We Don't Have To Talk

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Sono passati più di cinque giorni da quella dannata festa e per tutto questo tempo sono stata molto brava ad evitare Malfoy.
Ho passato le mie giornate scappando dalle lezioni appena dopo il suono della campanella, a fuggire dalla Sala Grande alla fine dei pasti, presentandomi solo quando rubare cibo dalle cucine era impossibile e mi rinchiudendomi nella mia stanza con l'intenzione di non uscirne se non per necessità.
Il biondo, infatti, aveva provato ad avvicinarmi dopo il pranzo domenicale, ma l'avevo liquidato scappando con la scusa di dover studiare.
Il che non era propriamente una bugia: avevo un sacco di studio da recuperare, ma non avrei mai speso il mio giorno di riposo in quel modo, perciò procrastinai di nuovo.
Non sapevo cosa volesse dirmi, sicuramente niente di positivo; perciò non sarei stata disposta ad ascoltare le sue parole umilianti e, di conseguenza, usai lo studio come scudo.
Ero consapevole che solo in un modo sarebbe potuta andare ed io non avrei mai voluto sentire le sue scuse, conoscevo bene anche da sola la situazione.
Scorpius ed io non potevamo essere una coppia, soprattutto perché nessuno dei due era in grado di portare avanti un rapporto serio.
Così avevo passato la settimana evitandolo e cercando di non restare mai sola in sua presenza, in modo da non dargli la possibilità di tirare fuori qualche stupido discorso sul bacio della discordia.
Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma mi sentivo strana anche solo vedendolo di sfuggita, il che non era positivo.
Bastava che provasse a guardare nella mia direzione, per farmi sentire una strana stretta allo stomaco e per far galoppare il mio cuore come un cavallo da corsa.
Non mi era mai successo prima e non potevo accettare una situazione del genere, soprattutto se c'era invischiato Malfoy che, diciamocelo, non era la persona più sensibile e comprensiva del mondo.
Proprio con questi pensieri a tormentare il mio cervello, raccolsi le mie cose per uscire dalla Biblioteca e mi dirigermi verso la Sala Comune di Serpeverde.
Quel giorno ci sarebbe stata la prima sessione di allenamenti e non ero assolutamente in vena, specialmente perché sul campo di gioco mi sarebbe stato impossibile ignorare la causa dei miei problemi.
La sfortuna voleva che il capitano della squadra fosse proprio il mio incubo e certamente non sarei riuscita a sfuggire alle sue grinfie.
Quindi, oltre ad avermi rovinato un pomeriggio di studio, Scorpius sarebbe riuscito anche a fare in modo che odiassi il Quidditch.
Entrai nel dormitorio vuoto, le mie amiche non c'erano già, il che mi spinse a sbrigarmi ancora di più per paura di fare tardi.
Presi la divisa verde-argento adagiata sul mio letto e la indossai velocemente.
Per fortuna avevo preparato tutto in modo da non dover cercare l'occorrente all'ultimo minuto, così nel giro di pochi minuti ero già vestita e pronta per la fatica che mi attendeva.
Legai i capelli in una coda alta e ordinata, presi la mia nuovissima Nimbus ed il borsone carico di cinfrusagli, per poi scappare più velocemente possibile verso il campo.
Era tardi, mancavano solo cinque minuti all'inizio dell'allenamento e avrei dovuto attraversare tutto il cortile per arrivare allo stadio, perciò avevo già capito di essere finita in guai seri.
Mi preparai mentalmente per una sfuriata dal nostro dittatore personale, comprendendo che a quel punto non avrei più potuto ignorarlo, dato che era il mio capitano.
Perciò, decisi di mantenere un comportamento il più normale possibile nella speranza di non attirare l'attenzione; mi sembrava l'opzione più sensata mentre correvo il più velocemente possibile.
Tirai un sospiro di sollievo quando le porte dello stadio mi si paravano davanti, avevo raggiunto il mio obiettivo con solo due minuti di ritardo, il che non era affatto male.
Sperai che non avessero già iniziato e che la fortuna potesse essere per una volta dalla mia parte, ma dovetti ritornare con i piedi per terra immediatamente, quando raggiunto lo spogliatoio lo trovai vuoto e silenzioso.
Avevo solo due possibilità: o l'allenamento era stato annullato, cosa improbabile e irrealistica o erano già tutti fuori ad allenarsi, molto più realistica.
Perciò arrivata alla conclusione più sensata, mi ritrovai costretta a lanciare la borsa alla rinfusa nello spogliatoio per correre verso il terreno di gioco, tentando di mettere una toppa a quel disastro annunciato.
Se il piano era di non attivare l'attenzione, dovevo ammettere di aver fallito miseramente.
Con il respiro affannoso e già distrutta da tutta quella frenesia, mi avvicinai al gruppo di quattordici persone riunite al centro del prato verde.

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