Il Lavoro Rende Liberi

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Mercoledì 22 marzo 1933. Dachau, Baviera. 
Il comandante in capo delle SS Heinrich Himmler inaugura il primo campo di concentramento nazista di tutta la Germania.

Poco più di un mese dopo la salita al potere di Adolf Hitler (30  gennaio 1933) la macchina sterminatrice del führer era dunque già stata messa in moto. E dalle ceneri di una vecchia fabbrica di munizioni sorse il campo di concentramento di Dachau. Il primo, il modello, l'esempio da seguire... Tutti i campi di concentramento, di lavoro forzato, e di sterminio costruiti successivamente si ispirarono all'efficienza e alla brutalità di Dachau. Le SS esportarono in tutta la Germania "lo spirito di Dachau", quel terrore senza pietà, quella crudeltà inaudita, quella disgustosa ferocia. E da quel modello, simbolo della forza nazista, sorto a soli 16 km da Monaco, si iniziò a scrivere la più sanguinosa e atroce pagina della storia tedesca.

Dal campo di Dachau transitarono più di 200 mila persone tra ebrei, comunisti, dissidenti, preti, omosessuali, autistici, disabili, membri della resistenza, intellettuali... 41.500 di loro non ne uscirono mai più. E quello non era nemmeno un campo di sterminio, come Auschwitz per esempio, motivo per cui all'ingresso del campo, "la porta dell'inferno", fu affissa la tristemente nota scritta "arbeit macht frei", il lavoro rende liberi. Lo slogan piacque così tanto ai vertici nazisti da essere riproposto in numerosi altri campi, che via via si stavano diffondendo, e divenne presto il vero e proprio simbolo della menzogna nazista. Ma il lavoro nei campi non liberò mai nessuno, anzi, fu usato come primario strumento di morte per il genocidio degli "indesiderabili".

Sabato 22 ottobre 2016. Dachau, Baviera.
La mia visita al campo.
Era una mattina gelida. Un pallido sole era sorto a fatica tra la nebbia bavarese, e l'aria pungeva senza pietà.
Il pullman partí molto presto da Monaco e in venti minuti giunse a destinazione. Eccoci: la città dell'orrore... Oggi è tutto normale: il centro è molto accogliente, le attività commerciali sembrano molto avviate, le strade sono pulite, le persone passeggiano... Ma ottant'anni fa i cittadini di Dachau si macchiarono di un grave silenzio, perché il campo dista pochissimi minuti dal centro e non è possibile che nessuno sapesse nulla...

Dopo un lungo vialone ecco il cancello... ecco le recinzioni, ecco i torrioni di controllo... ecco la scritta. Si intravede dentro, è enorme. Mi fermo davanti all'ingresso, qualche sospiro profondo, uno sguardo alla scritta, uno sguardo avanti... un passo, uno sguardo dietro... un brivido lungo la schiena... sono dentro. Dentro la storia. Per qualche istante fui travolto dalle vertigini, e dall'angoscia, ma non solo per l'emozione, anche per un inaspettato immenso spiazzo che mi si presentò davanti... era insensatamente grande, e questo mi destabilizzó davvero parecchio. Uno spazio di quelle dimensioni non aveva alcuna utilità pratica e i nazisti, si sa, agivano sempre e solo per utilitarismo. Non riuscivo proprio a spiegarmelo. Non aveva senso.

Allora lo chiesi alla guida il senso di quello spreco, e la sua risposta mi scosse notevolmente: i nazisti volevano spaesare gli internati, farli impazzire, farli cedere non solo fisicamente ma soprattutto mentalmente, e questo spazio aperto dove ...

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Allora lo chiesi alla guida il senso di quello spreco, e la sua risposta mi scosse notevolmente: i nazisti volevano spaesare gli internati, farli impazzire, farli cedere non solo fisicamente ma soprattutto mentalmente, e questo spazio aperto dove effettuavano le adunate era stato progettato con lo scopo di confonderli, agitarli, angosciarli, proprio perché non aveva senso, la sua grandezza faceva paura. Fu una strategia che si ripeteva spesso, in molti campi e in molti modi diversi.

Capii dunque che nulla era dato al caso, ogni minimo particolare era studiato meticolosamente. Il campo era perfetto, simmetrico, efficiente... Costruito con estrema attenzione e con disumana freddezza. Visitammo il museo, le baracche, le stanze di tortura, le stanze degli ufficiali, gli archivi, gli uffici... Mancava però ancora una struttura, leggermente dislocata dal centro del campo... Il luogo più terrificante: quello delle camere a gas e dei forni crematori. All'apparenza un innocuo edificio oltre il filo spinato, ma in realtà il vero simbolo dell'abominio nazista.

Entrare nelle "docce" fu... oprrimente. L'aria sembrava rarefatta, le lacrime agli occhi... immagini nitide impresse nella mente di ciò che ottant'anni prima accadeva in quella stanza. Non ci solo parole per raccontare.
E poi i forni, proprio a fianco, per evitare la fatica di un trasporto inutile. Fu quello il momento più difficile per me: vedere quella schiera di forni... per le persone... L'emozione mi sopraffece. Non saprei spiegare perché fu proprio quello il momento più duro, ma sentivo viva in me la voglia di gridare il mio dolore, la mia rabbia, il mio disgusto...

Tornammo indietro, passando per il vialone principale del campo, costeggiato su entrambi i lati da due schiere infinite di maestosi cipressi...

Tornammo indietro, passando per il vialone principale del campo, costeggiato su entrambi i lati da due schiere infinite di maestosi cipressi

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Era lunghissimo. Pensare che proprio su quel terreno che stai calpestando si sia consumata una delle più efferate e abominevoli vicende della storia dell'uomo provoca un vorace turbinio di emozioni che ti stordisce. Quel vuoto di umanità colmato da quelle grida di silenzio, da quella assordante quiete, da quella invadente presenza di sofferenza... Sentivo tutto, immaginavo tutto, ma non sapevo nulla: non sapevo e non saprò mai cosa significasse davvero essere internati in quel posto e sentirsi morti nel regno dei vivi.

Io da quel cancello ci sono uscito, in pochi ebbero questa fortuna.

Continua...

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