5. La Stanza Numero 2.

Start from the beginning
                                    

Mentre Cornelius armeggia con la serratura della porta, un senso di allarme sempre più urgente inizia ad arrampicarmisi lungo le vertebre, arrivando fin sotto alla nuca con un brivido gelido di accompagnamento.

Che cosa vogliono farmi? Che cosa diavolo hanno intenzione di farmi?

«Lasciatemi andare» riprovo ancora, puntando i piedi per terra. La mia voce traspare rotta e piena d'ansia. È come se il mio inconscio fosse consapevole che al di là di quella porta ci sia la mia antitesi in persona. La mia fine personale. «Vi prego, lasciatemi andare. Farò qualsiasi altra cosa, ma non fatemi entrare dentro quella stanza!»

Mio padre si volta lentamente, ancora con la mano poggiata sulla maniglia e uno sguardo autoritario. «Mi dispiace, Abby, ma hai già avuto diverse opportunità per dimostrarci la tua fiducia» dichiara, fissandomi con la coda dell'occhio, «e le hai sprecate tutte

Russell ghigna tra i denti e torna a spingermi dietro alla schiena, per indirizzarmi verso l'ingresso della stanza numero 2. Cornelius mi sorride pacatamente e ci precede, facendo di nuovo frusciare la tonaca tra le gambe.

«No! Non voglio!» grido a squarciagola, convinta che tanto nessuno mi sentirà. «Non voglio, maledetti! Toccatemi e ve la farò pagare!»

Ma nessuno bada alle mie minacce. Una volta entrati nel grande stanzone, Russell si richiude la porta alle spalle e pigia un pulsante che fa accendere una dopo l'altra tutte le luci, che piovono dal soffitto tramite fili scarni e impolverati. Improvvisamente sembra di essere entrati in un bunker antiatomico del periodo post bellico: dei lunghi tavoli di acciaio, pieni di cianfrusaglie e attrezzi, costeggiano due delle pareti disponibili, mentre al centro è posta un'inquietante sedia in legno, rigida e con degli strani manicotti in ferro ai lati. In fondo alla stanza, invece, sono abbandonate due brandine in acciaio, che sembrano non essere state utilizzate da parecchi anni.

Mi guardo intorno con aria spaesata, cercando di carpire ogni singola informazione che questo posto possa darmi: ho subito l'impressione di essere stata già qui dentro, prima d'ora. Non ricordo bene quando, o il modo in cui sia avvenuto, ma sono sicura che la terribile sensazione di pericolo che mi ha fatto accapponare la pelle quando Russell ha nominato la stanza numero 2, sia in parte giustificata.

Forse mi ci hanno già portata più volte, qui dentro.

Forse sono io a non ricordarlo.

«Io sono già stata qui» balbetto, scuotendo la testa in modo confuso.

Cornelius, che adesso sta accendendo dei macchinari, poggiati su uno scaffale in metallo, si volta di scatto verso si me e mi fissa di sbieco, come se fosse sorpreso. «Che cosa ricordi?»

Russell per un attimo sussulta, forse colpito indirettamente da un'accusa silenziosa.

Faccio vagare di nuovo gli occhi sulla stanza, stavolta più lentamente e con più concentrazione: mi soffermo sulla grande sedia in legno massiccio, più scura sui manici e sulla seduta. È usurata, ma in qualche modo sembra stonare rispetto al resto dei mobili presenti. Sembra quasi...

50, Russell.

Strizzo le palpebre e faccio un passo indietro, travolta da una voce soffocata nella testa. Per nascondere lo sguardo sorpreso, mi sbrigo a cambiare traiettoria, puntando gli occhi sui carrellini pieni di oggetti alla rinfusa posti uno accanto all'altro in fondo alla stanza, a pochi metri dalle due brandine ospedaliere.

«Niente» rispondo, cercando di mascherare il più possibile il tono di voce scosso. «Io non ricordo... niente

Russell tira un sospiro di sollievo sottovoce e mi traina come un fantoccio verso uno dei due lettini. Con una piccola spinta sulle clavicole mi indirizza verso quello sulla sinistra e mi ordina con il mento di salirci su.

Hybrid - Legami SpezzatiWhere stories live. Discover now