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Se il buongiorno si vede dal mattino, questa è proprio una giornata del cavolo. Dopo aver dormito da Clarissa, ieri, sono tornata a casa e proprio come immaginavo, ho dovuto toccare con mano tutto ciò che avrei volentieri evitato a vita, ma non sto qui a raccontare.

Oggi mi sono alzata, preparata, e sono ritornata a scuola. Tutti sanno di ciò che mi è accaduto, e odio il fatto che siano così compassionevoli. Qualcuno ha avuto addirittura il coraggio di regalarmi uno sticker solo perché ho affermato che mi piacesse. Sono incazzata col mondo, odio chiunque sia in questa stanza talmente tanto che ogni secondo che passa sembra sempre più piccola. Il mio compagno Mauro entra in classe: è un ragazzo iperattivo o così dicono, a me sembra solo un po' vivace e parecchio rompi palle. E' seduto di fronte a me, ma non capisco se mi saluta o meno così decido di ignorarlo. Pochi minuti dopo inizia a infastidirmi, così, con una reazione ben peggiore rispetto al solito, gli rivolgo un'espressione seria e nervosa e strillo «hai rotto il cazzo, levati!», lui non incassa e voltandosi verso di me, parlando in siciliano, dice «parla in questo modo al bastardo di tuo padre!». Non vedo più niente. Non passano neanche tre secondi che mi ritrovo in piedi a scaraventare il mio banco sul corpo di questo coglione. Tutti si alzano ed io vorrei prenderlo a calci, respiro in modo affannoso e non so cosa mi trattiene dal saltargli sopra. La professoressa mi guarda sconvolta, e per un attimo mi dico che sono fottuta: mi sospenderanno.

Qualche minuto dopo capisco che anche lei prova quell'odiosa compassione nei miei confronti, quindi non prenderà provvedimenti. Tanto meglio, mi dico un po' incoerentemente. Vorrei poterli mandare tutti a fanculo, dal primo all'ultimo. Vorrei essere sola, scrivere tutto ciò che provo su un diario ma non ci riesco, non ce la faccio proprio. Spero di rimuovere la maggior parte di questi ricordi, quando sarò grande.

Oggi ci sarà il funerale, ed io decido di andare da Clarissa prima di recarmi in chiesa.

Quando arriva l'orario ci dirigiamo lì io, lei e sua madre. Vado a prendere posto davanti con la mia famiglia e non so come farò a non cedere adesso. Ho mia sorella ed i miei fratelli accanto, e piangono, piangono e tirano fuori tutto il dolore. Mi dico che staranno meglio di me tra qualche tempo. Quando il prete inizia a parlare, non riesco più a trattenermi. Scoppio a piangere e tutti possono vedermi. Sono così vulnerabile, così esposta. Penso che se qualcuno mi dicesse una minima cattiveria in questo momento mi romperei in mille pezzi.

Trascorsa la messa, tutti passano davanti a me e la mia famiglia per farci le ennesime fottute condoglianze. Sapessero quanto vorrei che sparissero da qui. E quello che odio più di ogni cosa è che nessuno di questi ipocriti ci resta accanto perché lo vuole, ma solo perché è giusto che sia così.

Siamo stati al cimitero, dopo il funerale... per... in realtà non ho capito perché, so solo che domani avverrà la sepoltura e sarà lì che dovrò ufficialmente dirgli addio...

Salendo le scale di casa, noto un piccolo particolare. Un petalo di rosa rosso, per terra, ovviamente caduto dalla bara di papà. Lo raccolgo e entrando in casa (senza versare una lacrima, ma parecchio sconvolta) mi dirigo nella mia camera per riporlo in mezzo ad una pagina del diario di scuola. Dopo aver cenato, mi metto a spazzare per bene il salone ancora in subbuglio per via delle varie persone che sono andate e venute in questi giorni. Che strane scene... come dimenticare la sorella di papà, totalmente inchinata su di lui a piangere e disperarsi... e pensare che nella loro famiglia ne sono già morti altri, col cancro. Si presume che sia di natura ereditaria a questo punto, ma non c'è nulla di certo.

Il cuore mi spinge a fare qualcosa, ed io per una volta decido di dargli ascolto: prendo un biglietto, e certa di ciò che sono pronta a fare, scrivo "mamma, ti prometto che sarò io la tua forza". Ci credo, o ci voglio credere? Ho così paura di questa responsabilità. Così paura. Osservo il biglietto per un po' e poi lo attacco alla porta della camera da letto. Da stasera, dormirò qui con la mia mamma. Non dovrà sentirsi sola, per quanto possibile, neanche un po'.

Mi sono addormentata distrutta. Ho deciso che dormirò con mia madre per non lasciarla da sola, ma forse è solo per paura di ciò che potrebbe fare senza che nessuno la veda. A causa della malattia che ha, soffre di depressione... è una delle cose che odio avere in testa, quasi peggio della morte di papà... la mamma soffre terribilmente, se non fisicamente, psicologicamente. Il suo male peggiora di giorno in giorno, questo si sa, e lei non riesce a credere a come sarà ridotta tra pochi anni, non riesce a pensare al fatto che dovrà essere necessariamente accudita da una figlia piccola, la minore di tutte. Non se lo perdona, pur non avendone nessuna colpa... ed io mi chiedo se mai si rassegnerà. Perché come è vero che questa malattia non porta alla morte, è anche vero che chi la ha, non può guarire. Grazie a svariati e lunghissimi interventi, si può fare in modo che rallenti un po', ma nulla di questi ultimi permette la guarigione totale. Dentro di me però, so bene che una buona parte della sua depressione negli anni, sia stata dovuta un po' a papà, anche se non vorrei mai ammetterlo... eppure è così... non so se nelle mie condizioni emotive sono in grado di poter dare spazio a certi ricordi, ma per quanto dolorosi siano, non riesco a rimuoverli e ce n'è uno fra tutti che mi tormenta più di altri...

Me ne stavo tranquilla in cucina a giocare con le bambole sul tavolo, era quasi natale ed io ero tutta contenta pensando ai regali che avrei ricevuto non solo il 25 di dicembre, ma anche a gennaio poiché avrei compiuto nove anni in quel mese. Mia sorella si era sposata da due mesi più o meno, ed io ero felice che per le feste saremmo stati tutti insieme. Mentre fantasticavo, d'un tratto, sento mia madre che strilla e papà che dice di non volergliela dare vinta. Credo di aver capito che lei volesse che trascorressimo qualche pomeriggio da suo fratello, dove tutti i miei zii e cugini si riunivano per giocare a carte; d'altro canto, lui non ne voleva sapere... papà non amava andare in giro, gli piaceva starsene a casa per conto suo, ma a lei questo non stava bene... io, troppo piccola per mettermi in mezzo e ancora di più per farmi un'opinione di ciò che stava accadendo, restavo lì impalata ad ascoltare con il cuore in gola. Tuttora non mi spiego la reazione di mia madre a quel "no". La vedo correre dal salone alla cucina, diretta verso il balcone... mi alzo in piedi per la paura e sentendola urlare e piangere, mi viene un groppo in gola; nel giro di pochi secondi, lei stava per arrampicarsi per buttarsi giù, e lo avrebbe fatto se non fosse stato per papà che correndole dietro la afferra per i capelli (o per i vestiti, non ricordo bene) e la tira indietro. Io, terrorizzata, assisto ad una delle scene peggiori che una bambina di neanche nove anni possa vivere. Non mi muovo, non parlo, quando vedo mia madre sedersi e riprendere fiato, vado da lei e le chiedo: «mamma, vuoi un po' d'acqua?», lei annuisce ed io gliene vado subito a prendere un bicchiere, chiedendomi se davvero conto così poco da meritare che mia madre sia disposta a lasciarmi pur di andarsene per sempre.

Tutto questo è sempre rimasto impresso nella mia mente, non riesco a dimenticare la paura che ho provato e che fino ad oggi si è sempre fatta viva quando l'ho vista particolarmente triste. Non ho ricordi di cosa sia accaduto dopo, non so se mio padre alla fine l'ha accontentata, né se lei è stata peggio o meglio successivamente. Ricordo solo che nelle ore seguenti, la seguivo ovunque andasse e scrutavo qualunque cosa facesse.

A distanza di pochi giorni, mi sentivo già più grande.

Come fiori in primaveraWhere stories live. Discover now