto.

Sentii sulla mia pelle la mano di Philos, il quale provava da un po' a risvegliarmi dal torpore che quell'inferno mi aveva recato.

"Priscilla, dobbiamo andare via."

Il suo tono era serio e pacato, sicuramente studiato per non terrorizzarmi. Eppure sortì l'effetto contrario.

La mia pelle reagì al suo tocco con brividi che la rendevano ispida e fredda.

Lo guardai e gli parlai a voce bassa, non volendo osare troppo in quel luogo di morte.

"Prima voglio sapere cosa sta accadendo in questo posto."

Provò a tirarmi il braccio per portarmi via con sé, ma mi opposi con fermezza. Il mio cuore pulsava più del dovuto e stavo imparando ad assecondarlo.

I miei occhi fulminarono i suoi. Silenziose imposizioni giunsero a Philos. In quel posto stavo scoprendo una forza d'animo e un'autorità di cui non sapevo nulla.

Lui assecondò la mia richiesta e mi indicò una banchina alcuni metri distante dal luogo incriminato.

Lo seguii a passo svelto, con una curiosità crescente nel petto.

Lo vidi sedersi, stendere le grinze ai pantaloni, grattarsi la nuca e guardarsi intorno. Era confuso e impaurito.

"Questo è tremendo, Priscilla. Credimi se ti dico che è la prima volta che ringrazio la tua amnesia, almeno ti ha permesso di rimuovere dalla mente questi avvenimenti truci."

Ruotò leggermente il busto verso la mia direzione, passò per un'ultima volta la mano sul tessuto verde e infine sospirò, pronto a raccontare.

"Questo è il Rito dei Rinnegati. Si tratta di una morte lenta, truce e disumana per tutti quelli ritenuti membri di un sodalizio macchiato di vergogna."

Non riuscivo a seguirlo, ogni parola pareva incomprensibile alle mie orecchie.

"Ma cosa significa? E perché sono chiamati Rinnegati?"

"Questo è uno degli eventi oscuri di questa città, soltanto tu riuscivi a rinvigorirla. I Rinnegati sono tutti quegli abitanti di Ekaton ritenuti pazzi, deliranti o facenti parte di sette pericolose. Sono chiamati in questo modo perché, dopo essere stati scoperti, vengono ripudiati dall'intera città e puniti con la morte. A breve sarà appiccato un incendio per ogni trave, in cui i Rinnegati moriranno. Quello che senti, invece, è un canto scaramantico che li aiuta ad essere meno impauriti."

Sembrava la caccia alle streghe del XVII secolo, un rituale tanto perfido quanto ormai superato nella mia generazione. Ma in quel posto tutto pareva lontano dalla mia Bari, ogni aspetto era eccessivamente retrogrado e non evoluto.

Osservai Philos con una espressione di disprezzo. Il mio istinto mi ordinava di alzarmi e di andare da loro. Non sapevo cosa avrei detto o in che modo avrei reagito, ma le palpitazioni del mio muscolo cardiaco mi imponevano di seguire quella sensazione. Così mi sollevai, portai le spalle indietro per darmi un poco di autorità e mi rivolsi a colui di cui ormai non riuscivo più a fare a meno.

"Philos, io vado."

"Dove?" Mi chiese già consapevole della mia risposta.

"Da loro, dai Rinnegati."

Non provò a resistermi. La tenacia della Centouno non poteva essere fermata.

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Cari lettori,

come vi sembra questo capitolo?

Ho una notizia importante da darvi: il mese prossimo partirò per la Scozia per ben un mese, dunque abbandonerò Centouno in quel lasso di tempo.

Così ho pensato di rendere più rapidi gli aggiornamenti, che ne dite?

Ho già pronto il prossimo capitolo, che potrei pubblicare anche stasera!

CentounoWhere stories live. Discover now